Lungo il cammino dei nove giorni – Meditazioni nella celebrazione della Novena di Natale 2018 – Ivrea, chiesa di S. Maurizio

25-12-2018

I

Inizia il nostro cammino annuale verso Betlemme: non per rievocare un fatto storico del passato ma per rivivere quel fatto, quell’avvenimento che torna a farsi presente nella celebrazione liturgica, poiché questo è ciò che la S. Liturgia ci dona di sperimentare: il fatto, l’avvenimento presente in tutta la sua potenza, in tutto il suo dono di salvezza.

E per vivere l’avvenimento occorre camminare, andargli incontro quando esso incomincia ad apparire sull’orizzonte… La Novena di Natale, con i suoi bellissimi testi, con il suo clima di profonda preghiera, ci introduce in questo cammino indispensabile… Ci aiuta a ripercorrere l’attesa del popolo d’Israele che attende il Messia-Salvatore (ecco le Profezie a cui rispondiamo Regem venturum Dominum venite adoremus); l’attesa di Maria che porta in grembo il Salvatore ed attende di darlo alla luce (ecco il Magnificat); l’attesa anche della Chiesa, la comunità dei salvati che dal Salvatore ha ricevuto il dono della vita nuova (ecco le Antifone Maggiori, tutte intrise di S. Scrittura e cantate dalla Chiesa in questi giorni con uno stupore da cui si sprigiona l’invocazione, la supplica – Veni-Vieni! – che conclude ognuna: Veni ad docendum nos, Veni redimendum nos, veni, et educ vinctum de domo carceris, Veni et illumina, Veni ad liberandum nos, Veni et salva nos.

Noi camminiamo così verso l’avvenimento del Natale, verso Betlemme, e quest’anno in particolare – anche in relazione a quanto ho proposto nella Lettera Pastorale – vogliamo guardare a Betlemme come la CASA del PANE… Questo infatti significa il nome della piccola Città di Giudea in cui il Salvatore è nato: Bet-lehem: Casa del pane, e Colui che nasce a Betlemme è il Pane vivo disceso dal Cielo, come Egli stesso ha detto; e ha aggiunto: Chi mangia me vive di me e chi non mangia me muore…

Allora, nei nostri passi verso Betlemme ci soffermiamo sui momenti della S. Messa che conducono alla “Betlemme eucaristica”, al centro, al cuore della S. Messa, la Preghiera eucaristica in cui il Pane vivo disceso dal cielo ci è donato e noi possiamo vivere la comunione con Lui. Primo passo: i riti di introduzione: Segno di Croce; Riconosciamo i nostri peccati; Confiteor; Kyrie; Gloria; Oremus.

Segno di Croce: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. All’inizio c’è Dio! Egli è all’inizio di tutto – anche della nostra Celebrazione – ed è il fine di tutto: la S. Messa finisce con il riferimento a Lui che benedice: Vi benedica Dio Onnipotente: Padre e Figlio e Spirito Santo: Dio come Egli si è rivelato: Comunità d’Amore; e questo è il fondamento anche del nostro essere Comunità, del nostro essere riuniti in Comunità a celebrare i Ss. Misteri… Comunità divina è Dio; comunità noi che nel S. Battesimo siamo diventati partecipi della Sua vita, battezzati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo… Quante cose contiene il segno della Croce, quante verità ci propone! Farlo bene, consapevoli di ciò che esprime, dà l’impostazione alla celebrazione ed alla vita!

