Pellegrinaggio annuale a N. S. di Oropa 12 Agosto 2023

12-08-2023

(Dt 6,4-13; Mt 17,14-20)

Sia lodato Gesù Cristo!

Carissimi Fratelli e Sorelle, in questo nostro annuale ritrovarci qui, al termine dell’Anno pastorale, nella Casa della Madre, sotto il Suo sguardo, per chiedere la grazia di iniziare nuovi l’Anno che incomincia, desidero ancora ricordare il nostro Vescovo emerito, fedele a questo appuntamento anche negli anni della sua tarda età: lo affidiamo al Signore nella preghiera di suffragio: “Pregate per me” è la grande richiesta che chiude il suo testamento spirituale. 

1. Nella Parola di Dio – scelta e consegnata a noi dalla Chiesa per questo giorno – abbiamo indicazioni preziose anche su questo essere nuovi che chiediamo come grazia, consapevoli però che l’opera del Signore comporta sempre la nostra collaborazione, il nostro impegno ad uscire da quella vecchiezza che è la scarsa volontà di conformarci fedelmente a Cristo assumendo – nella fatica della conversione – il Suo modo di pensare e di agire.

La prima parola che dal Signore ci viene è risuonata per il popolo di Dio nell’Antico Testamento e Gesù la riprenderà integralmente: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”: ascoltare il Signore, amarlo e agire di conseguenza… Nessuno di noi osa dire il contrario? Ma la questione non è dirlo: è chiederci se davvero ascoltiamo il Signore, e come lo ascoltiamo… Qualche domenica fa ci è stata proposta la parabola del seminatore (Mt 13). Ricordiamo i diversi tipi di terreno: strada, luogo sassoso, spine, terra buona… Una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Tutte le volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore. Una parte cadde sul terreno sassoso. È l’uomo che ascolta la parola e subito l’accoglie con gioia, ma non ha radice in sé ed è incostante, sicché appena giunge una tribolazione o persecuzione a causa della parola, egli ne resta scandalizzato. Un’altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. È colui che ascolta la parola, ma la preoccupazione del mondo e l’inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dà frutto. Un’altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. È colui che ascolta la parola e la comprende”. 

La questione è chi sono io che ascolto… 

In questi anni siamo impegnati nel cammino sinodale, e lo stiamo compiendo nella modalità che ci è stata indicata: a livello parrocchiale e vicariale. Il tema del cammino, anch’esso, ci è stato dato: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Siamo chiamati, innanzitutto, ad ascoltare che cosa dice il Signore e a chiederci, ognuno, come stiamo vivendo la comunione, come è la nostra partecipazione alla vita della Chiesa, che senso abbiamo della missione. 

Realisticamente, non possiamo chiudere gli occhi sulla situazione delle nostre comunità, come di tutta la Chiesa e della stessa società; è utile ricordare una parola che S. Agostino diceva in riferimento ai suoi tempi: «Nos sumus tempora: i tempi siamo noi; quales nos sumus, talia sunt tempora: quali noi siamo, tali sono i tempi». C’è del vero in questa valutazione! I tempi siamo noi… Non perché tutto quel che accade dipenda da noi, ma perché noi la nostra parte nel determinare le situazioni ce la mettiamo…: non siamo solo spettatori di qualcosa che accade intorno a noi, fuori di noi… Non possiamo, quindi esimerci – vescovi, preti e laici – dal guardare anche a noi stessi: come siamo, come viviamo, alla luce di che cosa effettivamente viviamo, che cosa c’è in noi che contrasta con lo stile di un discepolo del Signore… La mondanità di cui spesso parla il Santo Padre è solo qualche vanità in qualche ambito, o è lo spirito del mondo, il modo mondano di pensare e di agire, che produce in noi, anche la sfiducia, lo sconforto, la demoralizzazione che ci è dato di vedere?

