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Annuncio della nomina di S.E. Mons. Arrigo Miglio a Cardinale di S. Romana Chiesa

Ivrea, 29 maggio 2022

Carissimi fratelli e Sorelle della Chiesa che è in Ivrea,

appena ricevuto l’annuncio, dato oggi, direttamente dal Santo Padre nel discorso del Regina Caeli, trovandomi a Chivasso per la celebrazione delle Sante Messe programmate a Castelrosso, a Boschetto, e poi al Duomo, ho inviato a Monsignor Arrigo, un messaggio stringato come lo possono essere i messaggi whatsapp: “Carissimo Monsignor Arrigo, dirti che sono contento è poco. Un grande abbraccio”. 

Avrei voluto telefonargli, ma conosco la mole di chiamate e di messaggi che in queste circostanze si ricevono… Per questo gli ho scritto solo due parole. È poco dire che sono contento; sono infatti contentissimo per il riconoscimento che da Sua Santità il mio predecessore ha avuto. 

Questa nomina premia Monsignor Arrigo per quanto ha fatto nelle diocesi che gli sono state affidate e che ha continuato a fare, a Roma, anche dopo aver terminato il suo servizio all’ultima di esse, la diocesi Cagliaritana; oltre che in diversi ambiti di responsabilità anche a livello nazionale. Meritatissimo riconoscimento che onora la diocesi di Ivrea e che, tra l’altro, fa risalire a tre, come è stato fino a non molto tempo fa, il numero dei Porporati canavesani presenti contemporaneamente nel Collegio cardinalizio.

Sono certo che questi sentimenti sono condivisi dalla intera diocesi che lo ha avuto Pastore per più di tredici anni. 

Lo accoglieremo con gioia, in forma ufficiale, dopo la celebrazione del Concistoro del 27 agosto; ma Monsignor Arrigo sarà presto da noi, di passaggio, avendo egli generosamente accettato fin dagli scorsi mesi – e anche di questo lo ringrazio – l’invito ad amministrare la S. Cresima in alcune Parrocchie.

Questa sera, al santuario del Monte Stella, nella S. Messa celebrata nella imminente conclusione del mese di maggio, ho affidato, insieme a tutti i presenti, Monsignor Arrigo al Cuore della Vergine Santa che veglia sulla nostra città.

† Edoardo, vescovo    


Messaggio per la Santa Pasqua 2022

Carissimi Fratelli e Sorelle della Diocesi di Ivrea,

ho la gioia ancora una volta – è la decima – di augurarvi “Buona Pasqua”!

Questo augurio che ci scambiamo in questi giorni sarebbe pura convenzione, usanza ereditata dalla storia di un popolo segnato dalla fede in Gesù Cristo risorto, se non fossimo convinti che “Surrexit Dominus vere”, che Egli è veramente risorto e quindi presente e vivo dentro la nostra esistenza, nei giorni faticosi e densi di preoccupazione che nel momento attuale stiamo vivendo.

Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” ci dice e, come più di venti secoli fa, ci ripete la promessa: “Chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amore mio la troverà. Chi perderà la sua vita per me la troverà”.

Perdere per Lui la vita significa donarGliela, viverla mettendo la nostra libertà e la nostra volontà nelle Sue mani; significa appartenerGli.

Nel biglietto di auguri preparato anche quest’anno per le feste pasquali ho riportato un pensiero di un grande sacerdote della nostra epoca.

Lo propongo a tutti, sacerdoti e laici, come luce sul cammino.

«Tutto si rinnova nel contatto con Lui. Oh, non aspettiamo di essere buoni per vivere insieme al Signore! È il vivere con Lui che ci farà buoni; è l’accogliere Lui che ci farà santi. Non c’è altra santità. Lo guarderò e mi basterà. Non vivrò che per il Signore e non saprò davvero che la mia vita è sacrificio. È una vita di sacrificio quella di una donna che ama veramente il vivere soltanto per colui che ama? Dovete avere soltanto una preoccupazione: credere e credere sul serio e credere che è qui, credere che vi ama e credere che siete con Lui. È il vivere con Lui che ci farà buoni; è l’accogliere Lui che ci farà santi» (Divo Barsotti)

Surrexit Dominus vere! Il Signore è veramente risorto! Alleluia

+ Edoardo, vescovo


Collette Terra Sante e Ucrania

La Terra Santa non è fatta solo di pietre e di luoghi. Ci sono dei nostri fratelli di fede che là vivono, in situazioni sempre difficili, precarie da tanti punti di vista. Sono essi, le loro comunità, a far sì che, quando andiamo pellegrini in Terra Santa, non ci troviamo solo di fronte a monumenti. Essi sono la Chiesa vivente in quella terra! 