Proprio a questa luce si risveglia in noi la consapevolezza che siamo peccatori, incapaci spesso di vivere la comunione con Dio e tra noi… Ed ecco il riconoscimento dei nostri peccati: Confesso a Dio Onnipotente e a voi fratelli che ho molto peccato in pensieri, parole, opere ed omissioni… Kyrie eleison, Christe eleison… E’ greco, e ci ricorda che in greco era celebrata la S. Messa prima che la lingua della celebrazione diventasse il latino e poi – in tempi recenti – l’italiano: non siamo i primi a celebrare i Ss. Misteri; siamo anello di una lunga catena… Dobbiamo sentirci in comunione di fede con tutti quelli che ci hanno preceduti: la Chiesa è “una” anche nel tempo… e noi, semmai, siamo “nani sulle spalle dei giganti”… Eleison: abbi pietà… Dire questo a Dio significa affermare che crediamo nella Sua misericordia, nel Suo Amore che ci rimette in cammino e ci sostiene nella novità in cui desideriamo entrare…

Il Gloria. Questo bellissimo inno antico inizia con le parole cantate in coro dagli angeli nella notte di Betlemme dopo che ebbero annunciato ai pastori la nascita del Salvatore; le parole che li misero in cammino a cercare la Grotta della Natività: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà.

Gloria a Dio. La nascita umilissima del Figlio di Dio fatto uomo, il mistero dell’Incarnazione, fa esclamare agli angeli Gloria a Dio: ma l’Incarnazione è l’abbassamento di Dio… Il Verbo eterno si fa carne… Dio si abbassa fino a diventar partecipe della nostra vita, a provare tutto ciò che la condizione umana comporta, fino al dramma della morte… Ebbene: proprio in questo consiste la Gloria di Dio: nel Suo Amore infinito, l’Amore per noi uomini.

Pace in terra agli uomini di buona volontà: la Chiesa ci ha sempre spiegato che questa buona volontà è quella di Dio: è Lui che ha buona volontà – benevolenza – nei nostri confronti… Ma alla Sua buona volontà deve corrispondere la nostra buona volontà nei Suoi confronti, perché la pace è un Dono – il più prezioso – ma è da accogliere: viene da Dio, ma interpella la nostra parte… Occorre dunque anche la nostra buona volontà… Non dimentichiamolo quando nel “Gloria” – fra qualche tempo – diremo: E pace in terra agli uomini amati dal Signore… Amati, certo, ma anche chiamati ad amarlo con la nostra buona volontà!

L’Inno continua innalzando a Dio la lode: Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti rendiamo grazie p la t gloria immensa. Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. Signore, Figlio unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre; tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo, Gesù Cristo, con lo Spirito Santo nella gloria di Dio Padre.

“Tu solo”! Non c’è altro Dio, non c’è altro Signore. E’ questo che ci rende liberi. Appartenere al Signore e a Lui solo significa non essere schiavi di nessuno e di nulla. E aderire a questa Verità ci dà la possibilità di vivere davvero così… Nulla è determinante nella nostra vita, nulla la può determinare se non l’Amore di Dio in cui siamo chiamati a vivere ogni cosa.

Preghiera colletta. E’ la preghiera di tutta la comunità raccolta davanti al suo Signore, la prima delle tre preghiere della S. Messa: segue poi quella sulle Offerte e quella dopo la Comunione.

Dobbiamo prestare attenzione a queste preghiere… Non sono “private”, del Sacerdote che presiede la Liturgia: sono collettive, comunitarie; la voce è di uno, ma la preghiera è di tutti, come dice chiaramente l’invito iniziale: Preghiamo! Dopo questo invito c’è un breve spazio di silenzio. A che serve? A entrare coscientemente nella preghiera, nelle parole che la Chiesa rivolge al Signore. Serve – questo breve spazio di silenzio – a entrare nel clima della grande preghiera, facendo spazio nei nostri cuori alle parole che diciamo a Dio… Così, quando la voce di uno le pronuncerà a nome di tutti, le pronunceremo tutti interiormente, cioè accogliendone il significato.

