Messaggio alla Diocesi per la S. Quaresima 2019

Carissimi Fratelli e Sorelle,

i passi del cammino quaresimale, che inizia con l’imposizione delle Ceneri sul nostro capo e il forte l’invito: «Convertiti e credi al vangelo», «Ricordati, uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai», sono la nostra risposta alla iniziativa di Dio, all’amore con cui Egli ci viene incontro in questo «tempo favorevole» dicendoci: «Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà» (Ger 31,3).

I passi sono quelli di sempre: preghiera, digiuno ed elemosina di cui il Signore parla nel Vangelo del primo giorno di Quaresima. La novità – di anno in anno – è costituita dal crescere del nostro impegno nel prendere sul serio quanto il Signore ci dice: «Quando pregate, non siate simili agli ipocriti», «Quando digiuni profumati la testa e lavati il volto», «Quando fai l’elemosina non suonare la tromba». Più che i gesti materialmente compiuti, infatti, ciò che imprime alla nostra vita un “nuovo inizio” è il nostro coinvolgimento profondo, sorretto e guidato dalla Grazia di Dio.

A far luce su questi passi del cammino quaresimale, nei quali è coinvolto il nostro rapporto con Dio, con noi stessi, con il prossimo, penso sia di fondamentale importanza anche una rinnovata consapevolezza di quanto viviamo nella celebrazione dell’Eucaristia. Il rinnovamento della Chiesa

e, nella Chiesa, di ogni fedele, prende avvio, infatti, dalla consapevole partecipazione alla Celebrazione eucaristica, fonte permanente della vita e della missione: «Non è possibile – insegna il Concilio Vaticano II – che si formi una comunità cristiana se non avendo come radice e come cardine la celebrazione dell’Eucaristia, dalla quale deve quindi prendere le mosse qualsiasi educazione tendente a formare lo spirito di comunità» (P. O., 6).

Nella Lettera Pastorale per l’anno in corso ho invitato singoli e comunità a riflettere sulla celebrazione della S. Messa a partire dalle 15 catechesi che il Santo Padre Francesco, l’anno scorso, ha dedicato al tema augurandosi che esse «possano far crescere nei fedeli la consapevolezza del grande dono e mistero che è l’Eucarestia celebrata e conservata, e nello stesso tempo si lascino convocare frequentemente a vivere questo sacramento, cuore della Chiesa».

Personalmente, già ho cercato di offrire qualche spunto di riflessione nelle meditazioni della Novena di Natale, pubblicate sul sito della Diocesi. Ora invito tutti a proseguire il cammino, e propongo a tal fine il testo delle catechesi del Santo Padre, raccolte sinteticamente in 5 punti, nella speranza, comunque, che il testo integrale di esse sia fatto oggetto di lettura e di meditazione.

I primi due paragrafi mettono in luce il valore della domenica e che cos’è la Messa.

I. Perché andare a Messa la domenica

«La celebrazione domenicale dell’Eucaristia è al centro della vita della Chiesa. Noi cristiani andiamo a Messa la domenica per incontrare il Signore risorto, o meglio per lasciarci incontrare da Lui, ascoltare la sua parola, nutrirci alla sua mensa, e così diventare Chiesa, ossia suo mistico Corpo vivente nel mondo. Lo hanno compreso, fin dalla prima ora, i discepoli di Gesù, i quali hanno celebrato l’incontro eucaristico con il Signore nel giorno della settimana che gli ebrei chiamavano “il primo della settimana” e i romani “giorno del sole”, perché in quel giorno Gesù era risorto dai morti ed era apparso ai discepoli, parlando con loro, mangiando con loro, donando loro lo Spirito Santo. Anche la grande effusione dello Spirito a Pentecoste avvenne di domenica, il 50° giorno dopo la risurrezione di Gesù. Per queste ragioni, la domenica è un giorno santo per noi, santificato dalla celebrazione eucaristica, presenza viva del Signore tra noi e per noi. È la Messa, dunque, che fa la domenica cristiana. Che domenica è, per un cristiano, quella in cui manca l’incontro con il Signore?