La Colletta pro Terra Sancta che ogni anno si fa il Venerdì Santo nasce dalla volontà dei Papi di mantenere forte il legame tra tutti i cristiani del mondo e i Luoghi Santi; ed è aiuto indispensabile per chi là vive, permettendo il permanere della presenza cristiana nella terra delle origini cristiane. 

Non dimentichiamo questi fratelli!  Confidando nella generosità di tutti, ricordo ai Sacerdoti che la Colletta – richiesta dalla Sede Apostolica – può essere collocata anche in una domenica del Tempo pasquale. 

*

In costante collegamento con le Caritas in Ucraina, la Caritas Italiana resta accanto alla popolazione coinvolta, supportando anche le Caritas dei Paesi confinanti per l’accoglienza delle persone in fuga dalla guerra, garantendo le azioni necessarie per rispondere ai bisogni più urgenti e contribuendo all’accoglienza di quanti arrivano in Italia. 

La Conferenza Episcopale Italiana ha esortato le Diocesi ad attivarsi, come segno della concreta solidarietà di tutti i credenti, per una giornata di raccolta fondi da inviare entro il 15 maggio p.v. Nella nostra Diocesi la domenica della raccolta sarà l’8 maggio.

I Parroci sono pregati di consegnare in Curia le offerte dei fedeli che saranno trasmesse alla Caritas Italiana, secondo le modalità dalla stessa comunicate.  Confido nella generosità di tutti.

† Edoardo, vescovo

Santa Pasqua 2022

«Tutto si rinnova nel contatto con Lui. Oh, non aspettiamo di essere buoni per vivere insieme al Signore! È il vivere con Lui che ci farà buoni; è l’accogliere Lui che ci farà santi. Non c’è altra santità. Lo guarderò e mi basterà. Non vivrò che per il Signore e non saprò davvero che la mia vita è sacrificio. È una vita di sacrificio quella di una donna che ama veramente il vivere soltanto per colui che ama? Dovete avere soltanto una preoccupazione: credere e credere sul serio e credere che è qui, credere che vi ama e credere che siete con Lui. È il vivere con Lui che ci farà buoni; è l’accogliere Lui che ci farà santi» (Divo Barsotti)

Surrexit Dominus vere! Alleluia!

+ Edoardo, vescovo


Consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria

AL CLERO E AI FEDELI DELLA DIOCESI

Ivrea, 16 marzo 2022

Consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria

“Venerdì 25 marzo, durante la Celebrazione della Penitenza che presiederà alle 17 nella Basilica di San Pietro, Papa Francesco consacrerà all’Immacolato Cuore di Maria la Russia e l’Ucraina. Lo stesso atto, lo stesso giorno, sarà compiuto a Fatima dal cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere pontificio, come inviato dal Santo Padre”.

(Dichiarazione del direttore della Sala Stampa della Santa Sede).

Carissimi Fratelli e Sorelle, 

ci uniamo al Santo Padre in questo atto solenne che la Vergine Santa, nell’apparizione del 13 luglio 1917 a Fatima, aveva chiesto domandando la consacrazione della Russia al Suo Cuore Immacolato; atto compiuto dal ven. Pio XII, il 7 luglio 1952, quando consacrò i popoli della Russia al Cuore Immacolato di Maria nella Lettera apostolica Sacro vergente anno; da san Paolo VI che rinnovò la consacrazione, il 21 novembre 1964, alla presenza di Padri del Concilio Vaticano II; e che  san Giovanni Paolo II compì come Atto di affidamento nella Basilica di Santa Maria Maggiore il 7 giugno 1981 e ancora durante l’Anno Santo della Redenzione, il 25 marzo 1984, in piazza San Pietro, in unione spirituale con tutti i Vescovi del mondo. 

Invito tutta la Diocesi ad un momento di Adorazione Eucaristica che chiedo ai Parroci di organizzare il 25 marzo, solennità dell’Annunciazione del Signore, alla stessa ora o, se non è possibile, in altro momento della giornata. 

