21 marzo: dies natalis di san Benedetto, che si festeggia l’11 luglio. San Paolo VI nel 1964 lo proclamò Patrono d’Europa; san Giovanni Paolo II, nel 1980, gli affiancò come Compatroni del Continente che si estende dall’Atlantico agli Urali Cirillo e Metodio, apostoli degli Slavi; e nel 1999, a riconoscimento del contributo delle donne alla costruzione dell’Europa, anche Caterina da Siena, Brigida di Svezia e Teresa Benedetta della Croce-Edith Stein.
Nato intorno al 480 nella Nursia, Benedetto studiò a Roma, ma non si fermò a lungo nell’Urbe. “Soli Deo placere desiderans” – volendo piacere a Dio solo, scrive Gregorio Magno – si ritirò nella solitudine dei monti ad est di Roma, poi per un periodo si associò a una comunità di monaci; in seguito si fece eremita nella non lontana Subiaco vivendo un periodo di solitudine con Dio e di maturazione. Fu allora che decise di fondare i suoi primi monasteri nella valle dell’Anio, vicino a Subiaco da dove passò a Montecassino.
Un altro grande Benedetto, Benedetto XVI, disse: “L’esodo dalla remota valle dell’Anio verso il Monte Cassio – 1’altura che, dominando la vasta pianura circostante, è visibile da lontano – riveste un carattere simbolico: la vita monastica nel nascondimento ha la sua ragion d’essere, ma un monastero ha anche una sua finalità pubblica nella vita della Chiesa e della società: deve dare visibilità alla fede come forza di vita. Quando san Benedetto concluse la sua vita terrena, lasciò – con la sua Regola e con la famiglia benedettina da lui fondata – un patrimonio che ha portato frutto nei secoli trascorsi e ne porta tuttora in tutto il mondo. Una vita, quella di san Benedetto, immersa in un’atmosfera di preghiera. Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. Ma la spiritualità di Benedetto non era un’interiorità fuori dalla realtà. Nell’inquietudine e nella confusione del suo tempo, egli visse sotto lo sguardo di Dio e proprio così non perse mai di vista i doveri della vita quotidiana e l’umo con i suoi bisogni concreti. Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione. La preghiera è in primo luogo un atto di ascolto che deve poi tradursi nell’azione concreta. Il Signore – afferma il Santo – ‘attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti’. Così la vita del monaco diventa una simbiosi feconda tra azione e contemplazione ‘affinché in tutto venga glorificato Dio’. In contrasto con una autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l’impegno primo ed irrinunciabile è la sincera ricerca di Dio, sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbediente, all’amore del quale nulla si deve anteporre; e proprio così, nel servizio dell’altro, si diventa uomini del servizio e della pace. Nell’esercizio dell’ascolto di Dio e dell’obbedienza alla sua Parola, posta in atto con una fede animata dall’amore, si conquista l’umiltà e si diventa sempre più conformi a Cristo, raggiungendo la vera autorealizzazione come creature fatte ad immagine e somiglianza di Dio. Proclamandolo Patrono d’Europa, Paolo VI intese riconoscere l’opera meravigliosa svolta dal Santo per la formazione della civiltà e della cultura europea. Oggi l’Europa – uscita da un secolo profondamente ferito da due guerre mondiali e dopo il crollo delle ideologie rivelatesi tragiche utopie – è alla ricerca della propria identità. Per creare un’unità nuova e duratura, sono certo importanti gli strumenti politici, economici e giuridici, ma occorre anche suscitare un rinnovamento etico e spirituale che attinga alle radici cristiane del Continente, altrimenti non si può ricostruire l’Europa. Senza questa linfa vitale, l’uomo resta esposto al pericolo di soccombere all’antica tentazione di volersi redimere da sé – utopia che, in modi diversi, nell’Europa del ‘900 ha causato, come ha rilevato Giovanni Paolo II, ‘un regresso senza precedenti nella tormentata storia dell’umanità’. San Benedetto rimane un vero maestro alla cui scuola possiamo imparare l’arte di vivere l’umanesimo vero. La sua Regola offre indicazioni utili non solo ai monaci, ma anche a tutti coloro che cercano una guida nel loro cammino verso Dio. Per la sua misura, la sua umanità e il suo sobrio discernimento tra l’essenziale e il secondario nella vita spirituale, essa ha potuto mantenere la sua forza illuminante fino ad oggi. Cercando il vero progresso, ascoltiamo anche oggi la Regola di san Benedetto come una luce per il nostro cammino. Il grande monaco rimane un vero maestro alla cui scuola possiamo imparare l’arte di vivere l’umanesimo vero”.
