Ci sono cose nella vita che ci costringono a fermarci. La malattia è una di queste. Nella quotidianità di una vita più o meno attiva, si fanno tante azioni: si aprono gli occhi al mattino, ci sia alza, si cammina, si corre, si pensa, si può allungare un braccio per prendere un oggetto da uno scaffale, avere una mano ferma per premere il pulsante di una fotocopiatrice o la lucidità per distinguere le parole di chi ci sta parlando e dare a nostra volta la risposta. Abbiamo il fiato per fare tutto questo e magari anche per parlare mentre camminiamo, abbiamo la forza per portare in braccio una pila di libri e, contemporaneamente, pensare a quello che dobbiamo fare dopo.
Poi arriva lei, la malattia, nei suoi mille volti, fatti di semplici acciacchi o forme più gravi: come dolori forti al petto, blackout mentali o traumi. E ti ritrovi lì, bloccato su un letto dal quale non puoi scendere. Per quanto tempo? Spesso non si sa, perché ci vanno giorni per capire e per curare. E nel tuo letto ti rendi conto di come non fosse così scontato poter correre, poter parlare o poter, più semplicemente, respirare.
È il momento in cui constati quanto sei estremamente, terribilmente, debole.
L’ospedale è una struttura che, con i suoi labirintici corridoi, abbraccia innumerevoli storie di questo tipo, di fragilità e di pianto. Il reparto di chirurgia, in particolare, è una delle tante culle che – nel pomeriggio di sabato 15 marzo – ha voluto accogliere la visita del nuovo Pastore della Chiesa che è in Ivrea: Mons. Daniele Salera.
In quel mite pomeriggio di metà marzo, nel reparto si respirava un’aria intrisa di musica e preghiera. La prima cosa che si faceva notare, entrando nel corridoio al quale si affacciano le diverse stanze dei pazienti, erano i canti della liturgia animati dal coro “Voci in bianco”, costituito da alcuni tra gli infermieri, i medici e gli operatori sanitari dell’ospedale di Ivrea. E mentre nell’aria si diffondevano, sicure, parole profetiche quali: “Dio dell’impossibile vieni a dimorare tra noi”, Mons. Salera si accingeva a prepararsi per la Celebrazione Eucaristica dopo aver visitato i pazienti del reparto. Allestito in uno degli atri d’ingresso – gremito di fedeli – il Banchetto Eucaristico ha avuto inizio, accompagnato dalle parole semplici, chiare e profondissime del Vescovo.
É proprio quando constati quanto sei terribilmente debole e fragile che finalmente ti accorgi di ciò che è Essenziale. Il letto di ospedale, come si diceva all’inizio, costringe a fermarsi, a non poter fare più nulla. E mentre sei lì, pensi. E capisci che molte cose che credevi essere fondamentali nella tua routine quotidiana, in realtà, non lo sono veramente. Gradualmente, prendi consapevolezza di ciò che è veramente importante e lo approfondisci. E, magari, ritorni pure a pregare. Hai anche più tempo per pregare. Accogliamo quindi l’invito del Vescovo a “Imparare a riconoscere ciò che Essenziale” e ad applicarlo anche nella nostra vita quotidiana sapendoci dare dei limiti: “Oggi, arrivo fino a qui.”
Un altro tema che è stato toccato nel corso della celebrazione riguarda il servizio prezioso che i medici, gli infermieri e tutti gli operatori sanitari svolgono a servizio dei malati. Non a caso è stato scelto come canto di comunione “Servire è regnare”, che richiama – forse da un’altra prospettiva, ma pur sempre valida – quell’Essenziale di cui si parlava nell’omelia: “Ci insegni che amare è servire … perché grande è soltanto l’Amore.”
Essenziale, Amore e Servizio; in altre parole: Gesù Cristo.
Maria Beatrice Vallero