Author: admindiocesi

Omelia per la partenza dei Pellegrini a piedi Andrate – Cammino notturno

Sia lodato Gesù Cristo! Carissimi, siamo qui, all’inizio del Pellegrinaggio al S. Monte, alla Casa della Madre in Oropa, per fare memoria del nostro Battesimo: il Sacramento, opera di Dio, grazie al quale siamo diventati cristiani, partecipi della vita di Gesù Cristo, innestati su di Lui, e perciò Figli di Dio, “Figli nel Figlio”, abitati, come Gesù, dallo Spirito Santo, l’Amore infinito che dal Padre e dal Figlio procede e si dona!

Siamo qui a dire grazie al Signore per questo dono immenso che colloca la nostra vita, ogni suo istante, in una dimensione che costituisce la “diversità” del cristiano, e apre ad ogni nostro pensiero, ad ogni palpito del nostro cuore, ad ogni nostro atto di amicizia, di amore, di lavoro, l’orizzonte sconfinato della eternità!

Il rinnovare le Promesse, il fare memoria di quell’atto di amore infinito con cui Dio ci ha presi, creature umane, e ci ha elevati a partecipare della Sua vita divina, non è un rito: è prendere in mano la nostra vita e dire al Signore: “Io sono dono Tuo! Ti offro ciò che Tu hai fatto di me, Ti offro i Tuoi doni!”. Come nella celebrazione della S. Messa, al momento detto “dell’Offertorio”, preghiamo: “dalla Tua bontà abbiamo ricevuto questo pane/questo vino, frutto della terra e del nostro lavoro; lo presentiamo a Te”, così qui, questa sera, noi diciamo a Dio: “Ti offro me stesso riconoscendo che vengo dalla Tua bontà…  Ho bisogno di purificazione, sì. Ho bisogno di crescere secondo la statura del Tuo Figlio, o Padre, ma l’aiuto che Ti chiedo passa attraverso la consapevolezza che io sono Tuo, ad un titolo inimmaginabile, io appartengo a Te e la Tua vita scorre in me. Io Ti offro quanto ho di più prezioso; Ti offro i Tuoi doni”!

Cari Amici, aggiungo solo questo: già oggi e – ancor più negli anni che verranno – la scristianizzazione che avanza mina alla radice proprio questa Verità e fa di tutto per scalzarla… Non basta essere “brava gente”: c’è di uomini e donne, di giovani e di adulti, che credono fortemente nella Verità proclamata da Cristo, nella Verità che è Lui stesso.

Forza, coraggio! Non siamo soli a combattere la buona battaglia della fede cristiana! C’è con noi il Signore Gesù Cristo presente e vivo; c’è la S. Madre di Dio e degli uomini, a cui già abbiamo cantato: “Donna dell’attesa e madre di speranza, Donna di frontiera e madre dell’ardore”, e a cui al termine diremo con S. Giovanni Paolo II:

A Te con fiducia ci affidiamo. Con te intendiamo seguire Cristo, Redentore dell’uomo: la stanchezza non ci appesantisca né la fatica ci rallenti, le difficoltà non spengano il coraggio né la tristezza la gioia del cuore. Tu Maria, Madre del Redentore, veglia sul nostro cammino e aiuta i tuoi figli, perché incontrino, in Cristo, la via di ritorno al Padre! Amen”.

OMELIA DEL VESCOVO EDOARDO C.O. AL PELLEGRINAGGIO DIOCESANO DI IVREA AD OROPA 10.08.2024

Carissimi Fratelli e Sorelle, Sia lodato Gesù Cristo!

Grazie per la vostra numerosa presenza al Pellegrinaggio annuale della nostra Diocesi al Santuario di Oropa! La vostra presenza dice l’affetto filiale per la Vergine Madre; ma dice anche la consapevolezza che non siamo degli isolati, ma una comunità alla cui vita è bello partecipare, essere presenti, nei momenti ordinari e in quelli straordinari.

Il cammino sinodale che da tempo siamo invitati a fare nell’ambito delle singole Parrocchie e delle Vicarie ha il suo fondamento nella volontà di camminare insieme con le sensibilità diverse che ci caratterizzano per età, formazione, visione della realtà: non solo idealmente e a parole, ma con un vero confronto e con la concretezza dei passi. “Credo la Chiesa Una, Santa Cattolica ed Apostolica” proclamiamo nella Professione di fede: questa dichiarazione è vera se è adesione convinta (e magari anche sofferta) alla condivisione con tutti, non solo con quelli che ci sono simili.

Grazie, dunque, a voi che ci siete.

