Omelia nella Messa Crismale – Ivrea, Cattedrale, 18 Aprile 2019

18-04-2019

Prima di iniziare l’omelia, desidero dire ai Sacerdoti, in questo giorno in cui il Sacerdozio è nato in relazione all’Eucaristia, il mio grazie sincero e fraterno per il dono della loro vita in risposta alla chiamata del Signore, e per il servizio che essi compiono nelle comunità a loro affidate. Conosco, carissimi Fratelli Preti – poiché sono prete anch’io – il vostro impegno, il lavoro apostolico, le fatiche e le difficoltà spesso nascoste della vita di ogni giorno… Sono quella risposta iniziale che continua, coniugata nei tempi e nei modi della vita concreta di ogni giorno. Grazie di cuore! E’ vero che lo fate per il Signore, e il Suo “grazie” è ben più prezioso di quello del Vescovo, ma ve lo dico anch’io e sento di interpretare, in questo momento, i sentimenti di gratitudine di tanta gente: la gratitudine che mi dà una grande gioia quando, nella Visita Pastorale, ma non solo in essa, vedo tante persone che vi vogliono bene. Grazie di cuore! Anche a nome di chi non ve lo dice!

Carissimi Fratelli e Sorelle, carissimi Confratelli nell’Episcopato, nel Presbiterato e nel Diaconato! 1. La prima volta che celebrai la Messa Crismale in questa Cattedrale, a pochi mesi dall’inizio del servizio che sono stato mandato a compiere e in relazione al quale riconosco tutti i miei limiti, la riflessione che proposi ebbe per tema la S. Liturgia: una realtà che, anche per la mia provenienza dall’Oratorio filippino, mi sta molto a cuore; su di essa sono ritornato più volte in questi anni e ho chiesto, in questo anno pastorale, fosse motivo di speciale riflessione nelle comunità della nostra Diocesi. Sono infatti pienamente convinto dell’importanza di quanto il Concilio Vaticano II insegna nella sua prima Costituzione, la “Sacrosanctum Concilium”, che afferma:

La Liturgia «non esaurisce tutta l’azione della Chiesa» (n. 9), ma «è il culmine verso cui l’azione della Chiesa tende ed è, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. Il lavoro apostolico, infatti, è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore» affinché si realizzi «quella santificazione degli uomini nel Cristo e quella glorificazione di Dio, alla quale tendono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa» (n.10). La liturgia «è la prima e per di più necessaria sorgente dalla quale i fedeli possano attingere uno spirito veramente cristiano» (n.14).

Affinché questo si realizzi nelle nostre comunità occorre che alla Liturgia sia dedicata non soltanto l’attenzione e la cura che essa merita, ma che le nostre comunità siano formate a comprenderla nella sua vera essenza. A partire da una convinzione fondamentale: che la Liturgia è azione di Dio prima che opera nostra, e di conseguenza la nostra partecipazione attiva si attua, innanzitutto, nell’accogliere l’azione del vero Protagonista. La partecipazione attiva – leggiamo nella Costituzione conciliare – è «sia interna che esterna»: e pertanto «le acclamazioni, le risposte, il canto dei salmi, le antifone, i canti, nonché le azioni e i gesti e l’atteggiamento del corpo», senza dimenticare «anche un sacro silenzio» (S.C.30) sono garantiti nella loro autenticità da un’autentica interiorizzazione.

Si comprende a questa luce l’invito rivolto dal Concilio ai Pastori: si lascino «impregnare, loro per primi, dello spirito e della forza della liturgia» per diventarne «maestri con la parola ma anche con l’esempio» (S.C.14). Risponde a questa convinzione anche la norma che il Concilio fissa con chiarezza: «nessuno, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica» (n. 22)

