Meditazione ai Consacrati – Giornata della Vita Consacrata – S. Benigno Canavese, 2 febbraio 2019

04-02-2019

1. Grazie per la vostra presenza, carissimi Religiosi e Religiose. Siamo qui in rappresentanza delle nostre Famiglie religiose. Vorrei suggerirvi – se siete d’accordo – di dire forte, uno per Famiglia, il nome del suo Fondatore. Noi ci siamo perché ci furono loro… E ci sono, perché sono Padri, Madri… Dicendo il loro nome, noi – tutti insieme – li invochiamo, chiediamo che preghino per noi, che tengano vivo in noi il carisma che lo Spirito Santo ha dato loro al servizio della Chiesa. Incomincio io, con il Fondatore della mia Congregazione: san Filippo Neri! Grazie, carissimo Abate don Gaetano, nuovo Vicario Episcopale per la Vita Consacrata, succeduto a don Roberto ora Ecc.mo Vescovo di Biella. Affidando a Maria il vostro ministero.

Non so se nel recente passato questa Giornata già si era celebrata in una Parrocchia (come qui a S. Benigno facciamo quest’anno; e altrove nei prossimi): è una scelta che permette di celebrarla non, per così dire, “in privato” ma nella vita concreta delle nostre comunità parrocchiali alle quali – da quando sono qui (ed è iniziato ormai il 7° anno) – ho rivolto insistentemente l’invito a maturare la convinzione che la collaborazione, la condivisione, non solo all’interno di ognuna, ma anche tra esse, è necessaria, anzi diventa indispensabile: e non, innazitutto, per la scarsità numerica dei Sacerdoti, ma perché, come discepoli del Signore, siamo chiamati a testimoniare che le legittime diversità (ce ne sono anche di non legittime…) di sensibilità, di scelte, di impostazioni, non devono diventare ostacolo alla comunione… E perché questo si realizzi è fondamentale conoscersi, collaborare, condividere il cammino, crescere nella convinzione che san Paolo presentava alla comunità cristiana di Efeso, e che vale non solo per la vita di ogni singola comunità nel suo interno, ma anche nel rapporto fra di esse:

«Vi esorto a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio, Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef. 4, 1-6).

E poiché i consacrati hanno nella Chiesa la missione di testimoniare il primato di Dio nella nostra vita. la comunione fraterna nella diversità delle persone che vivono in una comunità, l’impegno d conversione incessante per essere la «creatura nuova» che siamo diventati e che cresce attraverso il seguire fedelmente ilSignore, ecco il compito principale che vi spètta nella comunità parrocchiale ove risiedete e nella comunità diocesana: testimoniare che è faticoso, ma possibile!

2. Come riflessione sulle caratteristiche della Vita Consacrata [V.C.] vorrei ora proporvi quella del Santo Padre al Convegno sulla VC promosso da CIVCSVA il 4 maggio scorso: «Quali son le cose che lo Spirito Santo vuol si mantengano forti nella V.C.? Tre “p”, colonne permanenti nella V.C.: preghiera, povertà. pazienza.