Questo Pellegrinaggio è un atto di fede e noi insieme lo compiamo in un tempo in cui anche nelle nostre comunità è evidente che in crisi è la fede cristiana, il credere cristianamente a sostegno del quale non bastano alcune manifestazioni di religiosità popolare, ma occorre una adesione profonda alle verità della fede, alla visione della vita che ci viene da Cristo; una adesione convinta al cammino di fede che si compie dentro alla comunità cristiana, nell’ascolto della Parola di Dio, nella grazia che il Signore ci dona attraverso i Santi Sacramenti, nel coraggio di vivere la “diversità” cristiana, la nostra identità di cristiani, in una società che, in tanti ambiti, segue ormai tutt’altra direzione…

  1. Carissimi Fratelli e Sorelle, dico anche a voi ciò che ho detto ai giovani della Pastorale giovanile nel loro incontro sul servo di Dio Gino Pistoni (che nasceva 100 anni fa e 80 anni fa moriva offrendo consapevolmente la sua giovane vita come dono a Cristo Re e ai fratelli.

Il mio cuore – lasciò scritto – eleva a Te, Signore, un inno di lode e di ringraziamento… Ti ringrazio di avermi chiamato, a dare alla mia vita, prima di allora veramente vuota, uno scopo che la rendesse degna di essere vissuta… Concedimi la grazia necessaria per vivere una vita interamente e profondamente cristiana, tutta dedita al Tuo servizio e alla salvezza delle anime. Amen.

La grazia che Gino chiede, a diciott’anni, è quella del coraggio cristiano.

Deve essere anche la nostra preghiera! La società in cui viviamo manifesta l’assenza – o una presenza troppo scarsa – di coraggio; e nelle stesse comunità cristiane si nota mancanza di slancio, appiattimento sulle proposte del mondo… A volte sembra che il cuore dei credenti soffra di brachicardia: di un battito cardiaco lento o irregolare; sembra che si sia smarrita la certezza che la fondamentale missione della Chiesa – ciò per cui esiste – è annunciare Gesù presente e vivo, Gesù Cristo che ci salva dai nostri peccati e che Lui solo è “la via, la verità e la vita”… Si fanno cose, magari tante cose, ma senza la certezza di cui parla san Paolo: “Questa vita che io vivo nella realtà di ogni giorno la vivo nella fede, nel rapporto di comunione, con Lui che mi ama e dona se stesso per me”.

Il Beato Pier Giorgio Frassati diceva che questo non è vivere, ma “vivacchiare”! Vivere, per il cristiano, è lanciarsi nella corsa – dice san Paolo – per raggiungere Cristo che ci ha afferrati!

Il coraggio dei Santi non è il coraggio di superuomini o superdonne: è l’amore che nel loro cuore arde per Cristo; è fede in Lui, nella Sua presenza! È l’affidamento a Lui che si compie nella preghiera, nei Sacramenti, nella S. Eucaristia, nell’esercizio della carità cristiana.

“Offro la mia vita” scriverà Gino sul tascapane intingendo il dito nel sangue che sgorga dalla ferita ricevuta mentre soccorre un ferito del campo nemico… Aveva scritto: “Il mio cuore eleva a Te, Signore, un inno di lode e di ringraziamento”. In questo terreno fiorì anche il suo gesto eroico di carità.

Carissimi amici, forza, coraggio, slancio, se vogliamo sperimentare la gioia promessa da Cristo! Bando alla tiepidezza!  La bellezza della vita cristiana è camminare verso i beni eterni, abbracciati a Gesù Cristo: per Cristo, con Cristo e in Cristo!”.

Le ho dette ai giovani queste cose, prima ancora a me. Ora le dico a voi, a quelli presenti a anche agli altri.

  1. Siamo saliti quassù, carissimi Fratelli e Sorelle, accompagnati oggi anche dai martiri Lorenzo e Besso. Il santo diacono di Roma offrì la vita a Cristo sotto Valeriano, in una persecuzione che, diversamente dalle precedenti, non obbligava a rinnegare pubblicamente la fede cristiana, solo vietava le adunanze di cristiani, imponeva loro di vivere la fede solo nell’intimo, come un fatto privato… La Chiesa invece era visibile e voleva esserlo. La fede cristiana non è un fatto privato; le comunità cristiane vivevano allo scoperto: le catacombe non erano luoghi segreti di adunanze segrete: erano il luogo in cui i cristiani si riunivano a pregare accanto alle tombe dei loro martiri…

Come san Besso, le cui reliquie veneriamo da secoli nella nostra cattedrale, e al luogo di martirio del quale, sui monti della nostra Val Soana, in comunione con noi salgono oggi pellegrini altri nostri fratelli e sorelle per manifestare l’affetto che da secoli la Chiesa eporediese nutre per questo soldato che accettò di morire pur di affermare pubblicamente, nell’esercito in cui prestava servizio, la propria fede. Non voleva disobbedire agli ordini; voleva obbedire, ma da cristiano.

