Archivi della categoria: Senza categoria

In preghiera per la salute del Papa

A tutte le comunità della Diocesi di Ivrea

Carissimi,

accogliendo l’invito della Presidenza CEI, siamo tutti chiamati a rinnovare la nostra vicinanza e il nostro affetto a Papa Francesco, ricoverato da venerdì 14 febbraio al Policlinico Gemelli di Roma, sostenendolo con la preghiera e affidando al Signore l’operato dei medici e del personale sanitario.

Invito pertanto tutte le comunità della Diocesi a unirsi nella preghiera per il Santo Padre, affinché il Signore lo custodisca e gli doni la salute e la forza necessarie per il suo servizio alla Chiesa.

A questo scopo, l’Ufficio liturgico nazionale ha predisposto alcune intenzioni di preghiera da inserire nella preghiera universale della Messa e nelle preci della Liturgia delle Ore. Raccomando inoltre, quando le norme liturgiche lo permettono, di celebrare la Messa «Per il papa» (Messale Romano, p. 856).

La Vergine Assunta, salute degli infermi, interceda per noi.

Vi benedico,
Il Vescovo Daniele


Omelia nella S. Messa di apertura dell’Anno Santo Ivrea, Cattedrale, 29 dicembre 2024

Sia lodato Gesù Cristo!

Grazie, carissimi Fratelli e Sorelle, per la vostra numerosa presenza a questo atto solenne della apertura dell’Anno Santo del Giubileo nella nostra Diocesi, come avviene oggi in tutte le Diocesi del mondo.

  1. Questa S. Messa è iniziata non al termine del nostro cammino dal Tempio dell’Immacolata alla Cattedrale: la celebriamo dentro a questo cammino che è simbolo di ciò che la Chiesa ci chiede nell’Anno Santo, “tempo di rinnovamento della fede e della vita cristiana”, come ha detto il Santo Padre e come ci ha chiesto, nel suo primo saluto alla Diocesi, il nuovo Vescovo che attendiamo con gioia: “Saremo insieme – ha detto – pellegrini nel “tempo propizio” dell’anno giubilare, volendolo vivere non tanto come un evento – pur solenne -, quanto piuttosto come un cammino comunitario che permetta a tutti noi di essere confermati nel primato di Dio… Attingeremo insieme alla misericordia del PadreSeguiremo insieme le tracce di tutti quei testimoni che hanno compreso nella loro carne quanto la fede ricevuta non potesse essere intesa esclusivamente come un bene per se stessi, quanto piuttosto come una luce data “per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte”.

Di un cammino, anche la festa della S. Famiglia di Nazaret ci parla oggi nel Vangelo (Lc. 2,41-52): quello di Maria e di Giuseppe che “si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua”; e del cammino di Gesù che, dodicenne, salì al Tempio con loro, ma al momento della partenza, senza che i suoi se ne accorgessero, decise di fermarsi a Gerusalemme, costringendoli, mentre già stavano tornando a Nazaret, a ripercorrere la strada all’indietro, e ad ascoltare una domanda: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”; una domanda che li introdusse in un nuovo cammino durante il quale “sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore”.

L’Anno Santo, con la sua chiamata ad una conversione non di facciata, ad un cambiamento profondo della vita, ci immette in un cammino che non è di folklore… Il cammino di andata e quello di ritorno di Maria e di Giuseppe ci insegna che è importante salire a Gerusalemme, ma più importante è come dalla Città Santa si riparte… “Carissimi, vedete – abbiamo ascoltato dall’Apostolo (1Gv 3,1-2.21-24) – quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui”.