La comunione eucaristica con Gesù, risorto e vivente in eterno, anticipa la domenica senza tramonto, quando non ci sarà più fatica né dolore né lutto né lacrime, ma solo la gioia di vivere pienamente e per sempre con il Signore. Anche di questo beato riposo ci parla la Messa della domenica, insegnandoci, nel fluire della settimana, ad affidarci alle mani del Padre che è nei cieli. Noi cristiani abbiamo bisogno di partecipare alla Messa domenicale perché solo con la grazia di Gesù, con la sua presenza viva in noi e tra di noi, possiamo mettere in pratica il suo comandamento ed essere così suoi testimoni credibili».

II. Che cos’è la Messa?

«E’ il memoriale del Mistero pasquale di Cristo. La Messa ci rende partecipi della sua vittoria sul peccato e la morte, e dà significato pieno alla nostra vita. Per questo, per comprendere il valore della Messa dobbiamo innanzitutto capire il significato biblico del memoriale. Esso non è soltanto il ricordo degli avvenimenti del passato, ma li rende in certo modo presenti e attuali. La Messa è il memoriale della Pasqua di Gesù. Non è soltanto un ricordo: no, è di più: è fare presente quello che è accaduto venti secoli fa. L’Eucaristia ci porta al vertice dell’azione di salvezza di Dio: il Signore Gesù, facendosi pane spezzato per noi, riversa su di noi tutta la sua misericordia e il suo amore, come ha fatto sulla croce, così da rinnovare il nostro cuore, la nostra esistenza. Partecipare alla Messa, in particolare alla domenica, significa entrare nella vittoria del Risorto, essere illuminati dalla sua luce, riscaldati dal suo calore. Attraverso la celebrazione eucaristica lo Spirito Santo ci rende partecipi della vita divina che è capace di trasfigurare tutto il nostro essere mortale. Nella Messa si fa Pasqua, stiamo con Gesù, morto e risorto. Nella Messa ci uniamo a Lui. Anzi, Cristo vive in noi e noi viviamo in Lui. Nell’Eucaristia Egli vuole comunicarci il suo amore pasquale, vittorioso. Se lo riceviamo con fede, anche noi possiamo amare veramente Dio e il prossimo, amare come Lui ha amato noi, dando la vita. Solo se sperimentiamo il potere del suo amore, siamo veramente liberi di donarci senza paura. Questo è la Messa: entrare in questa passione, morte, risurrezione, ascensione di Gesù; quando andiamo a Messa è come se andassimo al calvario. La partecipazione all’Eucaristia ci fa entrare nel mistero pasquale di Cristo, donandoci di passare con Lui dalla morte alla vita, cioè lì nel calvario».

III. La celebrazione eucaristica. I riti di introduzione

L’altare e il segno della croce

«La Messa è composta da due parti, che sono la Liturgia della Parola e la Liturgia eucaristica, così strettamente congiunte tra di loro da formare un unico atto di culto. Introdotta da alcuni riti preparatori e conclusa da altri, la celebrazione è dunque un unico corpo e non si può separare. È necessario conoscere questi santi segni per vivere pienamente la Messa e assaporarne tutta la bellezza.

Quando il popolo è radunato, la celebrazione si apre con i riti introduttivi, comprendenti l’ingresso del celebrante, il saluto, l’atto penitenziale, il Kyrie eleison, l’inno del Gloria e l’orazione colletta. Loro scopo è di far sì che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio e a celebrare degnamente l’Eucaristia.

