Omelia nella Basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro Pavia, 24 Agosto 2022

24-08-2022

Eccellenza Reverendissima, carissimi Padri della Comunità Agostiniana, 

e carissimi Fratelli e Sorelle, sia lodato Gesù Cristo!

1. Grazie di cuore per il fraterno invito che mi dà la gioia di ritornare in questa splendida basilica “in Ciel d’Oro” a celebrare con voi la S. Eucaristia in occasione della annuale apertura dell’Arca che le contiene le venerate reliquie del grande Padre sant’Agostino, giunte qui, a Pavia, il prossimo anno saranno tredici secoli; e di ritornare a chiedergli di intercedere anche per me affinché io porti con fedeltà a Cristo e alla Chiesa, nella Chiesa che è in Ivrea, alla quale dieci anni fa sono stato mandato, la “episcopalis sarcina” che il santo Vescovo di Ippona ben conosceva.

Egli è – è stato scritto – «il massimo pensatore cristiano del I millennio e certamente anche uno dei più grandi geni dell’umanità in assoluto, un pilastro della cultura, della teologia e della spiritualità, ma anche l’uomo vivo che parla, da cuore a cuore, agli uomini di tutti i tempi» (G. Vigini, Prefazione a Le Confessioni, 2010). Ma noi sentiamo di potergli parlare con confidenza e fiducia.

Giovanni Papini, che percorse il cammino della conversione per giungere a Cristo, diceva: “Agostino è uno di quegli uomini per i quali non esiste la morte… Voglio dire che è presente sempre e tutto vivo quaggiù, come se non fosse morto, tanto che si ha l’impressione – dopo che lo si è praticato per un po’ di tempo – di averlo conosciuto, di averci parlato. Di essere amici… In lui c’è l’uomo, tutto l’uomo, un uomo che assomiglia a noi: che a momenti scorgiamo tutto trasfigurato e fulgente nella città celeste, ma che troviamo sempre nostro fratello; che ha conosciuto le nostre miserie, che ha peccato al par di noi, che ha pianto come un bambino. Che si è innamorato come qualunque adolescente, che ha sentito l’amicizia, che è stato orgoglioso come tutti siamo, che ci porge la sua mano ferma e calda per aiutarci. I suoi peccati erano i peccati che sono comuni ai più… Se n’è liberato, ma con sforzi strapotenti, che rivelano quanto fossero forti le radici della sua umanità, e anche questi sforzi l’avvicinano a noi… Scopriamo, in più, che qualche scoria del vecchio uomo è rimasta in lui sempre dopo la conversione, e questa scoperta – che non pregiudica l’interezza della sua santità – ce lo fa amare anche di più, in quanto gli resta, dopo essere asceso sulla montagna, qualche ombra di quello che aveva addosso nella pianura. Ci sembra, così, ancor nostro fratello; non ha perso tutta l’aria di famiglia».

2. Nella Parola di Dio che la Liturgia oggi proclama nella festa dell’Apostolo san Bartolomeo, l’ultimo degli Apostoli ad essere stato chiamato da Gesù nel gruppo dei Dodici, ci è rivolto un invito che Agostino, vescovo per il servizio dei suoi fedeli e con essi cristiano (“Vobis episcopus, vobiscum christianus”), ha fortemente sentito, lui che giunse al Battesimo arrendendosi all’umiltà della carne di Cristo: «Vieni ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell’Agnello, la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio, cinta da grandi e alte mura con dodici porte… che poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello» (Apoc. 21,9b-14).

