Omelia nella Messa di ringraziamento per il IV centenario della Canonizzazione dei Ss. Filippo Neri, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Teresa d’Avila, Isidoro agricoltore. Roma, S. Maria in Vallicella, domenica 13 marzo 2022

13-03-2022

Carissimi Padri dell’Oratorio, miei fratelli sulla via tracciata da P. Filippo,

Carissimi Fratelli e Sorelle tutti,

sia lodato Gesù Cristo!

La Pasqua nel 1622 cadde il 27 marzo; il 12 dunque era il sabato della IV settimana di Quaresima, che si apre con la Dominica Laetare”, in cui la S. Messa inizia con l’antifona: “Laetare Jesrusalem…  Gaudete cum laetitia qui in tristitia fuistis…”: Rallegrati Gerusalemme… Siate nella gioia voi che eravate nella tristezza, esultate e saziatevi al seno della vostra consolazione…

Il beato Filippo e i beati Ignazio, Francesco, Teresa e Isidoro furono iscritti solennemente nell’Albo dei Santi mentre la Chiesa stava, dunque, percorrendo il cammino che “ascendit ad Pascha” – dicono gli antichi Padri. La Quaresima è iniziativa di Dio, tempo in cui il Signore ci chiama alla conversione anche attraverso le opere della penitenza, ma è un tempo lieto: ha la freschezza della primavera e Papa Benedetto, in una sua omelia, la chiama:  “la “festa dei 40 giorni”; “reflorent omnia – tutto rifiorisce”, canta la Chiesa in un suo inno e il Signore stesso dice al suo popolo: “Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno di salvezza”. L’amore del Signore sostiene con una grazia speciale la nostra volontà sempre vacillante e la guida a ri-centrare la nostra vita in un rinnovato rapporto con Lui. 

La nostra gioia, che nasce dalla certezza che Dio è con noi per darci la possibilità di un sempre nuovo inizio, oggi è accresciuta dal ricordo di un avvenimento – la canonizzazione di P. Filippo – lontano nel tempo, ma che è parte della storia di ognuno di noi che siamo qui, questa sera, sacerdoti e laici dell’Oratorio, venuti da lontano o viventi qui dove egli è vissuto. Nelle Letture che abbiamo ascoltato risuona oggi ciò che Dio dice ad Abramo: “Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle…”; risuona quel che ha detto l’Apostolo Paolo: “La nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo. Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi nel Signore”; e la voce del Padre che Pietro ascoltò, dopo aver visto sul monte la gloria di Gesù: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”. Alzare gli occhi e il cuore come uomini e donne che possono dire, anche nella loro fragilità, anche nei momenti bui della vita e della storia: “So a chi ho creduto”! Cristo è qui con noi! La Sua presenza è l’avvenimento che cambia la vita poiché le dà un orizzonte infinito e colma di senso tutto quello che si vive. Gli apparteniamo, siamo parte di Lui; nel Battesimo è iniziata questa splendida avventura, e noi possiamo dire: “Vivo io, non più io. Cristo vive in me. E questa vita che io vivo nella carne la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato – e mi ama – e ha dato – e dà – se stesso per me”. “Se io non fossi tuo, o Cristo mio – diceva un antico Padre – io sarei una creatura perduta”! 

Alzando il nostro sguardo, noi vediamo, a far corona a Cristo, i nostri santi che hanno conosciuto i pericoli e le fatiche del cammino, hanno sperimentato la croce della conversione e la bellezza delal risurrezione; e sono diventati uomini e donne veri aderendo a Dio e quindi all’ideale per cui il cuore umano è stato creato.

Vediamo il loro volto trasfigurato ed ascoltiamo qualche loro parola:

  •  “Bisogna buttarsi in tutto e per tutto nelle mani del Signore. Se Dio vorrà, vi farà lui buoni in quello che vi vorrà adoperare… Chi vuol altro che Cristo non sa quel che vuole, e chi chiede altro che Cristo non sa quel che domanda ci dice il nostro Padre Filippo, che, quando giunse a Roma, non ancora ventenne fu “come se una luce – è stato scritto – venisse accesa nel buio della miseria che annidava tra le antiche glorie dell’Urbe”… Simpatico e lieto, di giorno portava, ben prima di essere prete, il calore di Dio a chi incontrava  e  di notte, sul sagrato di una chiesa o nelle catacombe, si immergeva in un dialogo intimo con Dio, tanto da ricevere il dono di una speciale effusione di Spirito Santo che gli dilatò anche fisicamente il cuore. I Papi lo proclamarono “Apostolo di Roma”: l’unico, nella numerosa schiera di santi che dei santi che vissero e lavorarono nel centro della Cattolicità, a condividere con Pietro e Paolo questo titolo, consapevole com’era che “Chi fa bene a Roma fa bene al mondo intero”. 
  •  “Prega come se tutto dipendesse da Dio e lavora come se tutto dipendesse da te” ascoltiamo da Ignazio. Era stato battezzato con il nome di Iñigo, e si addiceva perfettamente al temperamento di fuoco che aveva ricevuto; volle chiamarsi Ignazio quando, con la conversione, mise quel fuoco al servizio del Regno di Dio, passando dalla vita di cavaliere spavaldo e combattente a riconoscere  che Gesù è l’unico vero Signore al quale poteva dedicare la fedeltà di cavaliere.
  •  “Poco mi curo di ciò che si dica o si sappia di me. Ciò che mi interessa è ogni più piccolo progresso che l’anima possa fare”. E dunque: Nada te turbe, nada te espante. Quien a Dios tiene nada le falta… Solo Dios basta!” diceva S. Teresa d’Avila. Non lo pensò fin dall’inizio; vi giunse attraverso un faticoso cammino… Nella Basilica Vaticana, sotto la statua di questa donna forte, si legge: “Mater spiritualium”, dove “spirituali” non indica solo alcune anime elevate a particolari doni mistici, ma tutti coloro che si impegnano a vivere la vita cristiana, che è vita “nello Spirito Santo”. 
  • Teresa comprese che alle terribili lacerazioni della Chiesa del suo tempo, martoriata da corruzioni, infedeltà e scismi, non si poteva rispondere se non rinnovando la propria fedeltà a Dio, con una vita che si lascia cambiare dall’amore a Cristo e alla Chiesa. 

 “Sì, mio Redentore, prima di ogni altra cosa e sopra tutte le cose, si compiano i Vostri perfettissimi disegni e solo così, Vi sarà data la maggior gloria!” diceva S. Francesco Saverio. E lo disse dopo aver peregrinato per terre, mari e isole dell’Oriente per annunciare Cristo ai pagani, e si sentì dire dal Signore, quando ormai si trovava alle porte della Cina: “Francesco, figlio mio, cessa la tua lotta e vieni da Me!”: da Francesco Dio non voleva la Cina: voleva Francesco. 

  •  Di Isidoro non abbiamo parole da riportare; se dovessi mettergliene una sulle labbra, sceglierei questa, di Francesco Saverio: “Signore, io ti amo non perché puoi darmi il Paradiso o condannarmi all’Inferno, ma perché sei il mio Dio. Ti amo perché Tu sei Tu”.

 La sua vita, così diversa da quella di tre preti santi saliti con lui alla gloria nella Basilica Vaticana, e da quella di una santa monaca, era santa come la loro. Non aveva fondato né riformato ordini, non aveva costruito monasteri, né aveva lasciato grandi opere dottrinali o mistiche: aveva amato una donna, la sua sposa (Maria Toribia, beatificata anch’ella alla fine del ‘600), allevato un figlio e coltivato la terra, pregando e condividendo i suoi averi con i più poveri. Gregorio XV lo innalzò nella gloria dei santi insieme a quei quattro grandi della Riforma Cattolica. Mi ricorda la scelta fatta da S. Giovanni Paolo II quando, elevandoli alla gloria degli altari, pose insieme Josemaría Escrivá de Balaguer e la piccola Bakhita. 

Che spettacolo, Amici, la santità! “Le virtù che ammiriamo nei santi – diceva Papa Benedetto – non sono una sorta di risultato olimpico, ma l’opera di Dio che diventa visibile in una persona e attraverso di essa”. 

La santità – ripeteva un oratoriano, il ven. Raimondo Calcagno – è l’unica cosa che ci rende davvero interessanti al mondo”.

Buon cammino, Fratelli e Sorelle. Sia lodato Gesù Cristo!