Mentre si svolge il canto d’ingresso, il sacerdote raggiunge il presbiterio, e saluta l’altare con un inchino e, in segno di venerazione, lo bacia e, quando c’è l’incenso, lo incensa. Perché l’altare è Cristo: è figura di Cristo. Quando noi guardiamo l’altare, guardiamo proprio dov’è Cristo. Questi gesti, che rischiano di passare inosservati, sono molto significativi, perché esprimono fin dall’inizio che la Messa è un incontro di amore con Cristo. L’altare è il centro dell’azione di grazie che si compie con l’Eucaristia, e tutta la comunità sta attorno all’altare, non per guardarsi in faccia, ma per guardare Cristo, perché Cristo è al centro della comunità.

Il sacerdote che presiede traccia su di sé il segno della croce e lo stesso fanno tutti. Tutta la preghiera si muove, per così dire, nello spazio della SS. Trinità, spazio di comunione infinita. Il mistero pasquale è dono della Trinità, e l’Eucaristia scaturisce sempre dal Cuore trafitto di Cristo. Segnandoci con il segno della croce, non solo facciamo memoria del nostro Battesimo, ma affermiamo che la preghiera liturgica è l’incontro con Dio in Cristo Gesù, che per noi si è incarnato, è morto in croce ed è risorto glorioso».

Il saluto liturgico

«Il sacerdote rivolge il saluto liturgico con l’espressione: “Il Signore sia con voi” o un’altra simile; e l’assemblea risponde: “E con il tuo spirito”. Siamo in dialogo; siamo all’inizio della Messa e dobbiamo pensare al significato di tutti questi gesti e parole. Stiamo entrando in una “sinfonia”, nella quale risuonano varie tonalità di voci, compreso tempi di silenzio, in vista di creare l’“accordo” tra tutti i partecipanti, cioè di riconoscersi animati da un unico Spirito e per un medesimo fine. In effetti “il saluto sacerdotale e la risposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa radunata”. Si esprime così la comune fede e il desiderio vicendevole di stare con il Signore e di vivere l’unità con tutta la comunità».

L’atto penitenziale

«E’ una sinfonia orante quella che si sta creando e presenta subito un momento molto toccante: chi presiede invita tutti a riconoscere i propri peccati. Tutti siamo peccatori; e per questo all’inizio della Messa chiediamo perdono. E’ l’atto penitenziale. Non si tratta solamente di pensare ai peccati commessi, ma molto di più: è l’invito a confessarsi peccatori davanti a Dio e davanti alla comunità, davanti ai fratelli, con umiltà e sincerità, come il pubblicano al tempio. Se veramente l’Eucaristia rende presente il mistero pasquale, vale a dire il passaggio di Cristo dalla morte alla vita, allora la prima cosa che dobbiamo fare è riconoscere quali sono le nostre situazioni di morte per poter risorgere con Lui a vita nuova. Questo ci fa comprendere quanto sia importante l’atto penitenziale.

Nella sua sobrietà, l’atto penitenziale favorisce l’atteggiamento con cui disporsi a celebrare degnamente i santi misteri: riconoscere davanti a Dio e ai fratelli i nostri peccati, riconoscere che siamo peccatori. Che cosa può donare il Signore a chi ha già il cuore pieno di sé, del proprio successo? Nulla, perché il presuntuoso è incapace di ricevere perdono, sazio com’è della sua propria giustizia.

Pensiamo alla parabola del fariseo e del pubblicano… Ascoltare in silenzio la voce della coscienza permette di riconoscere che i nostri pensieri sono distanti dai pensieri di Dio, che le nostre parole e le nostre azioni sono spesso mondane, guidate cioè da scelte contrarie al Vangelo. Perciò, all’inizio della Messa, c’è una formula di confessione generale, pronunciata alla prima persona singolare. Ciascuno confessa a Dio e ai fratelli “di avere molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni”. Sì, anche in omissioni, ossia di aver tralasciato di fare il bene che avrei potuto fare. Il peccato taglia: taglia il rapporto con Dio e taglia il rapporto con i fratelli, il rapporto nella famiglia, nella società, nella comunità. Il peccato taglia sempre, separa, divide. Le parole che diciamo con la bocca sono accompagnate dal gesto di battersi il petto, riconoscendo che ho peccato proprio per colpa mia, e non di altri. Dopo la confessione del peccato, supplichiamo la Beata Vergine Maria, gli Angeli e i Santi di pregare il Signore per noi. Anche in questo è preziosa la comunione dei Santi: cioè, l’intercessione di qs amici e modelli di vita ci sostiene nel cammino verso la piena comunione con Dio».