+ Edoardo, Vescovo

Giacomo Abbondo, conseguita nel 1748 la laurea in lettere all’Università di Torino, fu insegnante nelle Scuole Regie di Vercelli fino al 1757, quando lasciò l’insegnamento per fare il parroco a Tronzano, suo paese natale. A chi gli chiedeva a quanto ammontava il beneficio parrocchiale rispondeva: “Può valere il Paradiso o l’Inferno”. Aveva ereditato una difficile situazione succedendo ad un parroco simpatizzante del giansenismo e del rigorismo sacramentale, che era riuscito letteralmente a “svuotare” la chiesa. Innamorato di Dio, convinto del suo sacerdozio come servizio e sempre disponibile nei confronti dei suoi parrocchiani, il nuovo parroco si impegnò in ogni modo a far riscoprire la bellezza e la bontà di Dio, la possibilità di conoscerlo, di pregarlo, di incontrarlo sovente nella sua Parola e nei Sacramenti. Portò la parola di Dio ai più lontani, andandoli a cercare; ai poveri non di rado donava anche i suoi pasti o i suoi indumenti e per essi organizzò un comitato caritativo che faceva arrivare a domicilio viveri, legna e medicine. Rinnovò la fede della sua gente attraverso la Liturgia, l’invito alla Comunione settimanale; comprese l’efficacia della catechesi familiare nella quale coinvolse direttamente i genitori; portò frequentemente la Comunione ai malati, raggiungendo a cavallo anche le abitazioni più isolate; sostò di frequente in chiesa a disposizione per le Confessioni. La parrocchia cominciò a rifiorire, la chiesa tornò a riempirsi.
Vincenzo Actis, primo parroco di Castelrosso, resse per 34 anni la Parrocchia. Era nato nel 1751 a Rodallo di Caluso. Si formò intellettualmente grazie a validi insegnanti (a Ivrea e a Chivasso), ma un ruolo fondamentale nella sua formazione umana e cristiana lo svolse la famiglia. Ordinato prete il 23 marzo 1776, dedicò i primi anni di apostolato, in particolare, al ministero della Confessione. Le sue doti furono notate dal parroco di Casalborgone (allora diocesi di Ivrea), che nel 1778 lo volle suo coadiutore: si conquistò anche qui la stima di tutto il paese, come accadrà a Castelrosso, dove lo zelo pastorale, la dedizione nel ministero, la generosità verso i poveri, l’umiltà, la pazienza, lo spirito di preghiera ricordano assai da vicino quelli del beato Abbondo.
Il 1° gennaio, Ottava di Natale e solennità della S. Madre di Dio, nella Messa si invoca la benedizione anche sull’inizio dell’anno civile. La Chiesa ha un suo anno speciale, l’Anno liturgico, che celebra gli eventi della vita di Cristo Salvatore, ma, vivendo nel mondo, ma non distoglie lo sguardo da ciò per cui fa festa la società civile: è la Chiesa del Dio che facendosi Uomo ha abbracciato tutto l’umano. Di qui il ringraziamento, con il canto del Te Deum, nelle ultime ore dell’anno che si chiude e la benedizione invocata sul nuovo anno civile che inizia.