Due uomini che hanno trovato in Cristo il senso del vivere, ed hanno testimoniato che la fede in Cristo è anche un giudizio sulla realtà che si vive; hanno testimoniato che «Chi ama la propria vita – come dice Gesù, e l’abbiamo ascoltato anche noi, poco fa – la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna».

Lorenzo e Besso vi credettero; per questo la loro vita non si è spenta sotto la spada del persecutore e, a tanti secoli di distanza, noi li sentiamo compagni vivi nel nostro cammino: anche in questo cammino verso la “città” che qui, su questo monte – bella e ordinata, solida e armoniosa come le opere di Dio – si innalza come visibile vessillo della fede.

La Vergine Santissima, capofila dei discepoli di Cristo, ci accompagna e ci sostiene nel cammino!

A Lei, al Suo Cuore Immacolato, rinnoviamo la nostra consacrazione!

 

Sia lodato Gesù Cristo!

 

Con questa lode a Cristo Signore ho anche la gioia di comunicarvi che il 14 settembre, Festa della Santa Croce, la nostra Diocesi riceverà il dono dell’Ordinazione diaconale del nostro seminarista Alessandro Masseroni che si prepara alla Ordinazione presbiterale. Deo gratias!

Lo accompagneremo con la preghiera chiedendo per lui grandezza di cuore, fedeltà a Colui che lo chiama a servire, e grande slancio missionario.


GiPìRUN – Messaggio del vescovo Edoardo alla partenza

Cari Amici che partecipate alla corsa a staffetta con la fiaccola della Vita, organizzata dalla Pastorale giovanile-vocazioni-famiglie!

Quando la vostra iniziativa è stata pensata, già da tempo avevo preso per oggi un impegno fuori diocesi. Così non posso essere con voi in qualche momento di questa giornata, neppure alla vostra partenza dalla Cattedrale. Voglio dirvi però che sono con voi e che apprezzo moltissimo l’iniziativa con cui ricordare il 100° anniversario della nascita e l’80° del sacrificio del servo di Dio Gino Pistoni.
Davvero, è la fiaccola della Vita quella che il giovane Gino ha portato nel suo cammino ringraziando Dio per i Suoi doni e offrendoGli ciò che da Lui aveva ricevuto.

Dire “Viva Cristo Re” – come fa Gino, addirittura scrivendolo con il proprio sangue – è affermare che è Cristo il Signore della nostra vita! Gino lo si comprende solo a questa luce! L’invito che da lui ci viene è fare di Cristo il fondamento e il centro di tutto ciò che viviamo.

Preghiamo Gino Pistoni chiedendo la sua intercessione presso Dio.
Non mancano quelli che desiderano che Gino sia proclamato beato…
Molto bene; è un grande desiderio. Non dimentichiamo però che la beatificazione del servo di Dio ci sarà quando la nostra preghiera otterrà dalla sua intercessione il dono di un miracolo. Non basta parlare di lui; occorre parlare a lui! Occorre pregare, chiedere che egli preghi per noi.

Vi auguro buon cammino.
Vi abbraccio e vi benedico nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

+ Edoardo, vescovo.

Pellegrinaggio Diocesano ad Oropa sabato 10 agosto 2024

La Diocesi di Ivrea organizza l'annuale pellegrinaggio al Santuario di Oropa sabato 10 agosto. Il programma prevede:

  • ore 9,00 – 10,00: sacerdoti disponibili per le confessioni
  • ore 10,00: Basilica superiore: S. Messa presieduta dal Vescovo
  • al termine della Messa: processione verso la Basilica antica per la recita dell’Angelus
  • ore 15,30: Basilica superiore: recita del S. Rosario e Benedizione Eucaristica.

A partire dalle ore 9,45, sui canali social (Facebook, Instagram e X) della Diocesi di Ivrea, verranno trasmesse live, pubblicati video e foto per permettere a tutti coloro che non potranno partecipare di assistere alle celebrazioni. Il servizio è a cura dell'Ufficio diocesano per le Comunicazioni Sociali in collaborazione con Il Risveglio Popolare.

Per le prenotazioni del pullman rivolgersi presso la propria Parrocchia.