  1. Nella notte di Natale, nella Basilica di S. Pietro, il Successore dell’Apostolo ha detto: “Il cielo si apre sulla terra: Dio si è fatto uno di noi per farci diventare come Lui, è disceso in mezzo a noi per rialzarci e riportarci nell’abbraccio del Padre. Questa, sorelle e fratelli, è la nostra speranza. Dio è l’Emmanuele, è Dio-con-noi. L’infinitamente grande si è fatto piccolo; la luce divina è brillata fra le tenebre del mondo; la gloria del cielo si è affacciata sulla terra. E come? Nella piccolezza di un Bambino. E se Dio viene, anche quando il nostro cuore somiglia a una povera mangiatoia, allora possiamo dire: la speranza non è morta, la speranza è viva, e avvolge la nostra vita per sempre! La speranza non delude… Questa è la notte in cui la porta della speranza si è spalancata sul mondo… La speranza cristiana non è un lieto fine da attendere passivamente, non è l’happy end di un film: è la promessa del Signore da accogliere qui, ora, in questa terra che soffre e che geme. Essa ci chiede perciò di non indugiare, di non trascinarci nelle abitudini, di non sostare nelle mediocrità e nella pigrizia; ci chiede – direbbe Sant’Agostino – di sdegnarci per le cose che non vanno e avere il coraggio di cambiarle; ci chiede di farci pellegrini alla ricerca della verità, sognatori mai stanchi, donne e uomini che si lasciano inquietare dal sogno di Dio, che è il sogno di un mondo nuovo, dove regnano la pace e la giustizia. Il Giubileo, questo è il tempo della speranza! Esso ci invita a riscoprire la gioia dell’incontro con il Signore, ci chiama al rinnovamento spirituale e ci impegna nella trasformazione del mondo… Sorella, fratello, è per te che si apre la “porta santa” del cuore di Dio. Gesù, Dio-con-noi, nasce per te, per me, per noi, per ogni uomo e ogni donna. E, con Lui, fiorisce la gioia, con Lui la vita cambia, con Lui la speranza non delude”.

Ringrazio il Santo Padre per questa presentazione così semplice e bella del Giubileo.

  1. Carissimi Fratelli e Sorelle, considero significativo che con i primi passi dell’Anno Santo si concluda il mio ministero tra voi, iniziato, dodici anni fa, con l’apertura dell’Anno della Fede il quale è stato la grande luce – lumen fidei – a cui ho cercato di ispirare gli intenti, i metodi, le scelte del mio servizio, privilegiando l’essenziale più che altre cose che fanno notizia; il cambiamento interiore, più che manovre organizzative… Lo dicevo anche nell’ultima Lettera Pastorale: abbiamo bisogno di “una sincera conversione non solo nelle cose che si fanno, nelle attività e nei metodi pastorali, nelle dinamiche del vivere ecclesiale, ma in primo luogo nel “sottosuolo”, là dove affondano le radici del credere e del vivere da discepoli del Signore. Si tratta di chiederci se siamo disposti a conformare a Gesù Cristo la nostra vita personale, il nostro modo di pensare e di valutare le cose, il nostro parlare e il nostro agire; se siamo disposti ad accogliere tutto il Suo insegnamento, le verità della fede, la visione della realtà che da Lui ci viene; se è presente e vivo in noi un serio cammino di preghiera, di ascolto della Parola di Dio e del Magistero, di accoglienza della Grazia che il Signore ci offre attraverso i Sacramenti, e se c’è l’impegno di una concreta e vera carità fraterna…”.

Ho fatto quello che ho saputo fare e chiedo perdono delle mie incapacità e inadeguatezze.

Ringrazio i tanti, soprattutto i tantissimi laici, vicini alla Chiesa e anche lontani dalla pratica religiosa, che, con parole non di circostanza e in tanti modi, affettuosamente mi hanno espresso di aver compreso.

Continuerò ogni giorno, Amici, a pregare per voi e a chiedere che la Chiesa che è in Ivrea cresca nella fede, e viva nella pace vera!

Sia lodato Gesù Cristo!

Discorso alla Città per l’Offerta del Cero Votivo Ivrea, Chiesa Cattedrale, 6 Gennaio 2025

Carissimi Amici!

  1. Con questa parola, che mi è cara per la ricchezza dei suoi contenuti, vi do il più cordiale benvenuto in Cattedrale, salutando tutta la Città che sento mia e che voi rendete presente partecipando, numerosi come sempre, a questo tradizionale momento, bello ed atteso.

