Omelia della S. Messa del Crisma Ivrea, Cattedrale, 28 Marzo 2024

28-03-2024

Carissimi Fratelli nel Presbiterato e nel Diaconato,

Fratelli e Sorelle nel Sacerdozio comune dei fedeli,

Sia lodato Gesù Cristo!

  1. Sulla soglia del Triduo pasquale, siamo convocati a celebrare questa S. Eucarestia nella quale ci è fatto il dono anche del S. Crisma e dei S. Oli per i Sacramenti del Battesimo, della Cresima, dell’Ordine, dell’Unzione degli infermi.

Chi ci convoca è il Signore e noi lo ringraziamo perché il Suo amore sempre ci precede, come opportunamente ci ricorda il Santo Padre Francesco: «Prima della nostra risposta all’invito del Signore, molto prima, – scrive – c’è il suo desiderio di noi… Ogni volta che andiamo a Messa la ragione prima è che siamo attratti dal suo desiderio di noi. La risposta, da parte nostra, è arrenderci al suo amore». (Desiderio desideravi, 6).

È una verità che noi preti dobbiamo ricordare ai fedeli, ma, ancor prima, a noi stessi: e non solo in relazione alla celebrazione della S. Messa, ma in ogni gesto, ogni parola, ogni azione che compiamo nell’esercizio del nostro ministero. Il Signore Gesù ci ha scelti perché ha voluto condividere con noi la Sua vita, e ci ha resi «partecipi della sua consacrazione» come abbiamo pregato nell’orazione colletta.

Ha fatto dono di questa partecipazione a tutti i battezzati, ma a noi lo ha fatto ad un titolo speciale: la Lumen gentium del Concilio Vaticano II ce lo ricorda: nel Sacramento dell’Ordine siamo diventati «sacerdoti del Nuovo Testamento», «partecipi dell’ufficio di Cristo, unico mediatore, ed esercitiamo il sacro ministero soprattutto nel culto eucaristico, dove, agiamo in persona di Cristo». L’Ordinazione sacerdotale, infatti, non ci ha solo consegnato un incarico; ha operato in noi una trasformazione ontologica: ci è stato donato un nuovo “essere” che ci impegna, in modo particolare, nonostante le nostre personali fragilità e la debolezza delle nostre forze, a condividere in modo speciale la vita di Cristo, “vestigia Christi sequentes” come dicono i Padri della Chiesa: mettendo i nostri passi sulle orme di Cristo, seguendo Lui che è la via, la verità e la vita.

  1. È a questa luce, carissimi Confratelli Sacerdoti, che noi oggi rinnoviamo le Promesse fatte davanti al Vescovo e al Popolo santo di Dio al momento della nostra Ordinazione. Le rinnoviamo pubblicamente, come abbiamo fatto la prima volta, perché la nostra speciale partecipazione al Sacerdozio di Cristo è iscritta nel profondo di noi, ma non è un fatto “privato”. Davanti a tutti, quindi, affermiamo non solo il desiderio, ma la nostra volontà di «unirci e conformarci intimamente al Signore Gesù, rinunciando a noi stessi, lasciandoci guidare non da interessi umani [che sono vari e sempre in agguato], ma dall’amore per Cristo e per i fratelli».

Vi propongo, a questa luce, la riflessione di Papa Benedetto in una S. Messa Crismale; un’omelia profonda e colma di affetto per i sacerdoti, che ebbi la gioia di ascoltare allora a viva voce e che ho visto ripubblicata in questi giorni.

«Il Signore – disse il Papa – diede ai Dodici il compito sacerdotale di celebrare, nel pane e nel vino, il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue fino al suo ritorno. È il dono che Cristo ci fa di se stesso. È Dio che fa un dono a noi, e noi, colmati da questo dono, diventiamo suoi… Abbiamo bisogno di ricordare sempre questo commovente mistero; abbiamo bisogno di ritornare a quell’ora in cui il Signore ha posto le sue mani su di noi e ci ha fatti partecipi di questo mistero.

Riflettiamo perciò nuovamente sui segni nei quali il Sacramento ci è stato donato. Al centro c’è il gesto antichissimo dell’imposizione delle mani, col quale Egli ha preso possesso di me dicendomi: “Tu mi appartieni Tu stai sotto la protezione delle mie mani, sotto la protezione del mio cuore. Tu sei custodito nel cavo delle mie mani. Rimani nello spazio delle mie mani e dammi le tue!”.