* La preghiera è tornare sempre alla prima chiamata. Qualsiasi preghiera, fosse anche una preghiera nel bisogno, sempre è ritornare a quella Persona che mi ha chiamato. Tornare da Lui che mi ha chiamato a esserGli vicino, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: “Vieni. Lascia tutto e vieni”. Ogni preghiera è tornare a questo. E la prex è ciò che fa sì che io lavori per quel Signore, non per i miei interessi o per l’istituzione nella quale lavoro: no, per il Signore! C’è una parola che si usa tanto e ha perso un po’ di forza, ma indica bene questo: radicalità: lascio tutto per Te. E’ il sorriso dei primi passi… Poi sono arrivati dei problemi, tanti problemi, ma sempre si tratta di tornare all’incontro con il Signore. La preghiera, nellaV.C., è l’aria che ci fa respirare e rinnovare [il sì a] quella chiamata. Senza quest’aria non potremmo essere buoni consacrati. Saremmo forse buone persone che lavorano in tante opere della Chiesa, ma la consacrazione tu devi rinnovarla continuamente lì, nella preghiera, in un incontro con il Signore. “Ma sono indaffarato/a, ho tante cose da fare…”. Più importante è questo: Vai a pregare. Pensiamo a una consacrata dei nostri giorni: Madre Teresa… Quanto lavoro… ma le due ore di preghiera davanti al SS.mo, ogni giorno, nessuno gliele toglieva. Fai come faceva lei. Cerca il tuo Signore, Colui che ti ha chiamato. Non si può vivere la V.C., non si può discernere ciò che sta accadendo senza la preghiera, il parlare con il Signore. La Chiesa ha bisogno di uomini e di donne che preghino, tanto più in questo nostro tempo difficile.

* La povertà. Nelle Costituzioni, sant’Ignazio per noi Gesuiti scrive: “La povertà è la madre, il muro di contenimento della V.C.”. Madre: senza povertà non c’è fecondità nella V.C. Muro: ti difende dallo spirito della mondanità. Le piccole tentazioni contro la povertà ferscono l’appartenenza al corpo della V.C. Povertà secondo le regole, le costituzioni di ogni Congregazione, ma spirito di povertà sempre. E questo non si può negoziare. Senza povertà non potremo mai discernere bene cosa sta accadendo nel mondo. Ci sono tre scalini per passare dalla consacrazione religiosa alla mondanità religiosa: la mancanza di povertà; la vanità, anche le piccole vanità; la superbia, l’orgoglio. E di lì, tutti i vizi. Guardate nei cassetti delle vostre anime!

* La pazienza. E’ importante. Guardando Gesù, vediamo che la pazienza è quello che gli ha permesso di arrivare fino alla fine.“Entrare in pazienza” è l’atteggiamento di ogni consacrazione, che va dalle piccole cose della vita comunitaria, dalle piccole tolleranze, dai piccoli gesti di sorriso quando ho voglia di dire delle parolacce…, fino al sacrificio di se stessi. Pazienza è “portare sulle spalle” (hypomoné). Senza pazienza, cioè senza capacità di patire, di entrar in paien.za, laV.C. non può sostenersi. Senza pazienza si capiscono le guerre interne di una comunità, di una congregazione… Non hanno avuto la pazienza di sopportarsi l’un l’altro, e vince la parte più forte, non sempre la migliore; e anche quella che è vinta non è la migliore se è impaziente. Ma non solo pazienza nella vita comunitaria: anche davanti alle sofferenze del mondo. Portare sulle spalle i problemi, le sofferenze del mondo. “Entrare in pazienza” non solo per evitare queste liti interne che sono uno scandalo, ma per essere consacrato …E anche pazienza dav anti ai problemi comuni: pensiamo alla scarsità di vocazioni. “Non abbiamo vocazioni” è la lamentela di ogni giorno… e vado avanti sopravvivendo, chiudo il cuore e sopravvivo. La scarsità delle vocazioni amareggia l’anima. “Non ho discendenza”, era il lamento del nostro padre Abramo: “Signore, le mie ricchezze saranno ereditate da uno straniero”…». Fin qui il Santo Padre.

3. Mi permetto ora di proporre una mia riflessione; meglio: qualche spunto di riflessione. La mancanza di vocazioni è legata certamente alla secolarizzazione che segna il nostro tempo, al cambiamento profondo di prospettiva, alla fragilità dei giovani che sono frutto e risultato – non dimentichiamolo! – di questa società secolarizzata, malata, spesso irrazionale… Ma è solo questa la causa? Non dobbiamo guardare anche in altra direzione, in ciò che molte volte noi siamo di fatto? Alle comunità parrocchiali spesso dico: le vocazioni nascono dentro a comunità di forte e robusta fede… La nostra comunità è così? E se non è così, facciamo un serio esame di coscienza, una onesta verifica: Come siamo noi?