Fin dal mio arrivo a Ivrea mi sono rivolto a tutti chiamandovi “Amici”. E ora, alla ormai imminente conclusione del mio servizio alla Diocesi, desidero ringraziarvi per l’affetto e la benevolenza che in questi dodici anni ho trovato dentro la comunità cristiana e – con immenso piacere – anche fuori di essa.

Vi ringrazio di cuore, carissimi Eporediesi per essermi stati amici, e per aver donato la stessa l’amicizia anche alla mia cara mamma facendola sentire di casa in questa Città.

Vi ringrazio per le tante – tantissime! – espressioni di affetto che, dal giorno in cui è stato annunciato il mio Successore, ho ricevuto, anche nella semplicità degli incontri per strada…

Porterò con me, nella nuova fase che nella mia vita si apre, un tesoro prezioso di relazioni e di affetti che non coinvolgono solo la sfera dei sentimenti, poiché “volersi bene” è “volere il bene dell’altro” e io sono pienamente concorde su quanto diceva il grande Benedetto XVI che mi ha inviato a Ivrea come Vescovo: “Esserci è un bene”, ed è “un bene che l’altro ci sia”.

Ogni persona umana è un valore prezioso: un essere unico e irripetibile, chiamato a vivere la sua unicità nella comunità, dentro ad una rete di rapporti e nella ricerca del bene comune.

Grazie di cuore!

  1. Cari Amici, lo Storico Carnevale che oggi iniziamo, è l’ultimo a cui partecipo come Vescovo di Ivrea… Ad altro titolo spero di tornare a viverlo anche negli anni che verranno…

In occasione del primo che vissi con voi nel 2013 dissi che il Carnevale di Ivrea non è una “carnevalata”. Ne sono sempre stato convinto. Il suo spirito genuino è quello di una festa di popolo che rievoca momenti significativi della propria storia, alla quale la fede cristiana non solo non è estranea, ma è parte del suo stesso tessuto… Di qui nasce la presenza del Vescovo a tanti momenti della manifestazione: a partire dalla offerta del Cero alla Cattedrale.

In tutti questi anni, quella che potrebbe essere l’omelia di una celebrazione liturgica ho desiderato che avesse la forma di Discorso del Vescovo alla Città: rivolto non solo ai credenti e ai praticanti, ma a tutti, poiché la festa è la festa di tutti.

Così ho cercato, di anno in anno, di affrontare qualche tema: che significa oggi la liberazione dal tiranno? Che cos’è la vera libertà e che cosa comporta la battaglia di un popolo per la libertà? In che consiste l’unità del popolo, il nostro essere uniti? Qual è valore del sacrificio per essere liberi davvero? Quali le caratteristiche del nostro tempo, della sua cultura, della mentalità oggi diffusa?

Quest’anno vorrei proporre a tutti una riflessione a partire dal cammino dei Magi, i Tre Re alla cui chiesa, sul Monte Stella, siete saliti a portare omaggio.

Erano esperti di astronomia, e guardando una stella particolare, apparsa ai loro giorni nel cielo, sentirono di doversi mettersi in cammino per seguirne il corso!

Sono espressione, questi uomini, dell’uomo che ragionevolmente ascolta il desiderio più profondo del suo essere… Portavano in cuore – come ogni uomo, e proprio perché uomo – il desiderio di qualcosa a cui l’essere umano anela poiché sempre attende un “di più”, qualcosa che sta “oltre” tutto ciò che vedi, fai, dici, vivi…

È il desiderio profondamente umano cantato dai nostri poeti, riguardo ai quali possiamo dire ciò che il poeta latino Marziale affermava: “Pagina nostra sapit hominem”: ha sapore di uomo la nostra pagina

Eugenio Montale: «Sotto l’azzurro fitto del cielo / qualche uccello di mare se ne va / né sosta mai / perché tutte le immagini / portano scritto: “più in là”»; è ciò che Ungaretti ha espresso con il suo «M’illumino di immenso»; e che Clemente Rebora ha detto in versi bellissimi: «Qualunque cosa tu dica o faccia / c’è un grido dentro: / non è per questo, non è per questo! E così tutto rimanda / a una segreta domanda…».