La Pastorale Giovanile Diocesana organizza il pellegrinaggio a piedi che inizierà venerdì 9 agosto alle ore 23.00. Preghiera presso la Chiesa parrocchiale di Andrate e partenza del pellegrinaggio. Il luogo di partenza dovrà essere raggiunto con mezzi propri.


Intervista “Risveglio” 31.08.2017

-La pubblicazione degli asterischi scritti in questi anni per il nostro giornale significa che intende chiudere una parentesi?
Direi proprio di no. Mi pare ancora valida la motivazione con cui ho iniziato questa forma di colloquio. E quindi, a Dio piacendo, vorrei continuare.Sono consapevole che si tratta di piccola cosa: il titolo della rubrica –“Asterischi” –lo dice. La pubblicazione della raccolta è iniziativa di amici che vivono in vari posti, in Italiae persino altrove. Posso dire anche di più di quanto ho scritto nella Presentazione: chi me lo ha sugge-rito–sono amici, di qui la loro amabilità mi ha detto: “Eravamo abituati ad avere con una certa frequenza qualche tua pubblicazione, ma da quando sei vescovo ci hai tolto l’abitudine”.Ho risposto che ho meno tempo di prima, benché la mia vita nella Congregazione dell’Oratorio non sia stato affatto un “otium” letterario… Allora è venuto il suggerimento: “Ci è capitato di leggere qualcuno degli asterischi. Perché non ne fai una raccolta?”.Ho detto di sì. Posso anche aggiungere che uno degli amici, dopo aver lettola bozza, ha osservato: “Edoardo, da quarant’anni, da quando ti conosco, dicile stesse cose…”. L’ho preso come un complimento. Sulle cose importanti c’è una “stabilitas” che assomiglia più all’“antico” che al “vecchio”…

-Asterisco. Perché ha scelto questa forma di colloquio?
Primo, perché consente una “brevitas” che ad altre forme di colloquio non si addice. Qualcuno osserva che sono “lungo”nelle omelie.Forse è vero, ma non è così negli scritti:addirittura nelle Lettere pastorali… Ammiro l’ampiezza di quelle di tanti miei confratelli nel Collegio Apostolico: veri libri, in molti casi; ma lamia esperienza di quand’ero fuori dal“Collegio” –cioè fino a cinque ani fa –è che non sempre si giunge alla fine del testo, a meno che non si tratti di Pastori che dicono cose così avvincenti da inchiodarti per ore alla lettura…Se una lettera è breve, c’è speranza che almeno la si legga fino a metà…Secondo, perché questa forma consente di affrontare argomenti “attuali”, nel senso che si tratta di cose, fatti, suggestioni che accadono nel momento in cui gli “asterischi” compaiono… E infatti la data della pubblicazione è, quasi sempre, elemento integrante di ognuno…Terzo, perché credo nel valore del nostro giornale. Avrei potuto “postare”queste riflessioni soltanto sul sito della diocesi, ma credo nel valore del nostro giornale!

-Mare vasto e infinito, navigazione…
Perché ha scelto questi titoli per la raccolta di riflessioni lanciate ad un territorio come il Canavese?Geograficamente parlando non penso siano i più azzeccati, ma io –di indiscussa origine piemontese–ho sempre provato il fascino del mare. E quando ho incominciato –presto, grazie a Dio –a cercare di approfondire un poco le radici della fede cristiana, guardando a Gesù Cristo, ho scoperto con immenso piacere come anche Lui, di indubbia origine non marinara, ha provato il fascino del mare, sia pure del piccolo “Mar di Galilea”che, per la gente di quei luoghi, era, comunque, “il mare”.

In uno degli asterischi ho scritto: “L’ho sempre amato, il mare, per la sua bellezza, la forza, l’incessante movi-mento, la varietà dei colori, l’infinito che evoca con la sua vastità, il mistero che le profondità dei suoi fondali richiamano; amato, inoltre, anche per una lezione che, insieme a tante altre, da esso col-go: se per terra l’andare senza meta può essere, in alcuni casi, persino misura ed espressione di libertà, per mare questo non è consentito: senza rotta, senza la tensione verso il por-to, c’è solo deriva, naufragio. Mi ha sempre colpito che i principali degli apostoli di Cristo fossero pescatori, sia pur nel piccolo Mar di Galilea”…Mi sento in sintonia con pensieri come questi: “Sapete di qua-le amore io amo? Io amo come il mare ama la riva: dolcemente e furiosamente!” (F.De Roberto).“Si ottiene dal mare quello che ci offre, non quello che vogliamo. Le nostre reti sono una domanda. La risposta non dipende da noi”(E. De Luca).“Vedere le onde e avere la certezza che sono state offerte da qualcosa di eterno che tende la mano fino a noi per dirci: Ho bucato il muro del nulla per venire fino da te” (F. Caramagna).