Il Vescovo presiederà la preghiera e l’Adorazione nella chiesa di S. Maurizio alle ore 17. Celebrerà la S. Messa, con la medesima intenzione, alle ore 20 nella chiesa di S. Maria in Zinzolano della Fraternità di Nazaret.

+Edoardo, vescovo


IV centenario della Canonizzazione dei Ss. Filippo Neri, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Teresa d’Avila, Isidoro agricoltore

Per riconoscenza verso la Congregazione dell’Oratorio e il suo Fondatore non potevo mancare a Roma alla Messa presieduta dal Santo Padre il 12 marzo scorso in ricordo dei cinque santi che il suo lontano predecessore Gregorio XV aveva canonizzato nello stesso giorno del marzo 1622; e, il giorno dopo, alla celebrazione solenne in cui la Famiglia Oratoriana ha espresso a Padre Filippo la propria gioia per la sua glorificazione, la più alta che la Chiesa conferisca a un suo figlio.

Filippo Neri (1515-1595), Ignazio di Loyola (1491-1556), Francesco Saverio (1506-1552), Teresa d’Avila (1515-1582) – campioni di quella Riforma Cattolica che è stata molto più che una reazione alla Riforma luterana – e con essi il laico Isidoro che in altra epoca (1080-1130) servì Dio lavorando i suoi campi, umile contadino della campagna intorno a Madrid, sono coloro di cui “Pasquino” disse: “Oggi er Papa fa quattro spagnoli e un santo”: mordace ironia del popolo romano…

È bello guardare ai cinque santi cercando di cogliere da una loro parola qualche lineamento del loro volto.

S. Ignazio di Loyola. “Prega come se tutto dipendesse da Dio e lavora come se tutto dipendesse da te”.

Battezzato con il nome di Iñigo – che gli si addiceva perfettamente per il temperamento di fuoco che aveva ricevuto – lo cambiò in Ignazio quando, con la conversione, mise quel fuoco al servizio del Regno di Dio. Si era avviato alla vita del cavaliere, alle Corti di Spagna, tra divertimenti e combattimenti. Nell’assedio di Pamplona una grave ferita alla gamba lo fermò costringendolo ad una lunga convalescenza, durante la quale la lettura della “Vita di Cristo” e della “Legenda Aurea” lo convinse che era Gesù l’unico vero Signore al quale

si poteva dedicare la fedeltà di cavaliere. Ristabilitosi, andò pellegrino a Gerusalemme; a Barcellona, nell’abbazia di Monserrat fece la confessione generale, si spogliò degli abiti cavallereschi vestendo quelli di un povero e con il voto di castità perpetua fece il primo passo verso una vita religiosa. A Manresa, al suo ritorno, condusse, per più di un anno, vita di preghiera e di penitenza. Fu qui che “ricevette una grande illuminazione” sulla possibilità di fondare una Compagnia di consacrati. In una grotta dei dintorni, in piena solitudine, prese a scrivere una serie di meditazioni e di norme, che, successivamente rielaborate, formarono i celebri “Esercizi Spirituali”. Intuì che per svolgere adeguatamente l’apostolato occorreva studiare; a 33 anni iniziò questo impegno, fino ad ottenere, a Parigi, il dottorato in filosofia. Nel 1534 con i primi compagni, tra cui Francesco Xavier, nella cappella di Montmartre fece voto di vivere in povertà e castità; si sarebbero messi a disposizione del Papa, che avrebbe deciso il loro genere di vita apostolica e il luogo dove esercitarla. Ordinato sacerdote, insieme a due compagni andò a Roma; una visione lo confermò nell’idea di fondare una “Compagnia” che portasse il nome di Gesù.

S. Filippo Neri. “Bisogna buttarsi in tutto e per tutto nelle mani del Signore. Se Dio vorrà, vi farà lui buoni in quello che vi vorrà adoperare… Chi vuol altro che Cristo non sa quel che vuole, e chi chiede altro che Cristo non sa quel che domanda”.

In obbedienza al Papa rimase a Roma a coordinare le attività della Compagnia e ad occuparsi dei poveri, degli orfani e degli ammalati, fino alla morte.