Si tratta sempre di preghiere molto belle, brevi, sintetiche e ricchissime di contenuto. Questa brevità risponde anche all’invito di Gesù: Quando pregate non sciupate parole… Ciò che conta è il cuore con cui preghiamo, e perciò Gesù ci insegna: quando preghi entra nel segreto…

E’ a questo che serve quel momento di silenzio che precede, e che è quindi molto importante… Chi le ha composte queste preghiere? La Chiesa! Non sono di qualcuno: sono la preghiera della Chiesa, e cioè di Gesù Cristo, del quale la Chiesa è il Corpo, le membra del Corpo di cui il Signore è il Capo…

La preghiera colletta ci fa dire quello che la Chiesa percepisce del Mistero che si celebra… Se noi interiorizziamo le parole della preghiera, se le facciamo nostre davvero, noi sappiamo che cosa si celebra e che cosa, di conseguenza, siamo chiamati a vivere… La conclusione di queste preghiere liturgiche è invariabilmente: Per il nostro Signore Gesù Cristo… Per Cristo nostro Signore…

Ciò che si chiede al Padre, sempre lo si chiede attraverso di Lui, il Signore Gesù… Anzi è Lui stesso che lo chiede al Padre per noi e con noi. L’Orante è Gesù Cristo! Ciò che distingue la preghiera cristiana da ogni altra preghiera (… tutti pregano, infatti, anche gli appartenenti ad altre religioni…) è proprio questo: noi ci uniamo alla preghiera di Gesù al Padre, entriamo nella Sua preghiera; la nostra preghiera è la Sua! E il Padre, ascoltando la nostra voce, ascolta quella del Figlio amatissimo!

II

Dopo i riti di introduzione, la Mensa della Parola di Dio alla quale rispondiamo con la nostra professione di fede (ed è significativo che sia collocata proprio qui: il Credo è il Symbolon, la raccolta delle principali Verità della fede dalle quali sgorgano tutte le altre che costituiscono il depositum, il patrimonio della fede trasmesso dagli Apostoli e dai Padri); e, subito dopo rispondiamo pregando: la Preghiera dei fedeli.

La Costituzione Sacrosanctum Concilium insegna: Le due parti d Messa (mensa della Parola e mensa del Pane vivo) sono congiunte tra di loro così strettamente da formare un solo atto di culto (56). E la Dei Verbum, richiamandosi alla tradizione antica, cara ai Padri della Chiesa, afferma: La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella Liturgia di nutrirsi del pane della vita alla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo (21). Gesù stesso, infatti, ha detto: l’uomo vive di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio.

Confortanti sono le espressioni dei SS. Padri: Origene affermava che bisogna mangiare il Verbo sotto la specie della Parola, e per questa via si arriva alla manducazione perfetta, anche sacramentale, del Corpo e del Sangue di Cristo. L’una – dice – immette nell’altra.

Si parla, infatti, di mensa della Parola perché anche essa è già comunione viva ed efficace con Cristo Verbo mediante l’adesione amorosa. E s. Agostino afferma che la Parola di Cristo non è meno che il Corpo di Cristo. Come fa s. Ambrogio che, commentando i salmi, scrisse: Si beve il Cristo al calice delle Scritture come da quello eucaristico.

C’è un segno che nella Liturgia solenne esprime questo: si accompagna il Vangelo con ceri e incenso, come si fa anche per il Corpo di Cristo. La SS. Eucaristia è presenza reale di Cristo, la più alta e piena, ma è presenza anche quella nella Parola: E’ Lui che parla – insegna infatti la SC (7) – quando nella Chiesa (cioè nella santa Assemblea) vengono lette le Sacre Scritture.

Noi comprendiamo a questa luce che cosa significa religioso ascolto e comprendiamo con quale rispetto e quale spirito la Parola di Dio deve essere proclamata da chi la legge pubblicamente nella santa Assemblea. Nella proclamazione della Parola Dio il lettore presta la voce al Signore. Per questo Origene afferma che la stessa attenzione che abbiamo nei confronti dell’Eucarestia, perché non cada nessun frammento, bisogna averla per la Parola di Dio perché non si perda neanche uno iota.