Ricordiamo poi che le nostre mani – segno e strumento del nostro agire – sono state unte con il Crisma, segno dello Spirito Santo e della sua forza… Il Signore che ci ha imposto le mani vuole ora le nostre mani affinché, nel mondo, diventino le sue, e siano strumenti del servire, del donare…

Fissiamo sempre di nuovo il nostro sguardo su di Lui e stendiamo le mani verso di Lui… La fede in Gesù è il mezzo grazie al quale noi afferriamo, sempre di nuovo, la mano che il Salvatore ci offre… “Non permettere che sia mai separato da te” è una mia preghiera preferita.

Il Signore ha posto la sua mano su di noi ed ha espresso il significato di tale gesto nelle paro-le: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi (Gv 15, 15). Il Signore ci rende suoi amici: ci affida tutto; ci affida sé stesso, così che possiamo parlare con il suo Io – in persona Christi capitis. Egli si è davvero consegnato nelle nostre mani. Tutti i segni essenziali dell’Ordinazione sacer-dotale sono manifestazione di questo “Vi ho chiamato amici”: l’imposizione delle mani; la consegna del libro – la sua parola affidata a noi; la consegna del calice col quale ci trasmette il suo mistero più profondo e personale. Di tutto ciò fa parte anche il potere di assolvere che dà nelle nostre mani la chiave per riaprire la porta verso la casa del Padre.

Il significato profondo dell’essere sacerdote è diventare amico di Gesù Cristo. Questa amicizia, per la quale dobbiamo impegnarci ogni giorno di nuovo, è una comunione di pensiero non solamente intellettuale, ma di sentimenti e di volontà, del volere e quindi anche dell’agire. Dobbiamo conoscere Gesù in modo sempre più personale, ascoltandolo, vivendo con Lui, trattenendoci presso di Lui nella preghiera. Solo così si sviluppa l’amicizia. Solo così possiamo svolgere il nostro servizio sacerdotale, e portare Cristo e il suo Vangelo agli uomini. Il semplice attivismo può essere persino eroico. Ma, in fin dei conti, resta senza frutto e perde efficacia, se non nasce dalla profonda intima comunione con Cristo. Il tempo che impegniamo nella preghiera e nell’adorazione è davvero tempo di attività pastorale, autenticamente pastorale. Il sacerdote deve essere soprattutto un uomo di preghiera… Il mondo ha bisogno di Dio – non di un qualsiasi dio, ma del Dio di Gesù Cristo, che si è fatto carne e sangue, che ci ha amati fino a morire per noi, che è risorto e ha creato in sé stesso uno spazio per l’uomo. È questa la nostra chiamata sacerdotale: solo così il nostro agire da sacerdoti può portare frutti».

Carissimi Confratelli, Portare frutti! Siamo chiamati a questo in un tempo in cui vediamo dolorosamente non pochi allontanarsi dalla partecipazione alla vita della Chiesa; ma segnato anche da una situazione forse ancor più pericolosa: anche in non pochi di quelli che ancora ci sono, la trasformazione della fede in qualcos’altro: in una pseudo fede non più fondata sulla adesione della mente e del cuore ai contenuti della divina Rivelazione, sulle grandi Verità trasmesse dalla Chiesa nella dottrina cristiana… Si diffonde così una adesione, più o meno consapevole,  alle convinzioni del mondo e si smarrisce la visione cristiana di Dio, della persona umana, del senso e della destinazione della vita… Le cause – tante e complesse – richiedono un’analisi seria e coraggiosa, non solo nel terreno del mondo… Quello che non ci è concesso è fermarci solo a lamentare i problemi… Il primo passo che la Chiesa oggi ci indica è la rinnovata adesione alle Promesse che abbiamo fatto.

Grazie, carissimi Sacerdoti, per gli esempi che date rispondendo generosamente alla vocazione ricevuta e vivendola nell’amicizia con Gesù; e grazie anche per gli esempi di conversione che date quando dovete, come tutti, riprendere il cammino! Chiedete al Signore che sia così anche p me.

La Pasqua è la novità che irrompe nella vecchiezza della vita. Buona Pasqua!

Sia lodato Gesù Cristo!