2. In relazione a tutto questo ho chiesto che la riflessione sulla Celebrazione eucaristica fosse posta, quest’anno, al centro della formazione nelle nostre comunità, indotto anche dalla lettura delle 15 catechesi che il S. Padre Francesco ha dedicato, l’anno scorso, alla Messa: una vera catechesi mistagogica che introduce nella ricchezza del mistero celebrato e indica le conseguenze che dai gesti e dalle parole della Celebrazione derivano al vivere del cristiano. Il Papa si è augurato infatti che quelle sue catechesi «possano far crescere nei fedeli la consapevolezza del grande dono e mistero che è l’Eucaristia celebrata e conservata», affinché «si lascino convocare frequentemente a vivere questo sacramento, cuore della Chiesa, medicina per i malati e fortezza per i sani». Quelle catechesi del Santo Padre ci assegnano un compito: riscoprire la sorgente, il cuore di tutto il nostro vivere come singoli e come comunità. Non c’erano e non ci sono temi più importanti nella vita della Chiesa, anche locale, su cui riflettere? So che qualcuno se l’è chiesto.

Sì, ci sono, ma questo sta a fondamento di tutto, se è vero – come afferma “Sacrosanctum Concilium” – che la Liturgia «è la prima e per di più necessaria sorgente dalla quale i fedeli possono attingere uno spirito veramente cristiano». Il rinnovamento della Chiesa, sempre necessario e oggi urgente, è indissolubilmente legato all’impegno della nostra decisa adesione a Cristo, alla Sua Parola e ai Suoi gesti salvifici; e questo impegno è sostenuto, nella fatica dell’attuazione, dalla consapevole partecipazione alla Celebrazione Eucaristica poiché «non è possibile – insegna “Presbyterorum Ordinis” – che si formi una comunità cristiana se non avendo come radice e cardine la celebrazione dell’Eucaristia, dalla quale deve quindi prendere le mosse qualsiasi educazione tendente a formare lo spirito di comunità» (n. 6).

Sono urgenti l’impegno della nuova evangelizzazione, con una attenzione prioritaria ai giovani; l’impegno di costruire comunità cristiane capaci di vivere la comunione al loro interno e tra di esse; l’impegno di crescere nella carità verso tutti e di sviluppare il servizio verso i più poveri; l’impegno di una onesta verifica su metodi e convinzioni, alla luce dei risultati; l’impegno di formare un Laicato consapevole della propria presenza nella Chiesa, senza forme di clericalismo spesso non dissimile da quello rimproverato al Clero: un laicato capace, soprattutto, di animare cristianamente le realtà terrestri; e tanti altri impegni di cui ho detto di anno in anno nelle Lettere Pastorali. Ma tutto parte dall’Eucaristia consapevolmente vissuta sul piano celebrativo e su quello esistenziale.

3. Carissimi Fratelli e Sorelle, all’inizio di questa Celebrazione in cui vengono benedetti i Santi Oli che toccano tutta la nostra vita, dalla nascita al tramonto, abbiamo pregato così, con le parole della Chiesa in preghiera: «O Padre che hai consacrato il tuo unico Figlio con l’unzione dello Spirito Santo e lo hai costituito Messia e Signore, concedi a noi, partecipi della sua consacrazione, di essere testimoni nel mondo della sua opera di salvezza». Partecipi della Sua consacrazione. «Consacro me stesso – disse Gesù nella Cena in cui istituì l’Eucaristia – perché siano anch’essi consacrati nella verità». Per questo «ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, e ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre». Gesù Cristo è presente nella Chiesa come «Colui che ci ama»: non un manuale con cui confrontarci, ma una Presenza che sfida le nostre misure e ci rende capaci di superare noi stessi – meglio: di essere autentici – e di pensare, parlare e agire con quella carità vera (“Ubi caritas est vera”, perché se non è vera non è carità!) la cui assenza – ma anche la cui scarsezza – manifesta un pratico non riconoscere la Presenza di Cristo tra noi; manifesta che soltanto lo si giustappone alla realtà, o lo si lascia sull’orizzonte, ma lontano.

Cristo è risorto, presente e vivo.

Buona Pasqua, Fratelli e Sorelle!

Sia lodato Gesù Cristo!