Asterischi- 24 ottobre 2019

La diocesi di Biella celebrerà, il prossimo anno, il V Centenario dell’Incoronazione della Vergine, Regina del Monte di Oropa. Vi parteciperemo anche noi di Ivrea che ogni anno saliamo al santuario della Vergine Bruna con il pellegrinaggio tra i più numerosi di quelli che Oropa annualmente accoglie. Qui, in diocesi, il 27 agosto scorso, a Prascundù, abbiamo ricordato in festa il IV Centenario dell’Apparizione della Vergine, venuta a portare conforto ad un povero ragazzo, Giovannino. Continuando il gesto che i Vescovi eporediesi hanno compiuto lungo i secoli ponendo una Corona sul capo della Tuttasanta Madre di Dio, abbiamo rinnovato l’Incoronazione della venerata statua di Maria.

L’Incoronazione della Vergine ha il suo significato in relazione alla Incoronazione di Gesù Cristo, Re dell’universo. Partecipe come nessun altro di tutto il Mistero di Cristo, Maria partecipa anche della gloria di Cristo risorto che siede alla destra del Padre ed è salutato dalla Chiesa Vincitore della morte e del peccato, Re e Signore di tutto ciò che esiste.

Nella festa della Assunzione di Maria al Cielo in tutta la sua persona, corpo e anima, la Chiesa canta: «Oggi Maria è salita nei cieli. Rallegratevi! Con Cristo regna per sempre».

Queste parole ci danno il senso vero della vita. C’è in esse, innanzitutto, il richiamo al «Cielo» che è la destinazione della nostra vita oltre la morte. Ci crediamo? Non solo vagamente, ma con la certezza che ci insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Il cielo è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde. E’ chiamata “cielo” questa comunione di vita e di amore con la SS. Trinità, con la Vergine Maria, gli Angeli e tutti i Santi. Gesù Cristo ci ha “aperto” il cielo con la sua morte e risurrezione».

«Maria con Cristo regna per sempre». Queste parole ci svelano anche l’impostazione che già ora, sulla terra, dobbiamo dare alla nostra vita per entrare, dopo la morte, nella piena felicità: già ora si tratta di regnare con Cristo, e, questo regnare si esprime nei giorni terreni nel condividere la Sua Croce, la Sua corona di spine, il Suo inginocchiarsi a lavare i piedi: regnare è servire, donarsi, conformarsi a Cristo, esercitando il “sacerdozio regale” che tutti abbiamo ricevuto nel S. Battesimo e che da tutti quindi deve essere esercitato nei diversi ambiti dell’esistenza, nella vita anche sociale e politica alla quale siamo chiamati a partecipare alla luce di una chiara ispirazione cristiana: «Per la loro appartenenza a Cristo Signore e Re dell’universo – insegna san Giovanni Paolo II – i fedeli vivono la regalità cristiana, anzitutto mediante il combattimento spirituale per vincere in se stessi il regno del peccato, e poi mediante il dono di sé  per servire Gesù stesso, nella carità e nella giustizia».

Anche a questo riguardo mi sia permessa una domanda: quella posta in una sua catechesi del ’67 dal grande Pontefice san Paolo VI, il quale, dopo aver presentato, alla luce del Concilio Vaticano II, la natura e l’esercizio del sacerdozio regale dei battezzati, diceva: «Dobbiamo chiedere a noi stessi se la coscienza del carattere sacro della nostra vita, compaginata a quella di Cristo, sia davvero in noi sveglia ed operante; se essa ci aiuti a ben giudicare il bene e il male morale; e se la doverosa premura di distinguere il sacro dal profano, tanto nel campo del sapere come in quello dell’operare, non ci faccia spesso dimenticare che siamo tutti rivestiti d’un carattere sacerdotale, e non ci porti a dissacrare la nostra mentalità, il nostro abito, la nostra attività; vi è una tendenza a far scomparire il nome di cattolico, a tutto laicizzare e desacralizzare. Sarebbe tale tendenza conforme allo spirito del Concilio? avrebbe essa la virtù di animare quel rinnovamento che il Concilio intende promuovere? Fatte le debite distinzioni, a Noi non sembra. E a voi, diletti Figli, che cosa sembra?»

† Edoardo, vescovo