Il Gloria e l’orazione colletta

«L’Atto penitenziale ci aiuta a spogliarci della nostra presunzione e a presentarci a Dio come siamo realmente, coscienti di essere peccatori, nella speranza di essere perdonati. Proprio dall’incontro tra la miseria umana e la misericordia divina prende vita la gratitudine espressa nel Gloria, un inno antichissimo e venerabile con il quale la Chiesa, radunata nello Spirito Santo, glorifica e supplica Dio Padre e l’Agnello. L’esordio dell’inno riprende il canto degli Angeli alla nascita di Gesù, gioioso annuncio dell’abbraccio tra cielo e terra, e coinvolge anche noi raccolti in preghiera: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”.

Dopo il Gloria, la preghiera prende forma particolare nell’orazione detta “colletta”, per mezzo della quale viene espresso il carattere proprio della celebrazione. Con l’invito “Preghiamo”, il sacerdote esorta il popolo a raccogliersi con lui in un momento di silenzio, al fine di prender coscienza che siamo alla presenza di Dio e di far emergere, ciascuno nel proprio cuore, le personali intenzioni con cui partecipa alla Messa. Un momento di silenzio, che non si riduce all’assenza di parole, bensì nel disporsi ad ascoltare altre voci. Forse veniamo da giorni di fatica, di gioia, di dolore, e vogliamo dirlo al Signore, invocare il suo aiuto, chiedere che ci stia vicino; abbiamo familiari e amici malati o che attraversano prove difficili; desideriamo affidare a Dio le sorti della Chiesa e del mondo. E a questo serve il breve silenzio prima che il sacerdote, raccogliendo le intenzioni di ognuno, esprima a voce alta a Dio, a nome di tutti, la comune preghiera che conclude i riti d’introduzione.

Il sacerdote la recita con le braccia allargate: è l’atteggiamento dell’orante, assunto dai cristiani fin dai primi secoli per imitare il Cristo con le braccia aperte sul legno della croce. E lì, Gesù Cristo è l’Orante ed è insieme la preghiera! Nel Crocifisso riconosciamo il Sacerdote che offre a Dio il culto a lui gradito, ossia l’obbedienza filiale».

IV. La Liturgia della Parola. Dio ci parla e noi rispondiamo

«E’ una parte costitutiva della Messa perché ci raduniamo per ascoltare quello che Dio ha fatto e intende ancora fare per noi. È un’esperienza che avviene “in diretta” perché “quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo” e Cristo, presente nella parola, annunzia il Vangelo. Dobbiamo ascoltare, aprire il cuore.

Le pagine della Bibbia cessano di essere uno scritto per diventare parola viva, pronunciata da Dio. È Dio che, tramite la persona che legge, ci parla e interpella noi che ascoltiamo con fede. Lo Spirito “che ha parlato per mezzo dei profeti” e ha ispirato gli autori sacri, fa sì che “la parola di Dio operi davvero nei cuori ciò che fa risuonare negli orecchi”. Ma per ascoltare la Parola di Dio bisogna avere anche il cuore aperto per ricevere le parole nel cuore. Dio parla e noi gli porgiamo ascolto, per poi mettere in pratica quanto abbiamo ascoltato.

È una mensa abbondante quella della liturgia, che attinge largamente ai tesori della Bibbia, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, perché in essi è annunciato dalla Chiesa l’unico e identico mistero di Cristo. Desidero qui ricordare anche l’importanza del Salmo responsoriale, la cui funzione è di favorire la meditazione di quanto ascoltato nella lettura che lo precede. È bene che il Salmo sia valorizzato con il canto, almeno nel ritornello.