«Vieni ti mostrerò». Ciò che siamo chiamati a non perdere di vista, mentre guardiamo alla Chiesa – che mostra quaggiù tutte le macchie e le rughe della nostra infedeltà a Cristo, poiché il suo compimento sarà solo nella gloria del cielo – è lo splendore del “Christus totus” come dice sant’Agostino: l’inscindibile legame del Capo e delle membra di un Corpo che è la pienezza di Cristo, quella di cui, anche in una omelia (Disc. 272), Agostino parlava ai suoi fedeli spiegando che l’Amen che pronunciamo al momento di ricevere il Corpo di Cristo nella S. Eucaristia è un duplice Amen: di Cristo che si dona e del fedele che lo riceve. Noi, corpo di Cristo, rispondiamo “Amen” a ciò che noi siamo.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica (cfr. CCC.752/772, passim) ce lo insegna attingendo alla Sacra Scrittura e alla ricchezza dei testi patristici: «La Chiesa è nella storia, ma nello stesso tempo la trascende. Unicamente con gli occhi della fede possiamo scorgere nella sua realtà visibile una realtà contemporaneamente spirituale, portatrice di vita divina.  San Paolo chiama “mistero grande” (Ef 5,32) l’unione sponsale di Cristo con la Chiesa. E poiché la Chiesa è unita a Cristo come al suo Sposo, essa stessa a sua volta diventa mistero che Paolo esprime: «Cristo in voi, speranza della gloria» (Col 1,27). Sposa dell’Agnello immacolato, Sposa che Cristo si è associata con patto indissolubile, la Chiesa vive della Parola e del Corpo di Cristo, divenendo così essa stessa corpo di Cristo. È nata principalmente dal dono totale di Cristo per la nostra salvezza».

Vivere il cristianesimo, Amici, essere cristiani, ha alla base il nostro incontro con Cristo: una comunione vissuta nella concreta adesione a tutta la Sua Persona, alla Sua Presenza salvifica, a tutto ciò che ci ha insegnato, a tutto ciò che ha fatto e ci ha trasmesso; una comunione che è sorgente anche delle vere relazioni fraterne tra noi, dentro le nostre comunità e tra di esse; e sorgente dell’impegno di testimoniare Colui in cui crediamo. 

Questa comunione con Cristo si chiama, semplicemente, fede cristiana, «il fiducioso affidarsi – scrive il Santo Padre Francesco, citando Papa Benedetto, nella “Lumen fidei”, la sua prima enciclica, troppo spesso dimenticata – a un “Tu”, che è Dio, il quale si è mostrato a noi in Cristo, ha fatto vedere il suo volto e si è fatto realmente vicino a ciascuno di noi». «Avere fede, credere cristianamente, è incontrare questo “Tu”».

La Chiesa, fondata da Gesù Cristo Redentore dell’uomo, è il luogo del nostro incontro con il Salvatore; lì lo incontriamo vivo e presente; lì sperimentiamo che non basta una relazione individuale con Dio poiché la salvezza accade nell’incontro con una persona vivente, e il cristianesimo è rispondere a un Dio che si è fatto uomo, che ci viene incontro in una comunità. 

«Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi» dice Gesù a Natanaele-Bartolomeo nel Vangelo che abbiamo ascoltato (Gv 1,45-51). Ma «vedrai cose più grandi di questa!».

Diceva il Santo Padre Benedetto XVI nella sua visita a Pavia del 2007, cogliendo di sant’Agostino il più essenziale insegnamento: «Ecco il messaggio che ancora oggi sant’Agostino ripete a tutta la Chiesa: l’Amore è l’anima della vita della Chiesa e della sua azione pastorale. Solo chi vive nell’esperienza personale dell’amore del Signore è in grado di esercitare il compito di guidare e accompagnare altri nel cammino della sequela di Cristo. Alla scuola di sant’Agostino ripeto questa verità per voi come Vescovo di Roma, mentre, con gioia sempre nuova, la accolgo con voi come cristiano. Servire Cristo è anzitutto questione d’amore. La vostra appartenenza alla Chiesa e il vostro apostolato risplendano sempre per la libertà da ogni interesse individuale e per l’adesione senza riserve all’amore di Cristo. I giovani, in particolare, hanno bisogno di ricevere l’annuncio della libertà e della gioia, il cui segreto sta in Cristo. È Lui la risposta più vera all’attesa dei loro cuori inquieti per le tante domande che si portano dentro. Solo in Lui, Parola pronunciata dal Padre per noi, si trova quel connubio di verità e amore in cui è posto il senso pieno della vita. Agostino ha vissuto in prima persona ed esplorato fino in fondo gli interrogativi che l’uomo si porta nel cuore ed ha sondato le capacità che egli ha di aprirsi all’infinito di Dio».

Buona festa, carissimi Fratelli e Sorelle!

Ci aiuti sant’Agostino a fare nostra ogni giorno la preghiera che egli fece durante il suo cammino: «Cercando te, Dio mio, io cerco la felicità della vita. Ti cercherò perché l’anima mia viva». (Confessioni X, 20, 29).                                                                                       

Sia lodato Gesù Cristo!