2. Che cosa dobbiamo fare?

La risposta data da Gesù a chi glielo chiedeva (Gv 6, 28-29) è chiara: «Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato». La questione è la nostra fede, il credere cristianamente, che non possiamo mai dare per scontato, come qualcosa di acquisito…

A chi gli chiedeva un segno per credere (ed era il mondo religioso del tempo, mica i lontani!), Gesù rispose (Mt 12,38-42): «Nessun segno, se non il segno di Giona profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra». Il segno è il mistero pasquale: la croce e un sepolcro vuoto, la morte e risurrezione di cui siamo diventati partecipi in un impegno di costante conversione nei pensieri e nell’agire… Lo siamo? Ringrazio con voi il Signore per tanti autentici esempi di fede vissuta tra la nostra gente; ma in tante occasioni vediamo anche trionfare un’altra impostazione; nelle reazioni, ad esempio, che, in alcuni casi, si sono viste alle nomine nelle Parrocchie: al primo posto c’è una ragionevole considerazione della realtà ed un autentico spirito di fede o i desideri e le emozioni del momento..? Il disagio per i cambiamenti è comprensibile, ma spesso c’è anche una impostazione mondana che porta addirittura a camuffare la verità delle cose… 

La Parola di Dio ci chiede di interrogarci sul nostro stare di fronte a Gesù: cosa “vogliamo” da Lui? Con quali domande, attese, pretese ci mettiamo di fronte a Lui nell’adorazione eucaristica, nei Sacramenti, nei momenti di preghiera? 

 Gesù ci può dire: Siete di fronte a me, ma non vedete… Non riconosciamo che ciò di cui davvero c’è bisogno è Lui, una concreta comunione di vita con Lui, una crescente, reale, non immaginaria conformazione a Lui… 

«…Se aveste fede pari a un granello di senape”….

Anche alla luce di Maria, Virgo fidelis, “beata perché ha creduto”, come proclama Elisabetta, dobbiamo interrogarci sulla nostra fede e chiederci se nasce dall’ascolto della Parola di Dio e se si esprime in quell’amore che non è una sentimentale emozione che si accende di tanto in tanto, ma la fedeltà a Dio nel vivere la concreta nostra esistenza.

Vescovi, preti e laici siamo interpellati a considerare lo stato di salute della nostra fede, non in astratto, ma dentro alla vita ed alle circostanze di ogni giorno, nella vita personale e in quella delle nostre comunità, nella stessa comunità diocesana. Esistono, come sempre, opinioni diverse, punti di vista diversi, ma l’amore e il rispetto reciproco, l’umiltà, lo stile del Vangelo devono guidarci. Non possiamo parlare (tanto meno sparlare) gli uni degli altri partendo da miti o slogan. Cristo è o no presente tra noi? «Concordia quae est caritatis effectus, la concordia che è effetto della carità – insegna il grande Tommaso – non est unio opinionum sed voluntatum non è l’unità sulle cose opinabili, ma sull’essenziale che tutti dobbiamo volere».

Comunione, partecipazione, missione sono da riscoprire nella loro vera dimensione per viverle con uno scatto di vita che lo Spirito Santo imprime in chi glielo chiede. E lo imprime non in vitro, ma nella concreta realtà del vivere e dell’operare nelle nostre comunità locali e nella comunità diocesana… A proposito di essa, non ho mai dimenticato quanto disse un vescovo italiano a chi gli chiedeva se era contento di essere in quella diocesi. Disse: per me è la più bella diocesi, perché non l’ho scelta io ma vi sono stato mandato e vi starò fino a quando chi mi ha mandato mi dirà di partire!

Proviamo a pensare in questi termini, Amici, anche in riferimento alle nostre comunità, ai nostri impegni, al servizio che a ciascuno è chiesto.

Buon cammino!

Maria, Madre della Chiesa, Aiuto dei cristiani, Virgo fidelis, ci accompagna e prega per noi.

Sia lodato Gesù Cristo!