Prima d’ impartire la benedizione, vorrei ringraziare tutti voi qui presenti: i signori Cardinali, i fratelli vescovi, i sacerdoti e i diaconi della Diocesi ma anche tutti i presbiteri e i diaconi che sono venuti da Roma o dalle altre Chiese d’Italia. Vorrei ringraziare i consacrati e le consacrate, i laici, le associazioni e i movimenti ma anche tutti coloro che sono qui a titolo personale. Saluto e ringrazio per la loro presenza i rappresentanti delle altre confessioni cristiane: che il cammino verso l’unità e la comunione trovi in questa nostra Chiesa locale un terreno lavorato e fertile.
Saluto e ancora ringrazio il sindaco di Ivrea per la sua accoglienza e per quanto mi ha donato; con lui tutti i rappresentati delle Istituzioni civili e militari: grazie per quanto mettete di voi stessi anche oltre il dovuto, perché coloro che vi sono affidati siano al sicuro e vivano dignitosamente.
Una menzione ed un grazie particolare a tutti coloro che dal giorno della nomina e fino a stasera, hanno donato il proprio tempo, la propria passione, la loro salute, le ore diurne e notturne perchè tutto ciò potesse essere così come è stato e sarà: bellissimo!
Grazie a tutti coloro che hanno organizzato e animato questa celebrazione nei minimi dettagli. Grazie anche a coloro che attraverso i media fanno sì che tanti, anche a distanza, possano seguirci. Un ringraziamento ai tanti volontari provenienti da diversi paesi della Diocesi che hanno offerto e preparato il rinfresco presso il Seminario Minore.
Grazie al Vescovo Edoardo e al Cardinale Arrigo per questa Chiesa di Ivrea che ricevo dal loro cuore di pastori.
Grazie alla mia famiglia per tutto l’esempio e l’amore con cui mi ha protetto e sostenuto.
Vorrei concludere con un passaggio tratto dalla bellissima Meditazione sulla Chiesa del compianto cardinale De Lubac:
“Ormai non sono più che un filosofo, cioè un uomo solo“, si narra dicesse uno sventurato sacerdote, la sera della sua apostasia, ad un visitatore che era andato a congratularsi con lui. Riflessione amara, ma quanto vera! Egli aveva abbandonato la casa, fuori della quale non ci sarà mai altro per l’uomo che esilio e solitudine. Molti non lo avvertono perché vivono ancora nell’immediato, fuori di se stessi, “barricati al mondo come le alghe sulle rocce del mare” (Clemente Alessandrino). Le preoccupazioni quotidiane li assorbono, “il limbo d’oro dell’apparenza“, stende loro davanti un velo di illusione. Oppure tentano di ingannare la loro sete cercando, per vie diverse, qualche surrogato della Chiesa. Ma chi al fondo del proprio essere sente o anche soltanto intuisce e sospetta l’Appello che l’ha destato, sa con certezza che né nell’amicizia, né nell’amore, né a maggior ragione i raggruppamenti sociali che sorreggono la sua esistenza, potranno mai placare la sua sete di comunione. Ne l’arte, né la riflessione, né la ricerca spirituale indipendente, simboli soltanto, promesse di altro ma simboli deludenti, promesse che non reggono, legami troppo astratti o troppo particolari, troppo superficiali o troppo effimeri, tanto più impotenti oggi quanto più seducenti ieri: nulla di ciò che l’uomo crea o di ciò che rimane sul piano dell’uomo potrà strappare l’uomo alla sua solitudine. La sua solitudine, anzi, si accrescerà sempre più man mano che egli scopre se stesso perché essa non è altro che il contrario della comunione alla quale egli è chiamato, ne ha l’ampiezza e la profondità. Dio non ci ha creati “perché dimorassimo nei confini della natura”, né perché vivessimo una vicenda solitaria; ci ha creati per essere introdotti insieme in seno alla sua Vita trinitaria. Gesù Cristo si è offerto in sacrificio perché noi non formassimo più che una sola cosa in questa unità delle persone divine. Questa deve essere la ricapitolazione, la rigenerazione e la consumazione di tutto; e tutto ciò che ci allontana da questa mèta finale è un richiamo ingannatore. Ora c’è un luogo in cui, fin da quaggiù, incomincia questa riunione di tutti nella Trinità. C’è una “famiglia di Dio”, misteriosa estensione della Trinità nel tempo, che non soltanto ci prepara a questa vita unitiva e ce ne dà la sicura garanzia, ma ce ne fa già partecipi. Unica società pienamente aperta, essa è la sola che sia all’altezza della nostra intima aspirazione e nella quale noi possiamo attingere finalmente tutte le nostre dimensioni. De unitate Patris et Filii et Spiritus Sancti plebs adunata (Cipriano): tale è la Chiesa. Essa è “piena della Trinità” (Origene).
Fratelli, sorelle, la Chiesa che ci ha dato la fede, la comunione e ci ha insegnato a gustare fin da ora la vita eterna, è un dono immenso ma anche fragile che il Signore ha messo nelle nostre mani, abbiamone cura, non pensiamo di poterne fare a meno anche se la mente ci offrisse delle plausibili ragioni per pensarlo. Credetemi, ne abbiamo tutti bisogno, e perché sia sempre bella e feconda, ciascuno di noi, nessuno escluso, è chiamato a fare la sua parte, se così non fosse, tutto il Corpo ne risentirebbe!