Omelia nella solennità di S. Filippo Neri Ivrea, chiesa di S. Maurizio, 26 maggio 2023

26-05-2023

Carissimi Padri, Fratelli e Sorelle, sia lodato Gesù Cristo!

1. È la prima volta che a celebrare a Ivrea la solennità di San Filippo Neri è la Congregazione dell’Oratorio, canonicamente eretta dal Romano Pontefice lo scorso dicembre, nell’anno del IV centenario della canonizzazione di Padre Filippo.

La memoria liturgica del Santo è nel calendario della Chiesa Universale e tutta la Chiesa la celebra nel mondo intero; ma per la famiglia del Santo la festa è speciale: una Solennità!

Molte persone con affetto e simpatia la celebrano, anche se la devozione al Santo non conosce le grandi manifestazioni devozionali che i devoti riservano ad altri Santi.

Direi che i devoti di Padre Filippo entrano con lui in un rapporto intimo, caratterizzato dal colloquio silenzioso, da una preghiera fatta di sguardi più che di parole: il rapporto che molti amici e discepoli hanno vissuto mentre Filippo era in vita, e che continua nel tempo, lungo i secoli.

A Roma, nella chiesa di Santa Maria in Vallicella, dove le sue spoglie mortali riposano, è continuo il passaggio dei devoti del Santo… Quante volte ho visto, Cardinali, Vescovi, Preti, Seminaristi, Religiosi e Laici inginocchiati presso quell’urna a pregare in silenzio, quasi nascosti, con il viso tra le mani…

Ecco, è questo lo stile della devozione a Padre Filippo: un’intimità di rapporto in cui si cerca l’essenziale del carisma che Dio, attraverso Filippo, ha dato alla Chiesa e che continua ad essere vivo nella Chiesa e a diffondersi come si è diffuso qui a Ivrea: non per un progetto pensato a tavolino, ma attraverso circostanze che hanno progressivamente manifestato una volontà superiore.

2. Di questo carisma, donato da Dio alla Chiesa attraverso un giovane laico, rimasto tale fino all’età di trentasei anni, e poi prete per quarantaquattro, fino alla morte, vorrei sottolineare questo soltanto: Filippo, laico e poi prete, fu caratterizzato da un’eccezionale vita di fede, da una carità senza limiti, da un amore “immoderato” per Cristo, ma il tutto vissuto sempre con la semplicità, l’umiltà, la naturalezza – direi – di chi fa le cose ordinarie senza cercare ciò che è straordinario.

Eh sì, perché lo “straordinario”, nella vita di Filippo, nasce da quello che fa Dio in lui, non da quello che lui progetta, non dai suoi programmi…

Filippo è un giovane che prega, un uomo di profonda preghiera, ma come altri nella Chiesa…; lo “straordinario” accadde per pura iniziativa di Dio che, con un’ondata di mistico fuoco, gli dilatò anche fisicamente il cuore. Come qualunque cristiano consapevole che lo Spirito Santo va invocato, Filippo pregava: “vieni Santo Spirito” e lo Spirito Santo scese in lui in una forma così straordinaria che indusse il venerabile Pio XII a dire: “singolare carisma di carità onde l’Apostolo di Roma fu da Dio privilegiato con la visibile dilatazione del cuore, prodigio nuovo”.

Che cosa fece Filippo? Fece di tutto per nascondere a chiunque gli effetti di ciò che di straordinario aveva ricevuto.

Non è lo straordinario che conta, ma l’essenziale: il cuore del cristiano che si lascia plasmare dall’Amore infinito di Dio!

L’Oratorio – il cammino di formazione cristiana che è l’Oratorio – gli nacque tra le mani, anzi gli nacque da quel Fuoco e lui quasi non si accorse che nasceva…; ne guardava stupito lo sviluppo, mentre semplicemente faceva quello che un buon cristiano laico è chiamato a fare: lavorare e testimoniare che Dio è il centro della vita, che Cristo è tutto, e che “chi vuol altro che Cristo non sa quel che vuole”.

Fu un laico così Filippo, per trentasei anni… e fu un prete così, quando il suo confessore, il semplice e lieto don Persiano Rosa, lo condusse a diventare prete, mentre Filippo mai aveva pensato di diventarlo.

Ciò che da laico cristiano aveva vissuto nella carità, nella preghiera, nella testimonianza della sua fede, continuò a viverlo da prete, plasmato dall’Eucaristia, in cui “piutosto agebatur quam ageret”, come disse un discepolo: si lasciava fare piuttosto che fare lui… Estasi, prodigi eucaristici, fece sempre in modo di tenerli nascosti: non era lui a volerli, cercava anzi ogni mezzo per evitarli. Dell’Eucaristia gli bastava l’essenziale.

Dio operava in lui cose straordinarie che lui non cercava, non voleva, che diventavano anzi, per lui, motivo di grande imbarazzo…e in effetti, ciò che attirava a lui la gente non erano queste cose di cui pure qualcuno si accorgeva; ad attirare a lui era la semplicità, la disponibilità inesausta ad accogliere e a dedicare tempo e forze, l’amore vero per le persone: un amore non sentimentale ma frutto del dono concreto di sé. La sua gioia non era semplicemente l’allegria (“sempre lieto”) con cui viveva ogni cosa, ma la gioia che Cristo dona al discepolo in tutte le circostanze, liete e dolorose della vita.

Carissimi Fratelli e Sorelle,

celebrare la sua festa nella C.O. è riconoscere tutto questo, e al tempo stesso, riconoscere che anche le comunità dei suoi preti, dei preti che si ispirano a lui e lo chiamano loro Padre, non sono un progetto suo, il progetto di diffusione della sua comunità nel mondo, ma sono qualcosa di cui il primo a stupirsi, quando già era in vita quaggiù, era lui…

Noi ringraziamo il Signore per il dono che la Sua bontà ha fatto alla Città di Ivrea e alla Diocesi con la Congregazione dell’Oratorio, a 280 anni dalla fondazione dell’ultima in terra piemontese.

Sia lodato Gesù Cristo!