Fiorentino di nascita e di formazione, arrivò a Roma non ancora ventenne: “È come se una luce venisse accesa nel buio della miseria che annida tra le antiche glorie dell’Urbe” è stato scritto.

Di giorno, viso simpatico e cuore lieto, porta, ben prima di essere prete, il calore di Dio a chi incontra e a chi giace all’Ospedale degli Incurabili; di notte, sul sagrato di una chiesa o nelle catacombe, un’anima di fuoco, immerso in un dialogo intimo con Dio, tanto da ricevere il dono di una speciale effusione di Spirito Santo che gli dilatò anche fisicamente il cuore.

“Appassionato annunciatore della Parola di Dio” disse Papa Francesco nel 500.mo della nascita di Filippo. La paternità spirituale di questo “cesellatore di anime” “traspare da tutto il suo agire, caratterizzato dalla fiducia nelle persone, dal rifuggire dai toni foschi ed accigliati, dallo spirito di festosità e di gioia, dalla convinzione che la grazia non sopprime la natura ma la sana, la irrobustisce e la perfeziona”. “Si accostava alla spicciolata ora a questo, ora a quello e tutti divenivano presto suoi amici”, racconta il suo primo biografo e il Papa commenta: “Amava la spontaneità, rifuggiva dall’artificio, sceglieva i mezzi più divertenti per educare alle virtù cristiane, al tempo stesso proponeva una sana disciplina che implica l’esercizio della volontà per accogliere Cristo nel concreto della propria vita”.

L’Oratorio nasce così, non per un progetto disegnato sulla carta. “Grazie anche all’apostolato di San Filippo – riconosce Papa Francesco – l’impegno per la salvezza delle anime tornava ad essere una priorità nell’azione della Chiesa”. Approdò al sacerdozio a 36 anni, ma l’ordinazione non dovette comportare sostanziali cambiamenti di vita e stile. Col tempo, attorno a lui prese corpo la prima comunità, cellula della futura Congregazione che Gregorio XIII approverà nel 1575.

“Apostolo di Roma” lo proclamarono i Papi: con Pietro e Paolo unico nella numerosa schiera dei santi che vissero e lavorarono nel centro della Cattolicità. “Chi fa bene a Roma – diceva Filippo – fa bene al mondo intero”.

S. Teresa d’Avila. “Dio non smette di occuparsi di me e della mia anima: la desidera indefessamente. Ma viene il demonio con le sue grandi astuzie e, sotto colore di bene, la distacca a poco a poco dalla volontà divina in ben piccole cose, destandole interesse per altre che le fa credere non siano cattive, offuscandole man mano l’intelligenza, raffreddandole la volontà e facendole crescere l’amor proprio, finché, da una cosa all’altra, la va allontanando dal volere di Dio e avvicinando al suo proprio volere. Non c’è da fare altro che riconoscere la nostra indigenza e consacrargli tutta la ns volontà”.

Nella Basilica Vaticana, sotto la statua di questa donna forte e tenace, si legge: “Mater spiritualium”, dove “spirituali” non indica solo alcune anime elevate a particolari stati mistici, ma tutti coloro che si impegnano a vivere la vita cristiana, che è vita “nello Spirito Santo”.

Fu davvero imponente la sua opera riformatrice, convinta com’era che alle terribili lacerazioni della Chiesa non si poteva rispondere se non rinnovando la propria fedeltà a Dio, con una vita che si lascia cambiare dall’amore a Cristo e alla Chiesa, fermamente convinta che solo nella comunione con il

Signore si trovano i doni di grazia per la Chiesa martoriata da corruzioni, infedeltà, e scismi.
La sua vita spirituale fu costante “progresso” nell’adesione a Cristo, fino a diventare “Teresa di Gesù”: «Piaccia a Dio – scriveva – che vi impegniate a crescere”. “Poco mi curo di ciò che si dica o si sappia di me. Ciò che mi interessa è ogni più piccolo progresso che l’anima possa fare”. E dunque: «Nada te turbe, nada te espante. Quien a Dios tiene nada le falta… Solo Dios basta!»: «Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. Tutto passa, solo Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio non manca di nulla: solo Dio basta!».

S. Francesco Saverio.Ti ringrazio, Signore, per la provvidenza di avermi dato un compagno come questo Ignazio, dapprima così poco simpatico”.