E’ la Parola rivelata per bocca di Profeti e degli Apostoli, ispirati dallo Spirito Santo, ma quella Parola, pronunciata allora, non era solo per gli ascoltatori di quel tempo: mirava fin da principio anche alla comunità che noi siamo nella celebrazione eucaristica. Quella parola immutabile, entrando in contatto con noi, attende la nostra risposta, chiede di incarnarsi nella vita di ciascuno.

La Chiesa, per questo, è comunità dell’ascolto: perché la nostra fede non è invenzione o sforzo umano. L’iniziativa è di Dio; è Lui che ha preso l’iniziativa di rivelarsi all’uomo. Ed è questo che distingue il Dio biblico dagli idoli: essi hanno bocca e non parlano, Dio invece parla e dice di Sé e di noi. La Sua Parola dà senso e orienta le nostre parole. Il cristianesimo non è la religione del libro; è la religione di Cristo-Parola di Dio, della Parola che si è fatta carne nell’Incarnazione del Verbo…

Il Credo che pronunciamo al termine è risposta di adesione a Dio che ha parlato; ed è risposta anche la Preghiera dei fedeli, risposta orante, circa la quale, SC (53) insegna che cosa deve contenere: si facciano speciali preghiere per la santa Chiesa, per coloro che ci governano, per coloro che si trovano in varie necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo.

III

Strettamente congiunta con la Mensa della Parola, la Mensa del Pane vivo, introdotta dalla Presentazione delle offerte, punto di unione tra le due.

Da questo momento – ancora popolarmente detto Offertorio – fino alla Comunione, il sacerdote è all’altare e di lì – non più dalla sede, come nei Riti iniziali, o dall’ambone da cui la divina Parola è stata proclamata ed egli l’ha commentata nell’omelia – dialoga con il popolo.

L’azione sacrificale, centro della S. Messa, non si dirige infatti, principalmente alla comunità, ma a Dio. Lo vedremo soffermandoci sulla Preghiera Eucaristica e sul Prefazio che la introduce… L’orientamento spirituale ed interiore di tutti, del sacerdote e dei fedeli, è dunque versus Deum per Iesum Christum. Significativo l’invito che a questo punto della Celebrazione risuonava nelle Assemblee eucaristiche della Chiesa antica: Conversi ad Dominum! Rivolti al Signore!

«Nella Chiesa antica – ricordava Papa Benedetto XVI – era consuetudine che con queste parole il vescovo o il sacerdote, a questo punto della celebrazione, esortasse i fedeli. Sacerdote e fedeli certamente non pregano l’uno verso l’altro, bensì verso l’unico Signore. Pertanto, durante la preghiera guardano nella stessa direzione, verso un’immagine di Cristo nell’abside, o verso una croce, o semplicemente verso il cielo, come fece il Signore nell’orazione sacerdotale la notte prima della sua Passione». Ed è per questo che Papa Benedetto – riconosciuto insigne maestro di Liturgia e di spiritualità liturgica – proponeva di «porre la croce al centro dell’altare, verso la quale insieme possano guardare il sacerdote ed i fedeli, per lasciarsi guidare così dal Signore, che tutti insieme preghiamo».

Nella preparazione e la presentazione dei doni necessari per la celebrazione (sono il pane e il vino e l’acqua: non altre cose, sia pur significative a nostro parere, che talvolta si vedono portare all’altare in processione offertoriale… – «si fa manifesto – dice ancora Papa Benedetto – che il vero dono del sacrificio siamo noi, o almeno dobbiamo arrivare ad esserlo, con la partecipazione all’atto con il quale Gesù Cristo offre se stesso al Padre. Ci mettiamo, dunque, in cammino, ci presentiamo al Signore: gli chiediamo che ci prepari per la trasformazione».

