Vede la luce, in occasione della festa di san Savino, vescovo e martire, una nuova pubblicazione sul S. Patrono di Ivrea. Non posso che rallegrarmene. Lo studio accurato condotto dall’Autore – l’ing. Aluffi, che è vivo nel nostro ricordo e che ora, lassù, san Savino lo ha personalmente incontrato – mi esime dal dire, anche solo brevemente, qualcosa della vita e del culto del nostro santo.
Mi limito ad accennare a ciò che, ogni anno, mi colpisce: la parola di Gesù che risuona nella Liturgia della solennità: «Non sono venuto a portare la pace, ma una spada»: non la tranquillità dell’inerzia, ma il dinamismo di una lotta, poiché è davvero una lotta vivere nel mondo secondo schemi che non sono quelli del mondo; è una lotta vincere la “mondanità”, lo spirito del mondo, che insorge nel discepolo di Cristo come in ogni altro uomo; è una lotta testimoniare che la felicità, la realizzazione vera della propria vita, a cui l’essere umano aspira nel più profondo di sé, consiste nel vivere seguendo Uno che propone di portare la Sua croce e che dice: «Chi perde la sua vita per causa mia la trova»… «Nel mondo, ma non del mondo»: sta qui la ragione della lotta, e quando un cristiano elude uno dei due elementi di questo binomio – la presenza responsabile nel mondo e la fedeltà alla propria identità – diventa contro-testimonianza: è «indegno di me», dice il Signore.
San Savino è ricordato, a diciassette secoli dalla sua morte, perché è uno di coloro che, nell’arco di duemila anni di cristianesimo, ci hanno creduto fino in fondo, come ci credono oggi i tanti cristiani che in vari luoghi subiscono la persecuzione per non rinunciare a Gesù Cristo e non rifiutare il Suo Vangelo: «Ci sono più cristiani perseguitati oggi che nei primi secoli – affermò Papa Francesco –… Cristiani uccisi dai persecutori, cristiani costretti a fuggire dalle persecuzioni. Anche cristiani cacciati via in modo elegante, con i guanti bianchi…».
Questo sangue versato, queste sofferenze ricorrenti, non sono incidenti di percorso, ma conseguenza del mantener fede all’impegno battesimale: coraggio della testimonianza che è, evangelicamente, “sì-sì, no-no”; coraggio di metter in gioco la propria vita pur di non perdere la vera realizzazione di essa.
Il tempo in cui Savino visse fu detto “aera martyrum”, l’epoca dei martiri, per l’ultimo tentativo da parte del potere di eliminare, nel mondo antico, chi era «nel mondo ma non del mondo», i cristiani che – si legge nella Lettera a Diogneto, della seconda metà del III secolo, contemporanea quindi di san Savino – «non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per la foggia dei loro vestiti … ma si propongono una forma di vita che desta meraviglia. Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri; rispettano e adempiono tutti i doveri dei cittadini, e si sobbarcano tutti gli oneri come fossero stranieri; ogni regione straniera è la loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera. Come tutti gli altri uomini si sposano ed hanno figli, ma non ripudiano i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il letto. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi… Rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo. L’anima dimora nel corpo, ma non proviene da esso; anche i cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo».
Il tempo in cui Savino visse e morì per la sua fedeltà a Cristo è quello che la storiografia presenta come “la crisi del III secolo”: dopo anni di prosperità e di ricchezza, già sul finire del II secolo si manifestarono simultaneamente nell’Impero romano situazioni assai problematiche in diversi campi, cambiamenti nelle istituzioni, nella società, nella vita economica e nel modo di pensare, nella concezione della vita: cambiamenti così profondi che in quella svolta epocale gli storici vedono lo spartiacque fra il mondo classico e l’età che stava sorgendo.
Ci sono elementi che, pur nella ovvia diversità, richiamano la situazione attuale per la quale – e non solo sotto l’aspetto economico – si parla di “crisi”.
L’indispensabile speranza in un’alba nuova, che sempre dobbiamo alimentare, comporta la volontà di un esame onesto, il giudizio, la valutazione a cui il termine “crisi” rimanda nel suo significato originale: valutazione delle cause della situazione affinché la ricerca delle soluzioni non sia illusoria. Occorre domandarsi dove affonda le radici la crisi attuale che investe l’uomo in tutte le sue dimensioni, ben oltre l’ambito strettamente economico; domandarsi se essa è effetto della mancata realizzazione di idee, di impostazioni, programmi, o è proprio l’esito di esse… Domande a cui non possiamo sottrarci, tutti, in un confronto sincero, poiché il pericolo è quello di applicare come terapie magari le cause che hanno determinato – o contribuito a determinare – certi esisti che ci affliggono: edonismo, mercificazione di tutto, affanno di procurarsi sempre più beni, caduta di ideali e di tanti valori, cedimento ad un insano relativismo che rifiuta le categorie di vero-falso, di male-bene, e diffonde una cultura in cui sembra proibito porre le grandi domande su Dio, sul senso della vita, su chi è la persona…
+ Edoardo, Vescovo