Dopo aver peregrinato per terre, mari e isole in Oriente per annunciare Cristo ai pagani, quando ormai si trovava alle porte della Cina, sentì da Dio: “Francesco, figlio mio, cessa la tua lotta e vieni da Me!”: da Francesco Dio non voleva la Cina: voleva Francesco. L’intrepido missionario morì dicendo: “Sì, mio Redentore, prima di ogni altra cosa e sopra tutte le cose, si compiano i Vostri perfettissimi disegni e solo così, Vi sarà data la maggior gloria!”.

Pioniere delle missioni dei tempi moderni, patrono di esse con S. Teresa di Gesù Bambino, Francesco nacque nel castello di Xavier, in Navarra. Nel 1525 si recò all’università di Parigi sognando pingui benefici nella diocesi di Pamplona. L’incontro con Ignazio di Loyola fu provvidenziale: lo trasformò in araldo del Vangelo. Più tardi Ignazio dirà di Francesco: fu “il più duro pezzo di pasta che avessi mai avuto da impastare”. I passi di Ignazio – sopra ricordati – furono anche i suoi fino al 1540, quando fu mandato alle Indie Orientali. A Goa, cominciò il suo apostolato nella colonia portoghese che con la sua vita immorale scandalizzava persino i pagani. Poi estese il suo ministero ai malati, ai prigionieri e agli schiavi. Dopo cinque mesi fu mandato al sud del paese; per due anni passò di villaggio in villaggio, esposto a mille pericoli, fondando chiese e scuole, facendosi a tutti maestro, medico, giudice nelle liti, difensore contro le esazioni dei portoghesi, salutato ovunque quale santo e taumaturgo. Aprì nuovi campi all’apostolato: nella Malacca, nelle Molucche, abitate dai cacciatori di teste, nell’isola di Amboina, presso la Nuova Guinea, fino alle isole del Moro. Sedotto dalle notizie avute sul Giappone e i suoi abitanti partì per andarli ad evangelizzare. Di lì, senza poterla raggiungere, si mise in viaggio per la Cina.

Di Isidoro contadino non abbiamo parole da riportare; se dovessi mettergliene una sulle labbra, sceglierei questa, di Francesco Saverio: “Signore, io ti amo non perché puoi darmi il Paradiso o condannarmi all’Inferno, ma perché sei il mio Dio. Ti amo perché Tu sei Tu”.

La sua vita, così diversa da quella di tre preti santi e di una santa monaca, era santa come la loro. Non aveva fondato né riformato ordini, non aveva costruito monasteri, né aveva lasciato grandi opere dottrinali o mistiche: aveva amato una donna (Maria Toribia, beatificata anch’ella alla fine del ‘600), allevato un figlio e coltivato la terra, pregando e condividendo i suoi averi con i più poveri. Gregorio XV lo innalzò nella gloria dei santi insieme a quei quattro grandi della Riforma Cattolica. Mi ricorda la scelta fatta da S. Giovanni Paolo II quando, sulla gloria degli altari, pose la piccola Bakhita accanto a san Josemaría Escrivá de Balaguer.

Che spettacolo, la santità! Un mio confratello oratoriano, il ven. Raimondo Calcagno, diceva: “È l’unica cosa che ci rende davvero interessanti al mondo”.

Il Cinquecento, che vide spaccarsi la Chiesa e l’Europa e scoppiare il bubbone di disordine morale presente da tempo nella vita di molte membra della Chiesa, assistette al sorgere di così numerosi esempi di santità che si rimane stupiti anche solo a scorrere l’elenco dei più noti tra quelli canonizzati.

Quel secolo vide svilupparsi un’ampia e fervida azione caritativa al servizio dei poveri, degli ammalati, dei giovani, di ogni categoria di bisognosi. I vecchi ordini religiosi con fatica tendono a riformarsi al loro interno: monasteri e conventi adottano una regola riformata; nuovi ordini nascono dal tronco di quelli antichi; le nuove scoperte geografiche lanciano la Chiesa nella evangelizzazione dei popoli. Nel malcostume diffuso, alcuni vescovi si distinguono per capacità e zelo pastorale. E si potrebbe continuare… Il grande impulso dato dal Concilio di Trento (1545-1563) all’azione della Chiesa cattolica per contrastare, da un lato, il luteranesimo e, dall’altro, per riformarsi al suo interno, fu accolto e vissuto da una splendida schiera dei santi, un firmamento di stelle di cui ancora ammiriamo la luce.