«L’infinito – scriveva Dostoevskij – è indispensabile all’uomo… Tutta la legge dell’esistenza umana consiste solo in ciò: che l’uomo possa sempre inchinarsi dinanzi all’infinitamente grande…»; e St-Exupéry: «Se vuoi costruire una barca non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto, infinito».

Si potrebbe continuare per ore…

L’essere umano “attende”: è “proteso” verso una pienezza che sente di non avere, ma di cui è assetato…; è questo anelito che costituisce il “cuore” dell’uomo, le profondità dell’essere umano, il bisogno più radicato e forte che l’uomo porta in sé anche quando non lo sa.

Ecco, Amici, da questo sono stati spinti al cammino i Magi pagani di cui ci parla oggi il Vangelo! Erano cercatori di infinito; non si sono accontentati di guardare la superficie della realtà, hanno camminato con speranza, con fiducia… Hanno camminato ed hanno trovato che ciò che il cuore umano desidera non è qualcosa, ma Qualcuno e sono ripartiti prendendo “un’altra via”: sono rientrati nella vita di ogni giorno portando in cuore ciò che il cammino aveva fatto loro trovare.

Il mio augurio – esso stesso un atto di amicizia – è che tutti noi alla luce di ciò che è infinitamente grande comprendiamo il senso vero della vita!

Ad ognuno un forte abbraccio.


Omelia di Sua Santità K.K. Bartolomeo Arcivescovo di Costantinopoli durante la liturgia eucaristica nella Cattedrale di Ivrea

Ἱερώτατε Μητροπολῖτα Ἰταλίας κ. Πολύκαρπε,

Vostra Eccellenza Mons. Edoardo Aldo Cerrato, Vescovo di Ivrea,

Eminenze, Eccellenze, Reverendissimi Padri,

Illustri Autorità,

Figli e Figlie amati nel Signore

Con profonda riconoscenza al Signore nostro Gesù Cristo, ci troviamo oggi con voi, per vivere in questa amata città di Ivrea, la solennità della festa di San Savino, vescovo e martire.

Provenendo dalla Santa e Grande Chiesa Martire di Cristo, dalla città di Costantinopoli, dal Patriarcato Ecumenico che nel corso della storia ha dato tanti santi, padri, vescovi, teologi, confessori e soprattutto martiri, comprendiamo profondamente il valore di questo momento di festa, perché un figlio della Chiesa Indivisa, San Savino, così amato da voi tutti, deve essere ricordato per avere dato il suo bene più grande, la vita, durante l’ultima grande e terribile persecuzione contro i cristiani, quella di Diocleziano. Vescovo della città di Spoleto, prima del martirio, tra la fine del Terzo e l’inizio del Quarto secolo, le sue reliquie vivificanti furono portate poco prima del Mille, a Ivrea per chiedere al Santo la intercessione nella liberazione della città dalla peste, divenendone così anche il suo Santo Patrono.

Viviamo questo momento, immersi nella preghiera, dentro la celebrazione della Divina Eucarestia, dove Dio si offre ed è offerto per la sua creatura, l’essere umano. Viviamo la sua presenza così reale e così divinizzante, perché il Cristo era, è e sarà per sempre e come dice la liturgia bizantina: “Si spezza e si spartisce l’Agnello di Dio, colui che è spezzato e non diviso, sempre mangiato e mai consumato, ma che santifica quelli che ne partecipano”.

Nella forza dell’Eucarestia trova la sua dimensione il martirio e la testimonianza dei Santi.

Nel XIV secolo, il noto liturgista bizantino Nicola Cabasilas, nella sua somma opera “H EN ΧΡΙΣΤΩ ΖΩΗ – LA VITA IN CRISTO” afferma che “Nulla più dei martiri è prossimo ai misteri di Cristo: essi hanno in comune con Cristo il corpo e lo Spirito, il tipo di morte e tutto. Mentre erano in vita il Cristo era in loro, dopo la morte non abbandona le loro spoglie. È unito alle anime, ma è congiunto e commisto anche a questa polvere sorda; anzi, se è dato di trovare e di possedere il Salvatore in qualcuna delle realtà visibili, ciò è possibile proprio nelle ossa dei santi” (cap. II).