-Allora, Eccellenza, buona navigazione e buona pesca! Con san Filippo nel cuore?

Grazie! Sì, con san Filippo nel cuore! Credo che nessuno si senta defraudato di qualcosa quando un uomo porta nel cuore suo padre!

(da “Il Risveglio popolare”, 31-08-2017)

Asterischi – 5 dicembre 2019

Un nuovo libro di don Giovanni Zaccaria – La Messa spiegata ai ragazzi (e non solo a loro), Ed. Ares – ha il pregio di “raccontare” con un linguaggio semplice la Santa Messa, e di sottolineare lo stretto legame tra la liturgia e la vita personale del cristiano. Traggo da una intervista all’autore qualche spunto di riflessione per il cammino di questo anno pastorale che abbiamo dedicato alla “convocazione”: Eucaristia: convocati alla presenza del Signore.:

«A Messa ci andiamo perché “convocati”: che cosa significa?

Io penso che tutti abbiamo come la sensazione che, quando andiamo a Messa, siamo noi a decidere. Pensiamo: sono io che decido quando vado a Messa, in quale chiesa, con quale sacerdote, con quali amici etc… Questo è anche vero, ma solo in parte. Noi, infatti, cresciamo con l’idea che la vita cristiana sia quello che io faccio per Dio e, siccome io sono buono, allora scelgo di riservare un po’ del mio tempo a Lui. Ebbene, la realtà è esattamente il contrario: tutto quello che di buono facciamo nella nostra vita, è una risposta ad una chiamata di Dio, che viene sempre prima di noi. Ecco perché si dice che alla Messa noi siamo convocati: perché non sono io, ma è Dio che per primo mi chiama. È lo Spirito Santo che mi viene a cercare perché vuole stare con me. Nella Messa è Dio stesso che cambia le regole dello spazio e del tempo, pur di stare con me. È chiaro poi, che a questa convocazione, io posso rispondere “Sì” o “No”, perché Dio non ci toglie mai la libertà, altrimenti non ci sarebbe l’amore. D’altra parte, però, Lui non si stanca mai di chiamarci e di venirci incontro per primo».

«Spiegando il momento dell’Offertorio, lei fa capire una cosa fondamentale: la Messa è un avvenimento che c’entra concretamente e personalmente con la vita di ognuno di noi.

È molto importante, nella Messa, stare attenti a quello che dice il sacerdote quando offre il pane e il vino: “Benedetto sei Tu Signore, Dio dell’Universo, dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Li presentiamo a te perché diventino il Corpo e il Sangue di Cristo”. Questa preghiera significa che non c’è Eucaristia, se non ci sono grano e vite ma, soprattutto, se non c’è il lavoro dell’uomo che trasforma quel grano e quella vite in pane e vino. In altre parole: non c’è Eucaristia se non c’è il lavoro dell’uomo. Attenzione però, non stiamo parlando di un lavoro generico, ma proprio del tuo, personale, lavoro! Che sia fare un letto o progettare un aereo, giocare a calcio o studiare etc… tutta la tua vita, tutto quello che fai, tutto quello che ti esalta e tutto quello che ti deprime, tutta la tua esistenza entra perfettamente in questa preghiera dell’Offertorio. Non solo: attraverso il sacerdote, tutto questo passa dalle tue povere mani, direttamente alle mani di Dio. Come cambia allora la nostra vita! Sapere che tutto quello che fai, tutto quello che vivi, ogni emozione che provi, puoi viverla insieme a Dio, puoi offrirla a Lui e condividerla con Lui… Non c’è più nulla nella vita che resti privo di senso! Capire questo è fondamentale perché ci fa entrare in un’altra dimensione: quando vai a Messa non sei più solo uno spettatore, che assiste ad un evento da fuori, come se fosse ad un teatro o ad un convegno. La Messa è tua, esattamente quanto lo è del sacerdote! Ovviamente ciascuno ha il proprio posto. Ma il solo fatto che tu sia lì presente, che offri la tua esistenza, innestato nel Sacrificio di Cristo, dona alla tua esistenza un valore incommensurabile! Tutta la tua vita acquista un senso totalmente nuovo. Per questo, noi possiamo dire di essere sacerdoti della nostra stessa esistenza».

«È questo il sacerdozio del fedeli di cui si parla nel libro?