† Edoardo Aldo Cerrato, C.O.


Messaggio in occasione del 360° anniversario del miracolo eucaristico di Palazzo C.se

Ivrea, 9 marzo 2022

Ogni giorno, nella cappella del Vescovado, leggo sulla vetrata sovrastante l’altare, in riferimento ai numerosi Congressi eucaristici che hanno segnato il cammino della nostra diocesi: “Eporedia eucharisticis conventibus clarissima”. A suggerirmi, tuttavia, di dedicare all’Eucarestia ed alla celebrazione di essa il triennio pastorale che ora va verso la conclusione, più che il ricordo di un significativo passato, è l’urgenza oggi evidente di ritornare al cuore della vita della Chiesa.

Il nostro cammino è stato introdotto da un anno (2018-2019) dedicato alla riflessione su che cos’è la S. Messa, alla luce delle 15 Catechesi di Papa Francesco, per viverne consapevolmente le parole, i gesti, i segni e i momenti della celebrazione; essa, infatti, è “scuola” di vita cristiana e fonte e culmine verso cui tende tutta l’azione della Chiesa; al primo posto nella Celebrazione non c’è la nostra azione, ma quella di Dio; il suo scopo primario è l’incontro con Cristo vivo e presente; e la partecipazione attiva – del sacerdote che presiede e dei fedeli – si attua, in primo luogo, nell’accogliere nella fede l’azione di un Altro, che è il vero Protagonista.   

A partire da questa riflessione, il cammino triennale si è sviluppato in tre tappe: 2019-20: Eucaristia: convocati alla presenza del Signore. Tema: la vocazione; 2020-21: Eucaristia: Parola e Pane di vita. Tema: la Parola al centro della catechesi e liturgia; il pane spezzato nella condivisione con i più poveri; 2021-22: Eucarestia: dalla celebrazione alla testimonianza. Tema: la “nuova evangelizzazione” e l’impegno di testimonianza nella carità. 

Perché ricordo tutto questo?

Perché, quando dalla Parrocchia di Palazzo mi è stata comunicata l’intenzione di solennizzare il 360° anniversario del Miracolo eucaristico avvenuto nella chiesa – “celebrando la S. Messa, il 18 marzo 1662, il Parroco don Bartolomeo Monte” – ho ringraziato per l’iniziativa vedendo in essa una coincidenza significativa.

Mentre mi unisco di cuore alla preghiera e alla adorazione del SS. Sacramento da parte della Comunità parrocchiale di Palazzo, estendo a tutta la Diocesi l’invito a far festa, domenica 20 marzo, al Signore Gesù che rimane con noi e sostiene la Sua Chiesa nel suo faticoso cammino lungo i tornanti della storia.

† Edoardo, vescovo 

Messaggio alla Diocesi per la S. Quaresima 2022

1. Il cammino quaresimale “grazie al quale tutto rifiorisce”, carissimi Fratelli e Sorelle, inizia anche quest’anno con il gioioso annuncio: “Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza”. 

Queste parole a cui, nella S. Messa del mercoledì delle Ceneri, rispondiamo “Rendiamo grazie a Dio” mettono subito in evidenza che il protagonista di questa straordinaria avventura è Dio, “grande nell’amore”. È Lui che apre la strada di un nuovo esodo per condurci fuori dalla schiavitù in cui continuamente ricadiamo; ed è Lui che sostiene le nostre deboli forze lungo il cammino che ci propone e di cui ci indica anche i passi fondamentali: preghiera e ascolto della Sua Parola per vedere ciò che realmente siamo, come viviamo e dove ci troviamo; digiuno per dare alla nostra vita un nuovo orientamento attraverso un sano distacco da noi stessi e dai criteri di giudizio che il mondo propone e che noi accogliamo; elemosina, in tutte le forme della carità, per aprirci alla condivisione, al dono di noi stessi, secondo la vera dimensione della creatura nuova nata nel Battesimo.  

Siate santi perché io sono santo” ci dice il Signore. E noi comprendiamo, a questa luce, che la santità non è riservata ad anime speciali, ma è la “stoffa ordinaria della vita cristiana”, tessere la quale significa mettere il Signore al cuore della nostra vita e del nostro agire. 