Questo «gesto umile e semplice della presentazione – leggiamo nella Esortazione Apostolica Sacramentum caritatis – ha un significato molto grande: nel pane e nel vino che portiamo all’altare tutta la creazione è assunta da Cristo redentore per essere trasformata e presentata al Padre». La preghiera che lo accompagna lo dice chiaramente: «Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo. Dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Lo presentiamo a te perché diventi per noi cibo di vita eterna». E similmente per il vino. Così «portiamo all’altare anche la sofferenza e il dolore del mondo, coscienti che tutto è prezioso agli occhi di Dio». Il pane e il vino diventano, in un certo senso, simbolo di tutto. Questa è la forza ed il significato spirituale della presentazione dei doni. In questa linea si comprende l’incensazione dei doni collocati sull’altare, della croce e dell’altare stesso, che significa l’oblazione della Chiesa e la sua preghiera, che salgono come incenso verso la presenza di Dio». Il sacerdote conclude la presentazione dei doni rivolgendosi ai fedeli e chiedendo loro che preghino affinché «il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre onnipotente»; e i fedeli rispondono: «Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa».

La presentazione delle Offerte – pane e vino, e anche il contributo che in quel momento siamo chiamati ad offrire per i bisogni della comunità cristiana e per le spese del culto e della manutenzione dell’edificio-chiesa – ci richiamano un elemento fondamentale della vita cristiana: tutto – ogni azione, ogni gesto, ogni sentimento…! – è da vivere nella dimensione del dono: l’offerta di noi stessi a Dio per i fratelli! A Betlemme ciò che adoriamo nel Bimbo-Dio è proprio questa vivente offerta che Dio fa di se stesso, Lui che per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo.

IV

Betlemme si avvicina… E’ bello pensare ai passi di Maria e di Giuseppe sull’ultimo tratto della strada che li porta dove l’Eterno Padre ha deciso che dovesse nascere come uomo il Suo Figlio unigenito, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre…

E noi, seguendo il loro cammino, ci avviciniamo anche alla nostra “Betlemme Eucaristica”, soffermandoci sul cuore della Celebrazione, la Preghiera Eucaristica, introdotta dal Prefazio e dal canto del “Santo, Santo, Santo”, con il quale le nostre voci si uniscono a quelle degli angeli, dopo che siamo stati invitati a innalzare i cuori al Signore e a rendergli grazie.

«Questa preghiera solenne – insegna Papa Francesco – costituisce il momento centrale di tutta la Celebrazione, ordinato alla santa Comunione. Corrisponde a quanto Gesù stesso fece, a tavola con gli Apostoli nell’Ultima Cena, allorché “rese grazie” sul pane e poi sul calice del vino: il suo ringraziamento rivive in ogni nostra Eucaristia, associandoci al suo sacrificio di salvezza».

La prima e principale Preghiera Eucaristica è il Canone romano, redatto tra il IV e il VI secolo con riferimenti alla tradizione precedente.

Non stupisce il fatto che la Riforma Protestante e Lutero in particolare lo abbiano sottoposto ad aspre critiche: l’Eucarestia infatti non è la rievocazione dell’Ultima Cena, ma la ri-presentazione – il farsi misteriosamente presente – del Sacrificio di Cristo consumato sulla croce; Sacrificio da cui abbiamo ricevuto il dono della salvezza e da cui sgorga per noi il dono della Comunione con la presenza reale di Cristo Redentore.

Con la Riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II, altre Preghiere Eucaristiche sono state legittimamente formulate e offerte al Popolo di Dio dall’Autorità della Chiesa, ma il Canone Romano conserva tutta la sua altissima dignità e autorevolezza.

Oggi, la più usata, soprattutto nei giorni feriali, è la II Preghiera Eucaristica che proviene dalla Tradizione apostolica di Ippolito di Roma (III secolo); mentre per le domeniche, le feste e le solennità solitamente si utilizza la III, che si avvicina di più al Canone Romano.