La Parola di Dio fa un cammino dentro di noi. La ascoltiamo con le orecchie e passa al cuore; non rimane nelle orecchie, deve andare al cuore; e dal cuore passa alle mani, alle opere buone. Questo è il percorso che fa la Parola di Dio: dalle orecchie al cuore e alle mani. Impariamo queste cose.

Il dialogo tra Dio e il suo popolo, sviluppato nella Liturgia della Parola della Messa, raggiunge il culmine nella proclamazione del Vangelo. Lo precede il canto dell’Alleluia – oppure, in Quaresima, un’altra acclamazione – con cui “l’assemblea dei fedeli accoglie e saluta il Signore che sta per parlare nel Vangelo”. Come i misteri di Cristo illuminano l’intera rivelazione biblica, così, nella Liturgia della Parola, il Vangelo costituisce la luce per comprendere il senso dei testi biblici che lo precedono, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento. In effetti, “di tutta la Scrittura, come di tutta la celebrazione liturgica, Cristo è il centro e la pienezza”. Sempre al centro c’è Gesù Cristo, sempre. Perciò la stessa liturgia distingue il Vangelo dalle altre letture e lo circonda di particolare onore e venerazione. Infatti, la sua lettura è riservata al ministro ordinato, che termina baciando il libro; ci si pone in ascolto in piedi e si traccia un segno di croce in fronte, sulla bocca e sul petto; i ceri e l’incenso onorano Cristo che, mediante la lettura evangelica, fa risuonare la sua efficace parola.

Da questi segni l’assemblea riconosce la presenza di Cristo che le rivolge la “buona notizia” che converte e trasforma. È un discorso diretto quello che avviene, come attestano le acclamazioni con cui si risponde alla proclamazione: “Gloria a te, o Signore” e “Lode a te, o Cristo”.

È il Signore che ci parla. Dunque, nella Messa ascoltiamo il Vangelo per prendere coscienza che ciò che Gesù ha fatto e detto una volta; e quella Parola è viva, la Parola di Gesù che è nel Vangelo è viva e arriva al mio cuore. Per questo ascoltare il Vangelo è tanto importante, col cuore aperto, perché è Parola viva. Scrive sant’Agostino che «la bocca di Cristo è il Vangelo. Lui regna in cielo, ma non cessa di parlare sulla terra».

Se è vero che nella liturgia “Cristo annunzia ancora il Vangelo”, ne consegue che, partecipando alla Messa, dobbiamo dargli una risposta. Noi ascoltiamo il Vangelo e dobbiamo dare una risposta nella nostra vita. Per far giungere il suo messaggio, Cristo si serve anche della parola del sacerdote che, dopo il Vangelo, tiene l’omelia: “un riprendere quel dialogo che è già aperto tra il Signore e il suo popolo”, affinché trovi compimento nella vita. L’esegesi autentica del Vangelo è la nostra vita santa! La parola del Signore termina la sua corsa facendosi carne in noi, traducendosi in opere, come è avvenuto in Maria e nei Santi. La Parola del Signore entra dalle orecchie, arriva al cuore e va alle mani, alle opere buone. E anche l’omelia segue la Parola del Signore e fa anche questo percorso per aiutarci affinché la Parola del Signore arrivi alle mani, passando per il cuore.

Chi tiene l’omelia deve compiere bene il suo ministero, offrendo un reale servizio a tutti coloro che partecipano alla Messa, ma anche quanti l’ascoltano devono fare la loro parte. Anzitutto prestando debita attenzione, assumendo le giuste disposizioni interiori, senza pretese soggettive, sapendo che ogni predicatore ha pregi e limiti. E chi fa l’omelia deve essere conscio che non sta facendo una cosa propria, sta predicando, dando voce a Gesù, sta predicando la Parola di Gesù. E l’omelia deve essere ben preparata, e deve essere breve.

