Ivrea, Catterale, 2020

Discorso alla Città in occasione dell’offerta del Cero votivo

Con il suggestivo suono dei pifferi e dei tamburi, la salita alla antica cappella dei Tre Re, l‟offerta del Cero che ora avviene in questa chiesa Cattedrale, nella solennità dell‟Epifania, inizia lo “Storico Carnevale” a cui, da tradizione, il Vescovo di Ivrea partecipa, non come rievocazione di un personaggio del passato, ma proprio in quanto Vescovo di oggi, successore di quelli che da sedici secoli hanno retto la diocesi di Ivrea.

Ogni anno è per me l‟occasione per dire una parola alla Città, proprio in quanto Città. E ogni anno ho sottolineato un aspetto proponendolo alla riflessione. Quest‟anno lo faccio ponendomi e ponendo a voi due domande.

1. La prima suggerita dall‟arrivo dei Magi a Betlemme: Ivrea, che cerchi? E, prima ancora: cerchi?

In questa festa dell‟Epifania guardiamo all‟esperienza di questi uomini ai quali i nostri padri hanno significativamente dedicato una cappella sul Monte Stella della nostra Città.

I Magi testimoniano, innanzitutto, di essere uomini che hanno cercato. Non si sono chiusi nel benessere e nelle sicurezze di cui godevano nel ceto elevato della loro società e neppure si sono chiusi presuntuosamente nel loro sapere. Hanno intrapreso un lungo cammino e si sono lasciati guidare da una stella che attirò il loro interesse di esperti conoscitori degli astri; la riconobbero portatrice di un messaggio speciale, la nascita di un Re speciale, una realtà nuova… Si lasciarono guidare non solo attraverso le svolte della strada, ma anche attraverso quelle del pensiero: da Oriente ad Occidente: dall‟Oriente che ben conoscevano all‟Occidente che ignoravano…. Non erano sazi di ciò che avevano. Erano sanamente inquieti e cercavano ancora. Compresero che Dio, di cui avevano ammirato la forza e il potere contemplando nel cielo notturno le misteriose vie percorse dalle infinite stelle, era quel Bambino fragile e indifeso. Per questo «provarono una gioia grandissima», e per questo «per un’altra strada fecero ritorno al loro paese»: «l’altra strada» è che d‟ora in poi sarebbero stati diversi i loro pensieri, le loro precedenti strategie di vita…

Carissima Ivrea, e se dovessimo cercare il futuro spingendoci più indietro dell‟era Olivettiana? E se il cammino da compiere, per trovare il futuro, richiedesse dei passi su strade che partono da molto più indietro, da itinerari di pensiero che richiedono svolte coraggiose?

Cerchiamo? E che cosa cerchiamo? Siamo disposti a fare passi concreti verso un futuro che non può essere solo la riedizione di un recente passato? Non è scontata la risposta a queste domande.

2. Una seconda domanda: Ivrea, qual è la tua identità?

In altre parole: chi sei, che cosa pensi, qual è la visione che hai della vita? I valori che la storica rappresentazione del Carnevale propone sono valori a cui attingere nel quotidiano svolgersi dell‟esistenza, o una parentesi che si chiude al termine della manifestazione? La cultura, la visione della vita, il senso della giustizia, del sacrificio, della lotta, l‟unità di popolo, la fraternità tra le persone e le classi sociali, sono quelle che la manifestazione celebra o sono altre?

Mi sembrano utili le riflessioni contenute in un recente saggio – La cultura storica dell’Italia unita – di Roberto Pertici, professore di storia contemporanea all‟università di Bergamo, che analizza a fondo l‟idea di nazione in Italia e nella società occidentale. La crescita degli egoismi nella società di oggi – egli osserva – è prodotta non dal trionfo dell‟idea di nazione ma piuttosto dalla perdita del vero significato di tale idea. La nazione – sostiene – ha fondamento in una civiltà, in una cultura (in un patrimonio di valori). L‟idea di nazione – (io preferisco dire di “Patria”) – può avere ed ha avuto anche sviluppi negativi, certamente. Ma i positivi non devono essere trascurati: «Nella nazione – dice questo studioso – l’individuo si integra in una realtà che supera il suo orizzonte puramente individuale, e sente come qualcosa di reale il cosiddetto „bene comune‟, il quale, se non si incarna in un popolo con cui abbiamo familiarità, rischia di essere qualcosa di astratto».