Ci soffermiamo sulla Preghiera Eucaristica a partire da questo testo il quale, proprio per l’uso frequente che se ne fa, è talmente familiare che anche i fedeli lo conoscono quasi a memoria…

«Padre veramente santo, fonte di ogni santità (l’invocazione iniziale riprende il canto del Santo, e subito dice chiaramente a Chi ci si rivolge: la Preghiera Eucaristica è rivolta al Padre… Così, infatti, fece Gesù nella sua “preghiera sacerdotale”)

santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore. (E’ l’epiclesi. Il Sacerdote impone le mani sul pane e sul vino e invoca lo Spirito Santo perché scenda a consacrarli con la sua potenza trasformandone la sostanza, facendoli passare dall’essere pane e vino ad essere realmente Corpo e Sangue di Cristo. Questa azione dello Spirito Santo e l’efficacia delle parole di Cristo proferite dal sacerdote in persona Christi rendono realmente presente, sotto le specie -le apparenze- del pane e del vino, il suo Corpo e il suo Sangue, il suo Sacrificio offerto sulla croce una volta per tutte).

Egli, offrendosi liberamente alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi. Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna Alleanza versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me.

E all’annuncio “Mistero della fede!” tutti proclamano la loro fede in ciò che realmente è accaduto nel mistero della Consacrazione: Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta.

Riprendendo questa professione di fede, il sacerdote continua: Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.

(La reale presenza di Cristo, crocifisso e risorto, fa sì che la Chiesa – che ha prima offerto a Dio il pane e il vino – possa ora offrire al Padre un’offerta infinitamente più preziosa: il Suo Figlio unigenito, il Suo sacrificio di immenso valore salvifico. La Chiesa ne è consapevole con una umiltà che traspare meravigliosamente nelle parole: ci hai ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale: nos dignos habuisti adstare coram te et tibi ministrare).

A questo punto, unendosi all’offerta di Cristo e alla sua intercessione, la Chiesa innalza al Padre una grande intercessione: gli chiede di raccogliere tutti i suoi figli nella perfezione dell’amore, in unione con il Papa e il Vescovo, menzionati per nome, segno che celebriamo in comunione con la Chiesa universale e con la Chiesa particolare. La supplica è per tutti i membri della Chiesa, vivi e defunti, in attesa di condividere l’eredità eterna del cielo. «Nessuno e niente – dice Papa Francesco – è dimenticato, ma ogni cosa è ricondotta a Dio, come ricorda la dossologia che la conclude: Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio, Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli».

Ascoltiamo questa grande supplica e l’ampiezza dell’abbraccio della Chiesa orante: Ti preghiamo umilmente: per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo. Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell’amore in unione con il nostro Papa N., il nostro Vescovo N., e tutto l’ordine sacerdotale. Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza: ammettili a godere la luce del tuo volto. Di noi tutti abbi misericordia: donaci di aver parte alla vita eterna, insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria».

Mi pare utile ripensare a quanto dice l’Ordinamento Generale del Messale Romano: «I fedeli s’inginocchino alla consacrazione, se non sono impediti da un motivo ragionevole, come il cattivo stato di salute o la ristrettezza del luogo. Dove esiste il costume che i fedeli rimangano in ginocchio dal Sanctus fino alla dossologia della Preghiera eucaristica e prima della Sacra Comunione, all’Ecce Agnus, si conservi lodevolmente tale uso».

V

Nel nostro cammino di quest’anno verso Betlemme, per rivivere il mistero della Nascita del Bimbo-Dio, giungiamo sulla soglia della Grotta santa meditando sulla S. Comunione che riceviamo dopo aver rivolto al Padre la preghiera che Gesù ci ha insegnato ed esserci scambiati il “segno della pace”, gesto che è opportuno ripensare nel suo valore e nel suo significato per evitare che si trasformi – come non di rado accade – in un banale convenevole… L’invito a compierlo dice chiaramente in che cosa consiste: La pace del Signore sia sempre con voi dice il Sacerdote e immediatamente, lui stesso o il diacono, aggiunge: Scambiatevi il segno della pace: ancor più chiaro nella lingua originale del Rito latino: Offerte vobis pacem: offritevi la pace. La pace che ci scambiamo è quella che noi stessi riceviamo da Cristo: l’offrircela vicendevolmente è un impegno che va ben oltre uno scambio di convenevoli…

E si giunge così alla Comunione con il Corpo e il Sangue del Signore crocifisso e risorto, presente e vivo sull’altare.