Quando dico che il fedele non è un semplice spettatore, trovo giustificazione nel Sacramento del Battesimo. Da cristiani iniziati, cioè battezzati e cresimati, noi siamo innestati in Cristo per sempre, cioè diventiamo membra del Suo stesso Corpo. Nel rito del battesimo questo principio è tradotto con una formula bellissima: mentre si unge il capo del bambino con il Sacro Crisma si dice che questi è assimilato a Cristo “Sacerdote, Re e Profeta”. Queste sono esattamente le stesse tre categorie che si usano per il sacerdozio dei ministri. È chiaro che, in quest’ultimo, si aggiunge una configurazione a Cristo totalmente nuova, per cui la Messa del sacerdote e la Messa del fedele non saranno mai la stessa cosa. Certamente però, anche per il fedele laico, c’è un aspetto di profonda partecipazione al sacrificio eucaristico».

† Edoardo, vescovo

Asterischi – 14 novembre 2019

Desidero riprendere alcune domande e le relative risposte dell’intervista a tutto campo fatta da Aldo Cazzullo, per il Corriere della sera, al card. Camillo Ruini, Presidente della Conferenza dei Vescovi Italiani per tanti anni, e cruciali nella vita della società… Si è fatto molto clamore intorno a questa intervista; giova, invece, riflettere seriamente poiché il Cardinale con chiarezza ed equilibrio invidiabile – se ne trova poco oggi da ogni parte – risponde a domande come queste:

«Cosa si può fare per combattere il calo delle vocazioni? … E anche le chiese, spesso disertate dai fedeli?»

«A tutti questi interrogativi la risposta decisiva è una sola: noi cristiani, e in particolare noi sacerdoti e religiosi, dobbiamo essere più vicini a Dio nella nostra vita, condurre una vita più santa, e domandare tutto questo a Dio nella preghiera. Senza stancarci».

«Vede un declino dell’autorevolezza della Chiesa italiana?»

«Lo vedo, purtroppo. Anche se non dobbiamo esagerare, e tanto meno disperare. Per recuperare autorevolezza dobbiamo esprimerci con chiarezza, coraggio e realismo sui problemi concreti; così la gente può comprendere che il messaggio cristiano la riguarda da vicino».

«Il Papa emerito Ratzinger ha affermato che la crisi dell’Europa è antropologica: l’uomo non sa più chi è. Lei è d’accordo?»

«Sì. Il principale motivo per cui non sappiamo più chi siamo è che non crediamo più di essere fatti a immagine di Dio; la conseguenza è che non abbiamo più la nostra identità, rispetto al resto della natura».

Queste domande e queste risposte hanno ricevuto attenzione scarsa – o sono state ignorate – da parte dei media, rispetto a quelle sul cattolicesimo politico di sinistra, sulla ventilata fondazione di un nuovo partito dei cattolici, sulla valutazione su Salvini e il dialogo con lui.

Alla domanda: «Ha l’impressione che i cattolici nella politica italiana non contino molto?» il cardinale risponde: «Sì, oggi è così. E non per caso. Ma spero che non si tratti di una situazione irreversibile».

“E non per caso”! Qui sta il punto da cui dovremmo partire a riflettere!

Don Martín Lasarte, missionario uruguaiano in Angola, ha partecipato, invitato da Papa Francesco, al Sinodo dell’Amazzonia. «Non ci saranno vocazioni alla vita religiosa e sacerdotale in Amazzonia se non ci sono processi seri e profondi di annuncio ed evangelizzazione nelle comunità cristiane, di fede contagiosa, di testimoni credibili». «In molti luoghi – scriveva Papa Francesco nella “Evangelii Gaudium” – c’è carenza di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Questo si deve spesso alla mancanza di zelo apostolico contagioso nelle comunità, che non li entusiasma né li affascina».

«È mancato – ha rilevato in riferimento al Sinodo – un più profondo senso di autocritica ecclesiale. Mi riferisco alla scarsa incidenza pastorale di questi ultimi cinquant’anni nelle diverse realtà ecclesiali amazzoniche. Quali sono le cause della sua povertà pastorale e della sua infertilità? A mio avviso, non sono stati sufficientemente toccati i temi dell’ideologizzazione sociale del ministero pastorale e della mancanza di una testimonianza credibile, coerente e splendente di santità dei ministri (fenomeno di tanti abbandoni di vita religiosa e sacerdotale, o di vita ambigua). A mio avviso, i problemi più profondi dell’evangelizzazione non sono stati focalizzati. Quali sono le nuove vie proposte dal Sinodo? Solo nuove strutture e le ordinazioni di “viri probati”. Mi sembra che queste novità siano enormemente povere. A mio modo di vedere, la nuova veste in cui dobbiamo rivestirci con nuovo fervore è un problema di fede: indossare Cristo. Il pericolo è quello  di una Chiesa trasformata in ONG. Si riduce il mistero, la vita e l’azione della Chiesa a varie attività di “advocacy” e di servizio sociale».