Le virtù che ammiriamo in un santo – diceva lucidamente Papa Benedetto – non sono una sorta di risultato olimpico, ma l’opera di Dio che diventa visibile in una persona e attraverso di essa”; e il servo di Dio Divo Barsotti affermava:Il Signore non vi ha negato nulla di Sé. La santità viene in seguito all’averlo ricevuto. Dovete avere soltanto una preoccupazione: credere e credere sul serio e credere che è qui, credere che vi ama e credere che siete con Lui. È il vivere con Lui che ci farà buoni; è l’accogliere Lui che ci farà santi. “Chi è un santo?” chiesero al servo di Dio Luigi Giussani; rispose: “È un uomo vero perché aderisce a Dio e quindi all’ideale per cui è stato costruito il suo cuore”.

A questo il Signore ci chiama, ognuno nel suo stato di vita, nei rapporti, nel lavoro, nelle situazioni liete e dolorose della vita di ogni giorno. Ed è questo ciò di cui la Chiesa ha bisogno nel suo faticoso cammino lungo i tornanti della storia: sant’Agostino dice che la prima domanda che rivolgiamo al Padre nella preghiera insegnata da Gesù – “Sia santificato il tuo nome” – significa chiedergli: “Fà che ci santifichiamo per mezzo di Te”.

Non avere paura della santità! – scrive il Santo Padre Francesco nella ‘Gaudete et exsultate’ – Non ti toglierà forze, vita e gioia. Tutto il contrario. Arriverai ad essere quello che il Padre ha pensato quando ti ha creato e sarai fedele al tuo stesso essere. Dipendere da Lui ci libera dalle schiavitù e ci porta a riconoscere la nostra dignità.  Ogni cristiano, nella misura in cui si santifica, diventa più fecondo per il mondo. Non avere paura di puntare più in alto, di lasciarti amare e liberare da Dio. Non avere paura di lasciarti guidare dallo Spirito Santo. Nella vita – diceva León Bloy – non c’è che una tristezza, quella di non essere santi”.

2. Nel cammino quaresimale incrociamo, quest’anno e nei prossimi, il “cammino sinodale”. Non è difficile vedere che i passi dell’uno e dell’altro – comuni sotto tanti aspetti – si compiono sulla stessa strada che è quella di un vero rinnovamento dei singoli e delle comunità. La Chiesa che è in Italia, accogliendo la chiamata del Papa, ha articolato in tre fasi il “cammino sinodale”: la prima – di cui a suo tempo a tutte le comunità sono state comunicate le modalità e le tempistiche – è in corso.

Gli incontri comunitari, il confronto fraterno “siano occasione di ripresa, di uno scatto di vitalità, di cui le nostre comunità hanno bisogno” ho proposto nella Lettera Pastorale; e ai Sacerdoti, nella concomitante lettera a loro indirizzata, ho scritto: “Nella situazione che l’epidemia ha prodotto e di fronte alle crepe che ha svelato, già presenti sottotraccia da molto tempo, a nessuno sfugge che sono indispensabili dei profondi cambiamenti per attuare i quali occorre coraggio. Non possiamo permettere al Covid di farci ‘tirare i remi in barca’. Non possiamo limitarci allo stretto indispensabile in attesa di tempi migliori: il tempo migliore è sempre quello nel quale la Provvidenza ci chiama a vivere”.

Nell’attesa di ricevere i contributi di riflessione maturati nelle comunità – in incontri certamente non agevolati dalla situazione sanitaria migliorata, ma non risolta – e di inviarli alla Conferenza Episcopale che li trasmetterà al Sinodo dei Vescovi, desidero ricordare che il “cammino sinodale” proseguirà, in Italia, nelle fasi “sapienziale” e “profetica”: valutazione, alla luce dello Spirito Santo, di quanto si è rilevato e concrete proposte per la vita ecclesiale, per la  irrinunciabile missione di annunciare Gesù Cristo a chi ancora partecipa alla vita della comunità cristiana, e, con particolare urgenza, e metodi nuovi, a chi dalla comunità è lontano; senza nascondersi che “vicini” e “lontani” vivono oggi in un contesto segnato da una profonda crisi di fede e che la missione ha bisogno di comunità in relazione alle quali si possa dire: “Vieni e vedi”.  