A partire dagli anni Sessanta – prosegue – c‟è stato «un cambiamento di paradigma complessivo»: mentre in precedenza sui diritti prevalevano i doveri, grazie ai quali «l‟individuo si sente parte di qualcosa di più grande che guida la sua azione e che lo definisce», oggi «si è passati alla prevalenza dei diritti». Questo cambio di paradigma «ha alle spalle mutamenti antropologici enormi, di cui noi non abbiamo ancora tutta la consapevolezza».

Lo rileva, in particolare nella generazione dei nati tra il 1960 e il 1980, il prof. Antonio Scurati, in un interessante articolo sul “CorSera” del 15.10.2019.

«La mia generazione d‟italiani – scrive – è stata tra le più infeconde della storia dell‟umanità… Una generazione tecnologica ma “piccola”, invisibile, sfiduciata, scettica. Che sia vero o meno, una cosa è certa: abbiamo messo al mondo pochissimi figli. I dati ci inchiodano: siamo all‟ultimo posto in Europa per nascite: la differenza tra numero dei nati e dei morti ogni anno è di circa 120.000 unità in meno. E‟ una domanda che non possiamo più eludere. La risposta è, ovviamente, articolata. Ragioni biologiche, ragioni sociologiche, ragioni politiche (mancanza di adeguati programmi di sostegno alle famiglie). Ma dobbiamo essere onesti con noi stessi. La parte più amara di questa verità è che il calo demografico in Italia – e in Occidente – non accade per ragioni materiali e contingenti. La nostra infecondità va imputata, principalmente, a ragioni culturali e a ragioni “spirituali”.

Affacciatici alla vita adulta nei mirabolanti anni ‟80 – un combinato di edonismo sfrenato, individualismo disperato e ottimismo patinato – abbiamo vissuto troppo a lungo misurando le nostre esistenze sul metro breve del presente assoluto, su cui non trovano spazio le grandi scene della vita: l‟amore, l‟arte, la politica (quella vera), la generazione di figli. Anche qui le concause sono numerose: ci hanno impastati con una miscela di nichilismo punk degli anni ‟70 e di nichilismo neo-liberista degli anni ‟80. Fatto sta che il futuro, e con esso il passato, è ben presto sparito dall‟orizzonte. E, da sempre, generare dei figli è il canale principale per sintonizzarsi sulla frequenza del futuro.

“Era sempre sabato sera e stavamo sempre andando a una festa” scrisse Leavitt. Ora che la festa è finita, dobbiamo riconoscere che si resta sterili se non si è accompagnati da un nuovo orientamento culturale e, perfino, da una rinascita spirituale».

“Una rinascita spirituale” dice il laico Scurati, senza specificare di che segno. Al Vescovo, però, permettete di dire chiaramente: per noi, per la nostra storia, per la tradizione di cui si nutre la nostra civiltà, questa rinascita è quella cristiana, secondo la quale è vuota la pretesa di bendarci le ferite e di risolvere le cose da soli.

Non spegniamo il grido del nostro cuore! Crediamo a Dio che davvero è venuto a cercarci nella Persona di Gesù Cristo Salvatore di tutto l‟uomo, che oggi i Magi, dopo lungo cammino, hanno trovato a Betlemme e «per un’altra strada fecero ritorno al loro paese».

Il nostro Storico Carnevale, con la salita alla Cappella dei Tre Re e con questa offerta del Cero alla Cattedrale, di questo ci parla!

Buon cammino, Amici, e buon Carnevale, il Carnevale eporediese: non una carnevalata, ma la rievocazione di una storia che ha il suo cuore nel cristianesimo!