“Quali sono le cause?”. Anche qui una domanda. E da essa occorre partire a riflettere.

† Edoardo, vescovo

Asterischi- 24 ottobre 2019

La diocesi di Biella celebrerà, il prossimo anno, il V Centenario dell’Incoronazione della Vergine, Regina del Monte di Oropa. Vi parteciperemo anche noi di Ivrea che ogni anno saliamo al santuario della Vergine Bruna con il pellegrinaggio tra i più numerosi di quelli che Oropa annualmente accoglie. Qui, in diocesi, il 27 agosto scorso, a Prascundù, abbiamo ricordato in festa il IV Centenario dell’Apparizione della Vergine, venuta a portare conforto ad un povero ragazzo, Giovannino. Continuando il gesto che i Vescovi eporediesi hanno compiuto lungo i secoli ponendo una Corona sul capo della Tuttasanta Madre di Dio, abbiamo rinnovato l’Incoronazione della venerata statua di Maria.

L’Incoronazione della Vergine ha il suo significato in relazione alla Incoronazione di Gesù Cristo, Re dell’universo. Partecipe come nessun altro di tutto il Mistero di Cristo, Maria partecipa anche della gloria di Cristo risorto che siede alla destra del Padre ed è salutato dalla Chiesa Vincitore della morte e del peccato, Re e Signore di tutto ciò che esiste.

Nella festa della Assunzione di Maria al Cielo in tutta la sua persona, corpo e anima, la Chiesa canta: «Oggi Maria è salita nei cieli. Rallegratevi! Con Cristo regna per sempre».

Queste parole ci danno il senso vero della vita. C’è in esse, innanzitutto, il richiamo al «Cielo» che è la destinazione della nostra vita oltre la morte. Ci crediamo? Non solo vagamente, ma con la certezza che ci insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Il cielo è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde. E’ chiamata “cielo” questa comunione di vita e di amore con la SS. Trinità, con la Vergine Maria, gli Angeli e tutti i Santi. Gesù Cristo ci ha “aperto” il cielo con la sua morte e risurrezione».

«Maria con Cristo regna per sempre». Queste parole ci svelano anche l’impostazione che già ora, sulla terra, dobbiamo dare alla nostra vita per entrare, dopo la morte, nella piena felicità: già ora si tratta di regnare con Cristo, e, questo regnare si esprime nei giorni terreni nel condividere la Sua Croce, la Sua corona di spine, il Suo inginocchiarsi a lavare i piedi: regnare è servire, donarsi, conformarsi a Cristo, esercitando il “sacerdozio regale” che tutti abbiamo ricevuto nel S. Battesimo e che da tutti quindi deve essere esercitato nei diversi ambiti dell’esistenza, nella vita anche sociale e politica alla quale siamo chiamati a partecipare alla luce di una chiara ispirazione cristiana: «Per la loro appartenenza a Cristo Signore e Re dell’universo – insegna san Giovanni Paolo II – i fedeli vivono la regalità cristiana, anzitutto mediante il combattimento spirituale per vincere in se stessi il regno del peccato, e poi mediante il dono di sé  per servire Gesù stesso, nella carità e nella giustizia».

Anche a questo riguardo mi sia permessa una domanda: quella posta in una sua catechesi del ’67 dal grande Pontefice san Paolo VI, il quale, dopo aver presentato, alla luce del Concilio Vaticano II, la natura e l’esercizio del sacerdozio regale dei battezzati, diceva: «Dobbiamo chiedere a noi stessi se la coscienza del carattere sacro della nostra vita, compaginata a quella di Cristo, sia davvero in noi sveglia ed operante; se essa ci aiuti a ben giudicare il bene e il male morale; e se la doverosa premura di distinguere il sacro dal profano, tanto nel campo del sapere come in quello dell’operare, non ci faccia spesso dimenticare che siamo tutti rivestiti d’un carattere sacerdotale, e non ci porti a dissacrare la nostra mentalità, il nostro abito, la nostra attività; vi è una tendenza a far scomparire il nome di cattolico, a tutto laicizzare e desacralizzare. Sarebbe tale tendenza conforme allo spirito del Concilio? avrebbe essa la virtù di animare quel rinnovamento che il Concilio intende promuovere? Fatte le debite distinzioni, a Noi non sembra. E a voi, diletti Figli, che cosa sembra?»