L’autore si richiama alla tradizione della Chiesa indivisa che risale a san Cirillo di Gerusalemme in cui “anche quando l’anima non è più presente, c’è una forza nei corpi dei santi” (Catechesi XVIII,16), a Serapione: “ i corpi dei santi… non sono privi…di energia né di forza divina” (Adversus Manichaeos, PG 40) e a San Giovanni Damasceno: “i santi erano pieni di Spirito Santo in vita e la grazia dello Spirito Santo è inseparabilmente presente alle loro anime e ai loro corpi nei sepolcri” (De imaginibus, PG 94). Lo stesso Arcivescovo di Tessalonica San Gregorio Palamas, contemporaneo del Cabasilas, dichiara: “glorifica le sante tombe dei santi, e se ci sono, i resti delle loro ossa: la Grazia di Dio, infatti, non si è separata da esse” (Decalogo, PG150), “la grazia santificante non si è allontanata dalle sacrosante ossa dei santi, come nei tre giorni della morte, la divinità non si divise dal corpo del Signore” (Confessio fidei, PG 151).

La reliquia, visibilmente oggetto di morte, rappresenta al vivo, per il suo valore taumaturgico, un segno dell’avvenuto superamento della barriera tra la vita e la morte, divenendo “follia per i pagani e scandalo per i giudei” (1 Cor. 1,23).

I Padri Cappadoci, enfatizzando la venerazione per le reliquie materiali, pongono le basi per una nuova concezione del sacro, riconoscendo nel corpo, al di là delle apparenze, ormai redento dalla morte, come componente essenziale dell’uomo, partecipe anch’essa della natura divina. San Basilio

di Cesarea, il Grande, commentando il Salmo 115 afferma: “Allorché la morte avveniva sotto la legge giudaica, i cadaveri erano dichiarati abominevoli; ora invece, che c’è la morte per Cristo, preziose sono le reliquie dei santi… Ecco perché è preziosa dinanzi al Signore, la morte dei suoi Santi” (M. Girardi, Basilio di Cesarea e il culto dei martiri nel IV sec.).

Proprio questa percezione delle reliquie dei santi come una loro “presenza nell’assenza” sta alla base della possibile frammentazione dei loro resti mortali: questo implica che la parte abbia il medesimo valore del tutto. Nell’ordine della grazia vale infatti il principio che la frammentazione non diminuisce, ma moltiplica, dottrina che la Chiesa enuncia solennemente – su un piano teologico più elevato – nella preghiera che accompagna la frazione del Pane consacrato, come abbiamo già accennato: “spezzato ma non diviso, mangiato e mai consumato”. E in questo vediamo la forza dei martiri, fondata sulla Divina Eucarestia.

I Santi, sono i “corridori del cielo”, sono coloro che ci aiutano ad avere “confidenza” con Dio e le cui preghiere, unitamente alla intercessione di Colei che è Tuttasanta, la Madre di Dio, tutto possono davanti a Dio.

In un mondo che ha orrore della morte, come la fine di tutto, che a qualsiasi costo tenta di esorcizzare questo momento della vita, un mondo che ha smarrito il cammino della preghiera, la fiducia e l’affidarsi alla intercessione dei Santi, è particolarmente importante per le nostre Chiese di trovare forza nell’esempio dei Santi e dei martiri, per avere la capacità di una nuova testimonianza, annunciando che la morte non è la fine, ma l’inizio della vita e che la preghiera deve essere sempre la sola e la più grande arma del Cristiano.

Con questi brevi pensieri, amati figli nel Signore, vogliamo ancora una volta rallegrarci per essere oggi con voi a festeggiare il Santo martire Savino, invocando su questa Santa Chiesa di Dio, sul suo Pastore, sui sacerdoti e religiosi, sulle Autorità Civili e su tutto il pio popolo di questa città e di questa

terra, abbondanti benedizioni dal Signore, affinché trionfi sempre la pace e la giustizia e la fede di Cristo sia sempre il collante per ogni opera e azione per il bene di tutti.

Il Signore, per la intercessione di San Savino e di tutti i Santi, Vi benedica e vi chiami a diventare Santi. Amen.