Per quanto riguarda noi Religiosi: la nostra preghiera è tornare sempre alla prima chiamata, che è irrevocabile? La nostra fede, la nostra speranza, la nostra carità di che qualità sono?… Ci siamo un po’ troppo mondanizzati?… Anche se lo fossimo solo un poco, è già troppo. Il mondo è pazzo, ma non fino al punto di non capire che, se noi siamo mondanizzati, non vale la pena di seguirci, neppure per fare delle cose buone; basta stare dove si è. In più: ci sono -ci sono ancora- dei giovani che davvero cercano il Vangelo, nella sua radicalità. Noi diciamo: esagerano; sono giovani… E che, Gesù Cristo era vecchio? Ciò che propone nel Vangelo era roba da pensionati della fede o da saldi di stagione? Al di là delle buone intenzioni, siamo sicuri che certe nostre “aperture” siano davvero evangeliche? I giovani credenti hanno un fiuto particolare, il fiuto della giovinezza credente, e spesso ci dicono: siete vecchi… Ho assistito in Francia ad un incontro del Clero di una diocesi: vecchi preti in stragrande maggioranza, che parlavano con gli slogan di 50 anni fa… Non con il Concilio, con i testi conciliari (li leggessimo davvero, li meditassimo i testi conciliari! Almeno le quattro Costituzioni: Liturgia, Chiesa, Parola di Dio, Chiesa nel modo contemporaneo), ma con le idee sul Concilio venute dal mondo… Uno dei pochissimi preti giovani -pochissimi!- ha detto: Siete vecchi! E loro e si credevano giovani e affascinanti… Permettetemi di citare due testi:

Ger,18,1-6. «La parola che fu rivolta a Geremia da parte del Signore: “Scendi ora stesso alla bottega del vasaio; là ti farò udire le mie parole”. Il vasaio stava lavorando al tornio. E quando il vaso che stava modellando gli usciva male. Come capita con la creta in mano al vasaio, egli rifaceva con essa un altro vaso, come pareva giusto ai suoi occhi. Allora la parola del Signore mi giunse in questi termini: “Forse non potrei agire con voi, casa di Israele, come questo vasaio? – oracolo del Signore – Ecco, come l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani o casa di Israele». L’altro (di un autore contemporaneo) può essere utile a ripensare alla nostra V.C., alla fedeltà indispensabile nei suoi necessari cambiamenti nelle diverse epoche: «Alle rive dell’altro mare, un vasaio si ritira per la vecchiaia. Gli si annebbiano gli occhi, le mani gli tremano, è arrivata l’ora dell’addio. Allora celebra la cerimonia dell’iniziazione. Il vasaio vecchio offre al vasaio giovane la sua migliore opera. Così si tramanda la tradizione, tra gli indiani del Nordovest d’America. Il vasaio giovane non guarda questo vaso perfetto per contemplarlo ed ammirarlo, ma lo getta al suolo, lo rompe in mille pezzi, raccoglie i pezzetti e li incorpora alla sua creta».

Si tratta di non rinunciare a ciò che non è negoziabile e allo stesso tempo di rispondere con creatività alla realtà nuova. Ciò che non è negoziabile sono fondamentalmente i valori del Vangelo che hanno dato origine ai carismi delle nostre Famiglie. La creatività che si chiede a noi è una creatività evangelica, fedele alla Chiesa e a quanto autorevolmente essa ci insegna, non ai nostri gusti e alle nostre idee… Solo in questo caso, la nostra “debolezza” è quella di cui parla san Paolo (2Cor 12,10): quella in cui si fa presente la forza di Dio! Al termine del suo discorso a braccio, il Santo Padre disse: Adesso preghiamo la Madonna. Lo facciamo anche noi.

“Ave o Maria…”.