Asterischi – 3 ottobre 2019

Mese di Ottobre, mese missionario, non solo quest’anno. Ho letto un interessante articolo di Sandro Magister che commenta sull’Espresso del 23 settembre scorso ciò che affermano i fautori dei preti sposati motivando la richiesta con la scarsità di preti celibi in regioni dove alle piccole comunità disperse bisogna assicurare – dicono – che si offra a tutti la celebrazione della Messa a cadenza regolare, e non soltanto rare volte all’anno.  

«Curiosamente – scrive il giornalista – gli stessi che si mostrano così generosi nel voler elargire l’eucaristia sono anche i più avari nel convertire e amministrare il battesimo, evidentemente da loro equiparato al “proselitismo”: “Non ho mai battezzato un indio, e neppure lo farò in futuro”, ha detto il vescovo Erwin Kräutler.

La contraddizione maggiore, però, è con due millenni di storia della Chiesa, che hanno visto innumerevoli casi di scarsità di preti celibi per comunità disperse, senza però che nessuno derivasse da ciò – con ragionamento puramente funzionale, organizzativo – l’obbligo di reclutare come celebranti anche uomini sposati, i cosiddetti “viri probati”. Non solo. La storia insegna che la scarsità di preti celibi non necessariamente si risolve in un danno per la “cura d’anime”. Anzi, in alcuni casi addirittura coincide con una fioritura della vita cristiana. È stato così, ad esempio, nella Cina del XVII secolo. Ne ha dato conto una fonte insospettabile, “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma, in un dotto articolo di tre anni fa del sinologo gesuita Nicolas Standaert, docente all’Università Cattolica di Lovanio.

Nel XVII secolo in Cina i cristiani erano pochi e dispersi. Scrive Standaert: “Quando Matteo Ricci morì a Pechino nel 1610, dopo trent’anni di missione, c’erano circa 2.500 cristiani cinesi. Nel 1665 i cristiani cinesi erano diventati probabilmente circa 80.000, e intorno al 1700 erano circa 200.000″.

E pochissimi erano anche i sacerdoti: “Alla morte di Matteo Ricci, c’erano soltanto 16 gesuiti in tutta la Cina: otto fratelli cinesi e otto padri europei. Con l’arrivo dei francescani e dei domenicani, intorno al 1630, e con un lieve incremento dei gesuiti nello stesso periodo, il numero dei missionari stranieri arrivò a più di 30, e rimase costante tra i 30 e i 40 nell’arco dei successivi trent’anni. In seguito vi fu un incremento, raggiungendo un picco di circa 140 tra il 1701 e il 1705. Ma poi a causa della controversia sui riti il numero dei missionari si ridusse di circa la metà”.

Di conseguenza la gran parte dei cristiani cinesi incontravano il sacerdote non più di “una o due volte l’anno”. E nei pochi giorni in cui durava la visita, il sacerdote “conversava con i capi e con i fedeli, riceveva informazioni dalla comunità, si interessava delle persone malate e dei catecumeni. Ascoltava confessioni, celebrava l’eucaristia, predicava, battezzava”.

Poi il sacerdote per molti mesi spariva. Eppure le comunità reggevano. Anzi, conclude Standaert: “Si trasformarono in piccoli ma solidi centri di trasmissione di fede e di pratica cristiana”. Senza elucubrazione alcuna sulla necessità di ordinare uomini sposati».

Vorrei ricordare un missionario della nostra terra, la cui memoria, forse, si è sbiadita: il Beato Antonio Rubino, nato a Strambino ed entrato giovane a Torino nella Compagnia di Gesù. Dopo aver proseguito gli studi ad Arona e a Milano, nel 1612 fu inviato in missione in India, a Goa. Qui insegnò teologia e si dedicò alla predicazione al popolo facendosi amare da tutti.

Nel 1639 ricevette l’ordine di partire per la colonia portoghese di Macao e di qui in Giappone. Grandi difficoltà fecero tardare la partenza: solo nell’agosto del 1642 insieme a quattro compagni riuscì a imbarcarsi per l’isola giapponese di Sodsuma. Ma giunti a Nagasaki furono arrestati, messi in prigione e barbaramente torturati. Caricati poi su giumenti, con la museruola alla bocca ed una scritta sulla schiena, furono portati al luogo del supplizio, appesi capovolti ad un palo, sepolti a metà in una fossa, e lasciati morire. Era il 22marzo 1643. Diede la vita per l’annuncio del Vangelo poiché il Vangelo era diventato la sua vita.

† Edoardo, vescovo