Filippo Neri con gli occhi di Rosmini

26-05-2016

Si chiude, il prossimo 26 maggio, con la solenne celebrazione presieduta dal cardinale Pietro Parolin Segretario di Stato, nella chiesa romana di S. Maria in Vallicella, il quinto centenario della nascita dell’Apostolo di Roma, il fiorentino Filippo Neri, diventato romano conservando le caratteristiche della sua fiorentinità, come scrisse Giovanni Papini.

Lo ricordiamo in questa lieta circostanza, con lo sguardo di stima e di affettuosa venerazione che ebbe verso di lui il beato Antonio Rosmini.

«O amabil Filippo, se a te mi rivolgo, sì basso e da nulla come io sono, in te ritrovo nulla di meno che me stesso» scrisse il beato Antonio Rosmini in Lo spirito di S. Filippo Neri, un’opera giovanile (1818) che l’autore continuò però a rimaneggiare fino alla edizione definitiva del 1843. «Tra il Neri e il Rosmini – afferma Fulvio De Giorgi nell’ampio commento al testo – esiste uno stretto legame. Il filosofo roveretano ebbe, infatti, una grande devozione per S. Filippo e la sua vita spirituale fu intimamente permeata dallo spirito filippino. Si può anzi affermare che proprio in questo incontro tra il Rosmini e il Neri si decanti e si definisca il fondamento spirituale profondo dell’indirizzo pedagogico rosminiano e della proposta educativa che ad esso si collega. Rosmini assumeva la lezione oratoriana: l’esperienza rosminiana maturava all’interno dell’esperienza filippina. Lo “spirito” di Rosmini si modellava sullo spirito di S. Filippo Neri. E non faceva un’opera di archeologia filippina, non si limitava ad una antiquaria spirituale o ad una ripetitiva e piatta ripresa di luoghi tradizionali. Era attento al clima culturale del suo tempo, ai suoi grandi indirizzi di fondo, alla ricerca intellettuale più aggiornata ed era, al contempo, sensibile a quelli che gli apparivano come i nuovi ed autentici bisogni spirituali. La rinascita filippina che egli promuoveva si iscriveva dunque in un disegno consapevolmente perseguito e si fondava sulla convinzione che la spiritualità filippina fosse la base più idonea, più adeguata ai tempi, per una rinnovata azione educativa, catechetica e pastorale».

Sulla scia della Vita di san Filippo del Bacci, l’opera mette in evidenza le fondamentali caratteristiche del Neri: l’ascetica personale e lo spirito di orazione, l’atteggiamento contemplativo e l’attivo esercizio della carità, l’umiltà ed il sapiente distacco dai beni materiali, con una speciale sottolineatura: la dolcezza che dal cuore infiammato di Filippo si espandeva, la “spiritualità della dolcezza”, rilevata dal letterato oratoriano Antonio Cesari, amico del Rosmini. «Filippo – scrive il giovane Rosmini – ama l’età nostra, la giovialità ed il sollazzo, ama le amicizie, le strette unioni degli animi, ci santifica queste nostre amicizie, ce le rende costanti e perfette»:  per «una religione  che tiri dietro a sé gli uomini», che sia «di viso leggiadro ed amabile alla natura umana».

Anche il rosminiano Della educazione cristiana – che riecheggia fin nel titolo l’opera di Silvio Antoniano, figlio spirituale di Filippo – è intrisa di spirito filippino. «L’esperienza oratoriana – scrive il De Giorgi – veniva ad informare i principi pedagogici di fondo, quale che fosse poi il metodo che si intendeva adottare. Questa struttura pedagogica che innervava ogni azione educativa può essere sintetizzata in tre principi fondamentali: l’educatore deve aprire il suo cuore alla legge divina; deve parlare al cuore dei suoi discepoli; deve calare il suo insegnamento nelle situazioni concrete e specifiche dei discepoli quasi ponendo il suo cuore nel loro»: «il fine di tutta l’educazione è la formazione del cuore umano» dirà Rosmini anche nel suo Saggio sull’unità dell’Educazione.

In vari altri scritti – lettere ad amici e a discepoli nell’Istituto della Carità – abbondano i riferimenti ai principi pedagogici che hanno in Filippo Neri una forte sottolineatura. Particolarmente insistito, ad esempio, quello della fuga dalla malinconia, che è la condizione per impostare una sana vita spirituale: «Sopra ogni cosa vi prego di non lasciarvi cogliere dalla malinconia, nemica al corpo ed allo spirito; ma di studiarvi di procurarvi quella ilarità d’animo tanto raccomandata da S. Filippo di cui anche lì troverete la scuola nei Filippini», scriveva a Giulio Franchi; «La prego caldamente – scriveva ad un sacerdote – di farsi coraggio e di non lasciarsi pigliare dalla malinconia. Ella conosce bene che cosa diceva il buon San Filippo: “Scrupoli e malinconia non voglio in casa mia”»: una massima filippina considerata dal Rosmini una giaculatoria di cui consigliava la recita.

In tutti i membri dell’Istituto della Carità voleva «un cuor gioviale e dolcissimo» e in alcuni Avvisi spirituali scriveva: «Studiate l’ilarità e la piacevolezza di S. Filippo Neri, procurando d’imitarla col trattare famigliarmente e alla buona, evitando la troppa serietà e il fare solenne e maestoso. Con questo studio della carissima virtù della mansuetudine acquisterete tutte le altre: l’ubbidienza, l’umiltà, la rassegnazione e la pazienza, come pure quella che S. Filippo Neri chiamava la mortificazione razionale».

Nel 1839 al promotore di un nuovo Istituto religioso scriveva: «Si dia uno sguardo alla Congregazione dell’Oratorio fondata dall’amabilissimo nostro S. Filippo».

 

Edoardo Aldo Cerrato, C.O.

Vescovo di Ivrea