«La celebrazione della Messa – insegna Papa Francesco nelle sue Catechesi che, nella Lettera Pastorale di quest’anno, ho proposto a tutti di leggere con cura, per ripensare il profondo significato della Celebrazione Eucaristica e per vivere più coscientemente e intensamente l’evento più alto della nostra vita settimanale – è ordinata alla Comunione, cioè a unirci con Gesù. Celebriamo l’Eucaristia per nutrirci di Cristo, che ci dona sé stesso sia nella Parola sia nel Sacramento dell’altare, per conformarci a Lui. Lo dice il Signore stesso: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (Gv 6,56). Infatti, il gesto di Gesù che diede ai discepoli il suo Corpo e Sangue nell’ultima Cena, continua ancora oggi attraverso il ministero del sacerdote e del diacono, ministri ordinari della distribuzione ai fratelli del Pane della vita e del Calice della salvezza.

Nella Messa, dopo aver spezzato il Pane consacrato, cioè il corpo di Gesù, il sacerdote lo mostra ai fedeli, invitandoli a partecipare al convito eucaristico. Conosciamo le parole che risuonano dal santo altare: «Beati gli invitati alla Cena del Signore: ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo». E’ un invito che rallegra e insieme spinge a un esame di coscienza illuminato dalla fede. Se da una parte, infatti, vediamo la distanza che ci separa dalla santità di Cristo, dall’altra crediamo che il suo Sangue viene “sparso per la remissione dei peccati”. Tutti noi siamo stati perdonati nel battesimo, e tutti noi siamo perdonati o saremo perdonati ogni volta che ci accostiamo al sacramento della penitenza.

Se siamo noi a muoverci in processione per fare la Comunione, in realtà è Cristo che ci viene incontro per assimilarci a sé. Nutrirsi dell’Eucaristia significa lasciarsi mutare in quanto riceviamo. Ci aiuta sant’Agostino a comprenderlo, quando racconta della luce ricevuta nel sentirsi dire da Cristo: “Non sarai tu a trasformarmi in te, come il cibo della tua carne; ma tu verrai trasformato in me” (Conf. VII, 10, 16). Ogni volta che noi facciamo la comunione ci trasformiamo di più in Gesù. Al sacerdote che, distribuendo l’Eucaristia, ti dice: “Il Corpo di Cristo”, tu rispondi: “Amen”, ossia riconosci la grazia e l’impegno che comporta diventare Corpo di Cristo!

Secondo la prassi ecclesiale, il fedele si accosta normalmente all’Eucaristia in forma processionale, come abbiamo detto, e si comunica in piedi con devozione, oppure in ginocchio, ricevendo il sacramento in bocca o, dove è permesso, sulla mano, come preferisce.

Dopo la Comunione, a custodire in cuore il dono ricevuto ci aiuta il silenzio, la preghiera silenziosa. Allungare un po’ quel momento di silenzio, parlando con Gesù nel cuore ci aiuta tanto, come pure cantare un salmo o un inno di lode che ci aiuti a essere con il Signore.

La Liturgia eucaristica è conclusa dall’orazione dopo la Comunione. In essa, a nome di tutti, il sacerdote si rivolge a Dio per ringraziarlo di averci resi suoi commensali e chiedere che quanto ricevuto trasformi la nostra vita. L’Eucaristia ci fa forti per dare frutti di buone opere per vivere come cristiani».