Una delle tentazioni più serie che soffocano il fervore e l’audacia – ci ricorda il Papa nella ‘Evangelii gaudium’ è il senso di sconfitta che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura”. “Occorre che nelle comunità cristiane – leggiamo nell’Istruzione ‘La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa (20.07.2020)’ – si attui una decisa scelta missionaria, capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato alla evangelizzazione del mondo attuale, più che all’autopreservazione. La mera ripetizione di attività senza incidenza nella vita delle persone concrete, rimane uno sterile tentativo di sopravvivenza, spesso accolto dall’indifferenza generale. La conversione pastorale deve toccare l’annuncio della Parola di Dio, la vita sacramentale e la testimonianza della carità, ovvero gli ambiti essenziali nei quali la parrocchia cresce e si conforma al Mistero in cui crede. Ma la conversione delle strutture, che la parrocchia deve proporsi, richiede “a monte” un cambiamento di mentalità e un rinnovamento interiore, soprattutto di quanti sono chiamati alla responsabilità della guida pastorale”. 

C’è bisogno, carissimi Fratelli e Sorelle, Sacerdoti, Religiosi e Laici, di coraggio e di rinnovata fiducia. C’è bisogno di carità vera (“Ubi caritas est vera Deus ibi est”), capace di generare la concordia che non è uniformità in ciò che è opinabile, ma la volontà di raggiungere insieme, pur partendo da punti di vista anche diversi, ciò che il discepolo di Cristo, alla luce del Vangelo, deve volere.

Buon cammino!

 † Edoardo, Vescovo


Chiediamo a Dio il dono della pace

Ivrea, 25 Febbraio 2022

Carissimi Confratelli,
per chiedere a Dio il dono della pace, in relazione alle tristi notizie che giungono dall’Ucraina, invito le Parrocchie e le comunità a organizzare, nella giornata di martedì 1 marzo, un’ora di preghiera e di adorazione Eucaristica, di cui si potrà dare notizia ai fedeli nelle Messe di domenica 27.
A Ivrea tale momento si terrà alle ore 20,30 nella chiesa di S. Maurizio.

+ Edoardo, vescovo

Giornata Mondiale della Vita Consacrata

Il lieve differimento, dal giorno 2 febbraio, quello scelto da 26 anni per la celebrazione della “Giornata Mondiale della Vita Consacrata”, al successivo sabato 5, si è rivelato forse provvidenziale anche perché capace di offrire un’altrimenti non così immediatamente percepibile contiguità: quella tra due messaggi, insegnamenti “forti”, che paiono diretti proprio a chi assecondi una vocazione.

Il primo. Sappiamo che il 5 febbraio la Liturgia del giorno propone, tra l’altro, l’icona offerta dal Vangelo di San Marco, con l’immagine di Cristo che prova “compassione” per quella folla che gli pare come di “pecore che non hanno un pastore”: sicchè deve assumersi Lui stesso l’incarico di “insegnare loro”.

E, il secondo, nella Liturgia della appena successiva domenica 6 febbraio, dapprima affidato ad una narrazione che pare richiamare ciò che oggi si dice “storytelling” o, meglio, un esempio di “case history”: con la “cronaca” di un travaglio.

Il travaglio di Isaia, costretto a misurare la distanza tra la sua minorità, la sua finitudine di uomo: “un uomo dalle labbra impure io sono” e l’esigente evidenza cui non può sottrarsi: “eppure io ho visto”, sicchè si risolve non già a “rassegnarsi”, bensì a “consegnarsi” al compito pensato per lui: ”eccomi, manda me”.

Davvero, se si fosse cercato di concepire un momento, scorrendo il calendario, così propizio per porre la “Giornata della vita consacrata” sotto la protezione del Padre, sarebbe stato difficile individuare un “fine settimana” così promettente di grazie e spunti per la meditazione, per la preghiera, per la contemplazione.

Il video che volentieri il “RisveglioWeb” ha messo a repertorio in questa bella mattina, incoraggiata anche da un sole tiepido, alla Chiesa di San Francesco in Rivarolo Canavese, racconta proprio di un momento di preghiera e riflessione comune, che il Vescovo Mons. Edoardo Aldo Cerrato ha condotto con una numerosa rappresentanza di appartenenti a Ordini e Congregazioni maschili e femminili che pregano e lavorano in Diocesi.