Asterischi – 6 giugno 2019

“Fede è fare affidamento sulle parole di un Altro”, sapendo che “il cielo è un traguardo che esige il nostro amore più alto e i nostri sforzi più tenaci” si legge nei Sermoni anglicani del beato John Henry Newman, recentemente pubblicati dalla Casa Editrice Jaca Book. Le omelie (da cui traggo qualche spunto di riflessione), furono pronunciate tra il 1825 e il 1843, prima della conversione al Cattolicesimo, e testimoniano la continua tensione di Newman verso la verità. Tutto il cammino di Newman – dalla conversione dei quindici anni, alla attenzione dedicata ai Padri della Chiesa, alla partecipazione al Movimento di Oxford, all’ingresso nella Chiesa cattolica – testimonia che la via della coscienza non è chiusura nel proprio “Io”, ma apertura, conversione, obbedienza a Colui che è l’amore e la verità: tra coscienza e verità c’è un legame intrinseco.

Sulla fede. “Fede è fare affidamento nelle parole di un Altro”, o, come si legge in un’altra omelia, è “mettere da parte il proprio io per vivere sulle parole di Colui che parla nei Vangeli”. Ne consegue che “la religione deve essere realizzata in atti particolari al fine di poter continuare ad essere viva”.

Una religione “fai da te”. Il relativismo teologico conduce ad adorare “un mero nome astratto, oppure una vaga creazione della mente al posto del Figlio Semprevivo, insegnando una religione del cuore senza ortodossia di dottrina”. E’ un grande pericolo anche “una filosofia spregiudicata e presuntuosa disseminata sopra la nostra fede, come una precisa volontà di estrarre il nostro Credo, ognuno per proprio conto, come meglio può, dalle fonti profonde della verità”.

Rapporto Chiesa – realtà mondana. “La fede non si sente a proprio agio a portare il linguaggio del mondo nel suo sacro ovile, o a mettere le gelosie del mondo nel suo sistema di governo divino, a pretendere diritti, ad adulare i molti, o a corteggiare i potenti. Qual è il più grande desiderio della fede, il suo massimo godimento? Un santo che muore vi risponderà”: la testimonianza del martire rimane la prova provata della fede del cristiano e l’obbedienza la virtù per eccellenza dell’uomo di fede.

Il pericolo della ricchezza. Newman mette in guardia i fedeli dal rischio di cadere nella trappola di confidare eccessivamente nella “sicurezza temporale alla quale le ricchezze conducono” e chiarisce che “ogniqualvolta compiamo le nostre azioni riferendoci a un oggetto di questo mondo, quand’anche sia il più puro, siamo esposti alla tentazione di fissare i nostri cuori allo scopo di ottenerlo”. Si tratta di un impulso “che ci proietta fuori dalla serenità e stabilità della fede, facendo convergere i nostri pensieri su qualcosa che è privo di ciò che è infinitamente alto ed eterno”. E in effetti “una vita dedicata al far quattrini è una vita piena di preoccupazioni” vissuta nell’ansia di perdere quelle ricchezze che con tanta fatica si è cercato di accumulare.

Confessione e pentimento. “La condotta più decorosa di un peccatore coscienzioso è una resa incondizionata di se stesso a Dio”, in quanto “tenendo presente i diritti del Benefattore che egli ha offeso e vergognosamente colpito e il senso della propria ingratitudine, egli deve arrendersi al suo legittimo Sovrano”.

La vera libertà. Non è la libertà dalla legge. Consiste, invece, nella libertà della Legge e dei precetti divini. Il cristiano deve dunque avere un altro metro di giudizio e assecondare un altro criterio d’azione che risponde a una logica inversa e opposta ai canoni del pensiero mainstream e che valuta addirittura quale “disgrazia capitata a un peccatore quella libertà di pensiero e azione di cui il mondo si vanta come del massimo bene”.

+ Edoardo, Vescovo