Omelia nella S. Messa Pontificale. Festa di San Savino

Santità, Eminenza, Eccellenze, carissimi Fratelli e Sorelle,

Sia lodato Gesù Cristo!

  1. Questo saluto – che riprende l’acclamazione “Lode a te, o Cristo”, risuonata in risposta al Signore Gesù che ci ha parlato nel S. Vangelo (Mt. 10, 34-39) – mette in luce chi c’è al centro della nostra festa: c’è il Signore Gesù presente e vivo, centro del cosmo e della storia, Salvatore degli uomini e di tutto l’uomo! A Lui noi rivolgiamo il nostro primo pensiero e, con la Liturgia della S. Chiesa, Gli diciamo: “Signore, Tu chiami il tuo popolo a celebrare nella gioia il ricordo del santo martire Savino; rendici testimoni fedeli del tuo regno, per essere partecipi della tua vita immortale” (Orazione colletta). Consapevoli del dono che abbiamo ricevuto nel S. Battesimo, nella S. Eucaristia e in tutti i Sacramenti della salvezza, noi Gli diciamo con sant’Agostino: “Allontanarsi da te è cadere, tornare a te è risorgere, restare in Te è esistere” (Soliloq. I, 3)!

C’è Gesù Cristo, carissimi, al centro della nostra festa, come c’è Lui al centro di tutta la vita di san Savino! È la grande verità della fede cristiana che oggi risuona nella S. Liturgia: “Nella gloriosa testimonianza dei tuoi santi tu confermi la fede della Chiesa… In essi, o Signore, noi celebriamo il compimento della Pasqua e proclamiamo la verità della parola annunziata da Cristo, dalla cui morte scaturisce la vita, dalla cui passione la gioia, dalla cui umiliazione la vittoria” (Prefazio della S. Messa).

  1. Essere in comunione con Cristo prendendo la sua croce e seguendolo noi troviamo la vita.

Il nostro Santo questo ha vissuto nel suo tempo, tra la fine del III e l’inizio del IV secolo, quando nell’Impero Romano ancora infuriavano le persecuzioni contro i discepoli di Cristo, come peraltro accade oggi in tante parti del mondo… Insieme a san Savino li vogliamo ricordare oggi questi forti testimoni di Cristo, appartenenti a tutte le confessioni cristiane, nella consapevolezza che, oggi come ieri, “il sangue dei martiri è il seme dei cristiani” e che c’è un prezioso ecumenismo del sangue versato per Cristo, un ecumenismo della santità e della carità fraterna.

Habet mundus iste noctes suas et non parvas: questo mondo ha le sue notti e non piccole” scriveva san Bernardo di Chiaravalle. Lo constatiamo, ma sant’Agostino lucidamente aveva scritto: “Nos sumus tempora. Quales nos sumus talia sunt tempora: i tempi siamo noi; quali noi siamo tali sono i tempi”. E del suo mondo, dell’Impero in profonda crisi culturale, politica e sociale affermava “questo non è un vecchio mondo che muore, è un mondo nuovo che nasce” … L’esito è amaro solo se l’uomo è “fugitivus cordis sui”: se fugge dal suo cuore, se abbandona la luce, se rinnega i grandi valori che illuminano la vita.

Savino, vescovo e martire, è qui ad annunciare che l’uomo di oggi è quello di sempre; che il suo cuore è costituito da un desiderio di pienezza che non viene soddisfatto se non da ciò che è infinito, eterno… San Savino è qui a ricordarci che Gesù Cristo, presente “ieri oggi e sempre” è la fonte viva della nostra vita!

Santità, amato Patriarca Ecumenico, carissimi Fratelli e Sorelle, Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto a Sua Santità Bartolomeo I in Cattedrale

Santità, Arcivescovo di Costantinopoli, Patriarca Ecumenico: “Eὐλογημένος ὁ ἐρχόμενος ἐν ὀνόματι κυρίου: Benedetto colui che viene nel nome del Signore”!

