L’avventura fidei donum di don Lorenzo Santa
La Quaresima di quest’anno è un tratto del cammino verso il Sinodo dei Giovani, nel quale lo Spirito Santo certamente aprirà davanti ai giovani di oggi qualche nuovo cammino da percorrere per arricchire e far dono della loro fede. Quando don Matteo, responsabile del Centro Missionario per la Cooperazione tra le Chiese, mi ha manifestato il desiderio di voler rivisitare il cammino della disponibilità della nostra Chiesa Locale nei confronti della “missione” mi è parso un chiaro invito a ripensare a quando… eravamo noi a essere giovani! La Diocesi di Ivrea aveva avuto una vivace presenza di sensibilità missionaria nelle parrocchie attraverso l’appassionata animazione del canonico Lorenzo DePaoli, fondatore e primo Direttore dell’Ufficio Missionario Diocesano. Nei nostri seminari sono sbocciate molte vocazioni missionarie, che con altri giovani e ragazze hanno trovato nelle Congregazioni Missionarie il campo per il loro impegno apostolico “ad Gentes”.
Il Concilio Vaticano II, riproponendo l’Enciclica “Fidei Donum” in un clima di universalità ravvicinata, aprì una stagione giovane nella Chiesa, facendone sentire tutta la sua dimensione essenzialmente missionaria. Furono particolarmente i vescovi latino-americani a far sentire l’urgente necessità di missionari per le loro Chiese e a sensibilizzare i vescovi europei perché offrissero giovani sacerdoti per un servizio anche temporaneo alle loro comunità. Nasce così a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 una nuova forma di Cooperazione tra le Chiese: giovani sacerdoti che sentono il desiderio di “andare in missione” non hanno più bisogno di abbandonare la loro diocesi ed entrare in qualche congregazione missionaria. ll dono della loro disponibilità ad andare vivere la fede cristiana in comunità di altre nazioni non solo diventa più facile da realizzarsi, ma arricchisce la Chiesa di una forza giovane e di una nuova forma di servizio apostolico. In quegli anni giunge poi a Ivrea il giovane vescovo monsignor Luigi Bettazzi, portando tutta la sua fresca e vivace esperienza di Padre Conciliare: condivide volentieri con la diocesi la ricchezza delle sue amicizie episcopali latino-americane e non indugia a raccogliere ed incoraggiare eventuali disponibilità a “partire” per una avventura missionaria.
E sì, perché per il sottoscritto, il Venezuela fu una vera avventura: nessun precedente o conoscente a cui fare riferimento, in un momento storico in cui gemellaggi tra diocesi e parrocchie ancora sono al di là dall’essere pensati (il commento più benevolo tra i confratelli di allora era: “Ma perché te ne vai? Hai bisticciato con il Vescovo?”). A fine estate del 1967 eccomi a Verona presso il CEIAL (Comitato Episcopale per America Latina), ora CUM (Centro Unitario Missionario ), per il Corso di preparazione dei partenti. Se ben ricordo a parteciparvi fummo 44: in grande maggioranza giovani Sacerdoti diocesani, qualche Religioso, alcune Suore, ancora nessun laico (si era agli inizi di questo servizio della Chiesa Italiana). Partito viceparroco da San LorenzoIvrea, fatta la traversata dell’Atlatico giungo in Venezuela e inizio la mia semplice e piena disponibilità pastorale alla Chiesa Locale nella parrocchia di San Josè de Chivacoa della Diocesi di San Felipe – Estado Yaracuy. Proprio in quell’anno (1968) a Medellin in Colombia aveva luogo un evento epocale che segnerà la direzione e il passo per tutto il Continente e con rilevanti risonanze mondiali: la II Conferenza Episcopale Latino Americana. In Italia anche negli Oratori, nell’Azione Cattolica, nelle Comunità Ecclesiali si ripercuoteva l’onda della contestazione giovanile, della ricerca di cambiamenti anche nella Chiesa, del bisogno di radicalità evangelica.
In America latina lo Spirito Santo soffiava forte sulla Chiesa nella direzione missionaria più radicata nella Parola di Dio, nella scelta preferenziale dei poveri, nell’impegno di tradurre e portare concretamente lo spirito del Concilio a quei popoli, incarnandoli in quelle loro culture, nella loro storia. La vicinanza discreta, la condivisione, la disponibilità costante e anche silenziosa (che ci aiutò sempre a non dimenticarci che eravamo stranieri e che là eravamo andati per vivere con loro il “dono della fede cristiana”) raccolsero confortanti consensi tra quella nostra gente, il sostegno e la benedizione dei nostri vescovi e una collaborazione timidamente critica ma sostanzialmente valida con le istituzioni locali. Nell’autunno del 1982, dopo avermi dispensato ben quattro preziose visite nelle comunità in cui svolsi il mio ministero in quegli anni, ancora monsignor Bettazzi mi consigliò il rientro e, a braccia aperte, mi riaccolse in Diocesi. A lui, che mi ha concesso di fare questo piccolo servizio alla Chiesa e che per me fu una grande e gioiosa esperienza, chiedo di unirsi a me in un grande “Grazie!” rivolto al Signore.
don lorenzo santa