Omelia nella solennità dell’Epifania Ivrea, Cattedrale, 6 Gennaio 2024

06-01-2024

Carissimi Fratelli e Sorelle, Sia lodato Gesù Cristo!

  1. Davanti ai nostri occhi e nel nostro cuore abbiamo ancora i passi dei pastori di Betlemme verso la grotta, la semplicità dei loro doni, le loro vite rallegrate dal Bambino che l’angelo aveva loro annunciato; e già altri passi siamo chiamati a contemplare: quelli dei Magi che giungono a Betlemme da Oriente: probabilmente sacerdoti di Zoroastro, cercatori di infinito che scrutano il cielo per scoprire il segreto dell’universo. “Abbiamo visto la sua stella – dicono – e siamo venuti per adorarlo”; e a quel Bimbo nato nella povertà di una stalla, ma che al loro arrivo già è in una casa, recano oro, incenso e mirra, doni preziosi, prodotti delle loro terre, simbolicamente molto eloquenti anche per noi: oro-regalità, incenso-divinità, mirra-umanità.

Era questo che i Magi intendevano esprimere con questi doni? Non sappiamo, ma possiamo pensare che, inginocchiandosi davanti al Bambino abbiano scoperto essi stessi, per grazia di Dio, il valore simbolico di quei doni… “Si prostrarono e lo adorarono” dice il Vangelo: nella loro cultura questo gesto era il tradizionale omaggio di un suddito di fronte ad un sovrano… Ma anche a questo riguardo possiamo chiederci: che cos’è accaduto, per grazia di Dio, nel cuore di questi uomini inginocchiati davanti a Gesù? Dio opera nel profondo di chi risponde alla Sua chiamata e si mette in cammino… È l’esperienza dei pastori, rappresentanti del popolo d’Israele, chiamati all’incontro da 1 improvviso chiarore nel cielo notturno e dalla voce di un angelo; ed è quella dei Magi, rappresentanti del mondo pagano, chiamati attraverso una stella apparsa nel cielo, un fenomeno naturale a cui guardavano con interesse perché, nella loro cultura, indicava una nascita eccezionale…

Diversi sono i segni, ma l’invito è lo stesso: mettersi in cammino: non di propria iniziativa ma in risposta ad un invito. A quell’invito i pastori e i Magi, così diversi tra loro, hanno prestato ascolto, sono andati a vedere, hanno cercato e trovato e sono rientrati nella loro β di ogni giorno trasformàti: pieni di gioia e lodando Dio i pastori; con una gioia grandissima –“gaudium magnum valde” – i Magi, i quali, poi, “per altra strada” ritornano alla loro terra: un cambiamento – diceva san Giovanni Paolo II – che non è solo cambio di direzione stradale, ma cambiamento di prospettiva alla luce di Colui che avevano trovato.

  1. Commentando il Vangelo dell’Epifania, Papa Benedetto XVI diceva: I Magi “sono l’inizio di una grande processione che pervade la storia. Erano uomini dal cuore inquieto, spinti dalla ricerca inquieta di Dio e della salvezza; uomini in attesa…”.

Per questo parlano all’uomo in tutti i tempi: anche a noi immersi n mentalità oggi dominante, nel “pensiero unico” che esalta una distruttiva autosufficienza: la convinzione di bastare a se stessi, di imporre il proprio “io” come un assoluto (sciolto da ogni vincolo); e come unico riferimento nelle scelte le proprie valutazioni soggettive e i propri piaceri, affermati come diritti…

Non mancano neppure oggi i segni, spesso dolorosi… Li vediamo, ma ascoltiamo l’invito ad accogliere la chiamata? Lo ascolta chi è lontano dalla Chiesa? E lo ascoltiamo noi che, nella Chiesa ancora ci siamo, ma bisognosi, per vivere davvero la nostra fede, di una rinnovata adesione al Signore Gesù?

  1. In riferimento ai Magi e al cammino che li ha portati a cercare ciò che il cuore umano davvero ricerca, quest’anno – nel discorso del Vescovo alla Città in occasione dell’offerta votiva del Cero alla Cattedrale – ho ricordato un grande scienziato e filosofo europeo di cui è in corso il IV centenario della nascita: Blaise Pascal, vissuto in un secolo di luci e di ombre, segnato culturalmente da una inquietudine che per tanti aspetti richiama quella dei nostri tempi e di tutte le epoche che non sono solo di cambiamenti, ma cambiamento di epoca. Quel sec – il ‘600 – vedeva nascere e svilupparsi in Europa il razionalismo che proclama il valore della ragione, ma assolutizzandola, con il risultato di chiuderla in se stessa, mentre “l’ultimo passo della ragione (dirà Pascal) sta nel riconoscere che vi è una infinità di cose che la sorpassano”, percepite, sia pur confusamente, dal cuore umano.

Pascal accolse l’invito di alcuni amici a cercare nella pratica della fede la risposta alla sua inquietudine.  Fu 1 cammino sofferto e non breve… Durò otto anni, ma lo condusse a quella che Pascal chiamò «notte di fuoco», e di cui lasciò testimonianza in una pergamena scritta di sua mano e che portava sempre con sé, cucita nella fodera della giacca:

ANNO DI GRAZIA 1654. Lunedì, 23 novembre. Dalle 1° e mezza di sera, fino a mezzanotte e mezza circa. FUOCO. Dio d’Abramo, Dio d’Isacco, Dio di Giacobbe. Non dei filosofi e dei dotti. Certezza. Certezza. Sentimento. Gioia. Pace. Dio di Gesù Cristo. Grandezza dell’anima umana. Gioia, gioia, gioia, lacrime di gioia. Gesù Cristo, Gesù Cristo. Non lo si conserva se non per le vie insegnate dal Vangelo. Eternamente in gioia per un giorno di prova sulla terra. Amen».

In quella notte Pascal fece esp.za dell’incontro con Dio non come 1 astratto principio filosofico, ma Dio-Persona: il Dio di, il Dio con, che risponde all’uomo che mendica il senso dell’esistenza.

Di fronte all’umanesimo piatto di chi vive nella distrazione, l’unica posizione ragionevole – dice Pascal – è cercare, lottare… Cercare Dio non è un’opzione sentimentale, irrazionale; irragionevole è vivere “come se” il problema non si ponesse…

Cari Amici,

buon cammino!  Sia lodato Gesù Cristo!