Discorso alla Città per l’Offerta del Cero Votivo Ivrea, Chiesa Cattedrale, 6 Gennaio 2025

Carissimi Amici!

  1. Con questa parola, che mi è cara per la ricchezza dei suoi contenuti, vi do il più cordiale benvenuto in Cattedrale, salutando tutta la Città che sento mia e che voi rendete presente partecipando, numerosi come sempre, a questo tradizionale momento, bello ed atteso.

Fin dal mio arrivo a Ivrea mi sono rivolto a tutti chiamandovi “Amici”. E ora, alla ormai imminente conclusione del mio servizio alla Diocesi, desidero ringraziarvi per l’affetto e la benevolenza che in questi dodici anni ho trovato dentro la comunità cristiana e – con immenso piacere – anche fuori di essa.

Vi ringrazio di cuore, carissimi Eporediesi per essermi stati amici, e per aver donato la stessa l’amicizia anche alla mia cara mamma facendola sentire di casa in questa Città.

Vi ringrazio per le tante – tantissime! – espressioni di affetto che, dal giorno in cui è stato annunciato il mio Successore, ho ricevuto, anche nella semplicità degli incontri per strada…

Porterò con me, nella nuova fase che nella mia vita si apre, un tesoro prezioso di relazioni e di affetti che non coinvolgono solo la sfera dei sentimenti, poiché “volersi bene” è “volere il bene dell’altro” e io sono pienamente concorde su quanto diceva il grande Benedetto XVI che mi ha inviato a Ivrea come Vescovo: “Esserci è un bene”, ed è “un bene che l’altro ci sia”.

Ogni persona umana è un valore prezioso: un essere unico e irripetibile, chiamato a vivere la sua unicità nella comunità, dentro ad una rete di rapporti e nella ricerca del bene comune.

Grazie di cuore!

  1. Cari Amici, lo Storico Carnevale che oggi iniziamo, è l’ultimo a cui partecipo come Vescovo di Ivrea… Ad altro titolo spero di tornare a viverlo anche negli anni che verranno…

In occasione del primo che vissi con voi nel 2013 dissi che il Carnevale di Ivrea non è una “carnevalata”. Ne sono sempre stato convinto. Il suo spirito genuino è quello di una festa di popolo che rievoca momenti significativi della propria storia, alla quale la fede cristiana non solo non è estranea, ma è parte del suo stesso tessuto… Di qui nasce la presenza del Vescovo a tanti momenti della manifestazione: a partire dalla offerta del Cero alla Cattedrale.

In tutti questi anni, quella che potrebbe essere l’omelia di una celebrazione liturgica ho desiderato che avesse la forma di Discorso del Vescovo alla Città: rivolto non solo ai credenti e ai praticanti, ma a tutti, poiché la festa è la festa di tutti.

Così ho cercato, di anno in anno, di affrontare qualche tema: che significa oggi la liberazione dal tiranno? Che cos’è la vera libertà e che cosa comporta la battaglia di un popolo per la libertà? In che consiste l’unità del popolo, il nostro essere uniti? Qual è valore del sacrificio per essere liberi davvero? Quali le caratteristiche del nostro tempo, della sua cultura, della mentalità oggi diffusa?

Quest’anno vorrei proporre a tutti una riflessione a partire dal cammino dei Magi, i Tre Re alla cui chiesa, sul Monte Stella, siete saliti a portare omaggio.

Erano esperti di astronomia, e guardando una stella particolare, apparsa ai loro giorni nel cielo, sentirono di doversi mettersi in cammino per seguirne il corso!

Sono espressione, questi uomini, dell’uomo che ragionevolmente ascolta il desiderio più profondo del suo essere… Portavano in cuore – come ogni uomo, e proprio perché uomo – il desiderio di qualcosa a cui l’essere umano anela poiché sempre attende un “di più”, qualcosa che sta “oltre” tutto ciò che vedi, fai, dici, vivi…

È il desiderio profondamente umano cantato dai nostri poeti, riguardo ai quali possiamo dire ciò che il poeta latino Marziale affermava: “Pagina nostra sapit hominem”: ha sapore di uomo la nostra pagina

Eugenio Montale: «Sotto l’azzurro fitto del cielo / qualche uccello di mare se ne va / né sosta mai / perché tutte le immagini / portano scritto: “più in là”»; è ciò che Ungaretti ha espresso con il suo «M’illumino di immenso»; e che Clemente Rebora ha detto in versi bellissimi: «Qualunque cosa tu dica o faccia / c’è un grido dentro: / non è per questo, non è per questo! E così tutto rimanda / a una segreta domanda…».

«L’infinito – scriveva Dostoevskij – è indispensabile all’uomo… Tutta la legge dell’esistenza umana consiste solo in ciò: che l’uomo possa sempre inchinarsi dinanzi all’infinitamente grande…»; e St-Exupéry: «Se vuoi costruire una barca non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto, infinito».

Si potrebbe continuare per ore…

L’essere umano “attende”: è “proteso” verso una pienezza che sente di non avere, ma di cui è assetato…; è questo anelito che costituisce il “cuore” dell’uomo, le profondità dell’essere umano, il bisogno più radicato e forte che l’uomo porta in sé anche quando non lo sa.

Ecco, Amici, da questo sono stati spinti al cammino i Magi pagani di cui ci parla oggi il Vangelo! Erano cercatori di infinito; non si sono accontentati di guardare la superficie della realtà, hanno camminato con speranza, con fiducia… Hanno camminato ed hanno trovato che ciò che il cuore umano desidera non è qualcosa, ma Qualcuno e sono ripartiti prendendo “un’altra via”: sono rientrati nella vita di ogni giorno portando in cuore ciò che il cammino aveva fatto loro trovare.

Il mio augurio – esso stesso un atto di amicizia – è che tutti noi alla luce di ciò che è infinitamente grande comprendiamo il senso vero della vita!

Ad ognuno un forte abbraccio.

06-01-2025