† Edoardo, vescovo

Asterischi – 3 ottobre 2019

Mese di Ottobre, mese missionario, non solo quest’anno. Ho letto un interessante articolo di Sandro Magister che commenta sull’Espresso del 23 settembre scorso ciò che affermano i fautori dei preti sposati motivando la richiesta con la scarsità di preti celibi in regioni dove alle piccole comunità disperse bisogna assicurare – dicono – che si offra a tutti la celebrazione della Messa a cadenza regolare, e non soltanto rare volte all’anno.  

«Curiosamente – scrive il giornalista – gli stessi che si mostrano così generosi nel voler elargire l’eucaristia sono anche i più avari nel convertire e amministrare il battesimo, evidentemente da loro equiparato al “proselitismo”: “Non ho mai battezzato un indio, e neppure lo farò in futuro”, ha detto il vescovo Erwin Kräutler.

La contraddizione maggiore, però, è con due millenni di storia della Chiesa, che hanno visto innumerevoli casi di scarsità di preti celibi per comunità disperse, senza però che nessuno derivasse da ciò – con ragionamento puramente funzionale, organizzativo – l’obbligo di reclutare come celebranti anche uomini sposati, i cosiddetti “viri probati”. Non solo. La storia insegna che la scarsità di preti celibi non necessariamente si risolve in un danno per la “cura d’anime”. Anzi, in alcuni casi addirittura coincide con una fioritura della vita cristiana. È stato così, ad esempio, nella Cina del XVII secolo. Ne ha dato conto una fonte insospettabile, “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma, in un dotto articolo di tre anni fa del sinologo gesuita Nicolas Standaert, docente all’Università Cattolica di Lovanio.

Nel XVII secolo in Cina i cristiani erano pochi e dispersi. Scrive Standaert: “Quando Matteo Ricci morì a Pechino nel 1610, dopo trent’anni di missione, c’erano circa 2.500 cristiani cinesi. Nel 1665 i cristiani cinesi erano diventati probabilmente circa 80.000, e intorno al 1700 erano circa 200.000″.

E pochissimi erano anche i sacerdoti: “Alla morte di Matteo Ricci, c’erano soltanto 16 gesuiti in tutta la Cina: otto fratelli cinesi e otto padri europei. Con l’arrivo dei francescani e dei domenicani, intorno al 1630, e con un lieve incremento dei gesuiti nello stesso periodo, il numero dei missionari stranieri arrivò a più di 30, e rimase costante tra i 30 e i 40 nell’arco dei successivi trent’anni. In seguito vi fu un incremento, raggiungendo un picco di circa 140 tra il 1701 e il 1705. Ma poi a causa della controversia sui riti il numero dei missionari si ridusse di circa la metà”.

Di conseguenza la gran parte dei cristiani cinesi incontravano il sacerdote non più di “una o due volte l’anno”. E nei pochi giorni in cui durava la visita, il sacerdote “conversava con i capi e con i fedeli, riceveva informazioni dalla comunità, si interessava delle persone malate e dei catecumeni. Ascoltava confessioni, celebrava l’eucaristia, predicava, battezzava”.

Poi il sacerdote per molti mesi spariva. Eppure le comunità reggevano. Anzi, conclude Standaert: “Si trasformarono in piccoli ma solidi centri di trasmissione di fede e di pratica cristiana”. Senza elucubrazione alcuna sulla necessità di ordinare uomini sposati».

Vorrei ricordare un missionario della nostra terra, la cui memoria, forse, si è sbiadita: il Beato Antonio Rubino, nato a Strambino ed entrato giovane a Torino nella Compagnia di Gesù. Dopo aver proseguito gli studi ad Arona e a Milano, nel 1612 fu inviato in missione in India, a Goa. Qui insegnò teologia e si dedicò alla predicazione al popolo facendosi amare da tutti.

Nel 1639 ricevette l’ordine di partire per la colonia portoghese di Macao e di qui in Giappone. Grandi difficoltà fecero tardare la partenza: solo nell’agosto del 1642 insieme a quattro compagni riuscì a imbarcarsi per l’isola giapponese di Sodsuma. Ma giunti a Nagasaki furono arrestati, messi in prigione e barbaramente torturati. Caricati poi su giumenti, con la museruola alla bocca ed una scritta sulla schiena, furono portati al luogo del supplizio, appesi capovolti ad un palo, sepolti a metà in una fossa, e lasciati morire. Era il 22marzo 1643. Diede la vita per l’annuncio del Vangelo poiché il Vangelo era diventato la sua vita.

† Edoardo, vescovo