Con immensa gioia accogliamo la Santità Vostra in questa antica Cattedrale della SS. Madre di Dio, la TuttaSanta a cui rivolgiamo il nostro filiale saluto. Sorge questa Cattedrale su quella paleocristiana e custodisce da più di mille anni le Reliquie del Santo Vescovo e Martire Savino, qui portate da Spoleto, il quale, agli inizi del IV secolo, versò il suo sangue per la fede nel Signore Gesù Cristo.

Vi ingraziamo, Santità, per il grande onore reso dalla Vostra presenza alla Chiesa che è in Ivrea: è la Chiesa paternamente salutata da sant’Eusebio di Vercelli nella lettera che questo antico Padre inviò alle Comunità cristiane del Piemonte dall’esilio in Oriente a cui fu condannato per la sua fedeltà alla dottrina nicena; è la Chiesa che ha avuto come suo primo Vescovo sant’Eulogio, il cui nome lascia intendere anche la sua probabile provenienza; la Chiesa, inoltre, che ha avuto tra i suoi primi Santi san Gaudenzio, che divenne primo Vescovo di Novara. Di questo Santo della Chiesa indivisa offro a Vostra Santità una preziosa sacra Reliquia. Ho l’onore di trasmettere a Vostra Santità il deferente omaggio della Sede Apostolica di Roma nella persona dell’Em.mo Card. Kurt Koch, Prefetto del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani. Ricordando con immensa gratitudine la amabile accoglienza che Vostra Santità mi riservò durante la mia visita a Costantinopoli, presento alla Santità Vostra, insieme al mio omaggio, quello di tutta la diocesi di Ivrea, del Clero e dei fedeli; come pure dei Sacerdoti e dei fedeli ortodossi qui residenti, ai quali siamo legati da fraterno affetto e da grande stima. Nel salutare Vostra Santità mi faccio voce anche di tutta la Città e delle Autorità civili e militari, in particolare del Sig. Sindaco di Ivrea. Insieme a Voi, Santità, saluto con fraterna deferenza tutta la Delegazione patriarcale che Vi accompagna, in particolare Sua Eminenza Polikarpos, Metropolita della Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia.La gradita Visita di Vostra Santità, che rimarrà negli annali della nostra Diocesi, rinnova la gioia delle Visite compiute dai Romani Pontefici Sua Santità Giovanni Paolo II e Sua Santità Benedetto XVI i quali Vi hanno amato e onorato come venerato Fratello.Eυχαριστούμεν, Παναγιώτατε: Vi ringraziamo, Santità, e chiediamo al Signore di ricompensarVi per il dono che ci fate con la Vostra paterna presenza; grazie per aver voluto unire la Vostra preghiera alla nostra nella festa del Santo Vescovo e Martire Savino!Vostra Santità ci benedica!

Saluto a Sua Santità Bartolomeo I in S. Ulderico

Παναγιώτατε, Santità, amato Arcivescovo di Costantinopoli Nuova Roma e Patriarca Ecumenico:  “Eὐλογημένος ὁ ἐρχόμενος ἐν ὀνόματι κυρίου: Benedetto colui che viene nel nome del Signore”!

Con questa acclamazione la Chiesa che è in Ivrea ha l’onore e la gioia di porgerVi il suo primo saluto e ringrazia la Santità Vostra per la Sua paterna presenza in questo semplice momento di preghiera che, nell’ascolto della Passio Sancti Savini, apre le celebrazioni annuali in onore del S. Vescovo e Martire della Chiesa indivisa. Sabato mattina avremo la gioia di salutarVi ufficialmente nella solenne S. Liturgia a cui ci farete il dono di assistere, in Cattedrale, ma fin d’ora, Santità, Vi ringraziamo con amore filiale.

Le Sante Reliquie del Martire Savino – trasportate oggi in questo tempio da dove, sabato, faranno solenne ritorno in Cattedrale per le vie della Città – cantano l’amore per Cristo e per la Chiesa che ha condotto questo testimone a dare la vita per non rinnegare quanto egli aveva di più caro.

Al termine di questa preghiera la Santità Vostra ci rivolgerà il Suo discorso. Fin d’ora anche di questo La ringraziamo: ευχαριστούμεν, Παναγιώτατε. Vi ringraziamo, Santità!