Dopo l’omelia, un tempo di silenzio permette di sedimentare nell’animo il seme ricevuto, affinché nascano propositi di adesione a ciò che lo Spirito ha suggerito a ciascuno. Dopo questo silenzio, la personale risposta di fede si inserisce nella professione di fede della Chiesa, espressa nel “Credo”. Recitato da tutta l’assemblea, manifesta la comune risposta a quanto insieme si è ascoltato dalla Parola di Dio. C’è un nesso vitale tra ascolto e fede. La fede, infatti, non nasce da fantasia di menti umane ma, come ricorda san Paolo, «viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo». La recita del “Credo” fa sì che l’assemblea liturgica “torni a meditare e professi i grandi misteri della fede, prima della loro celebrazione nella Eucaristia”.

La risposta alla Parola di Dio accolta con fede si esprime, dopo la recita del Credo, nella Preghiera universale, che abbraccia le necessità della Chiesa e del mondo. Viene anche detta Preghiera dei fedeli. I Padri del Vaticano II hanno voluto ripristinare questa preghiera dopo il Vangelo e l’omelia, specialmente nella domenica e nelle feste, affinché “con la partecipazione del popolo, si facciano preghiere per la santa Chiesa, per coloro che ci governano, per coloro che si trovano in varie necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo”.

Pertanto, sotto la guida del sacerdote che introduce e conclude, “il popolo, esercitando il proprio sacerdozio battesimale, offre a Dio preghiere per la salvezza di tutti”. E dopo le singole intenzioni, proposte dal diacono o da un lettore, l’assemblea unisce la sua voce invocando: “Ascoltaci, o Signore”. Ricordiamo, infatti, quanto ci ha detto il Signore Gesù: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto”. Le intenzioni per cui si invita il popolo fedele a pregare devono dar voce ai bisogni concreti della comunità ecclesiale e del mondo, evitando di ricorrere a formule convenzionali e miopi. La preghiera “universale”, che conclude la liturgia della Parola, ci esorta a fare nostro lo sguardo di Dio, che si prende cura di tutti i suoi figli».

V. La Liturgia eucaristica

«Alla Liturgia della Parola segue l’altra parte costitutiva della Messa, che è la Liturgia eucaristica. In essa, attraverso i santi segni, la Chiesa rende continuamente presente il Sacrificio della nuova alleanza sigillata da Gesù sull’altare della Croce. È stato il primo altare cristiano, quello della Croce, e quando noi ci avviciniamo all’altare per celebrare la Messa, la nostra memoria va all’altare della Croce, dove è stato fatto il primo sacrificio. Il sacerdote, che nella Messa rappresenta Cristo, compie ciò che il Signore stesso fece e affidò ai discepoli nell’Ultima Cena: “Prese il pane e il calice, rese grazie, li diede ai discepoli, dicendo: Prendete, mangiate… bevete: questo è il mio corpo… questo è il calice del mio sangue. Fate questo in memoria di me”. Obbediente al comando di Gesù, la Chiesa ha disposto la Liturgia eucaristica in momenti che corrispondono alle parole e ai gesti compiuti da Lui la vigilia della sua Passione».

La Presentazione delle Offerte

«Al primo gesto di Gesù – “prese il pane e il calice del vino” – corrisponde quindi la preparazione dei doni. È bene che siano i fedeli a presentare al sacerdote il pane e il vino, perché essi significano l’offerta spirituale della Chiesa lì raccolta per l’Eucaristia. Nei segni del pane e del vino il popolo fedele pone la propria offerta nelle mani del sacerdote, il quale la depone sull’altare o mensa del Signore, “che è il centro di tutta la Liturgia eucaristica”. Nel “frutto della terra e del lavoro dell’uomo”, viene pertanto offerto l’impegno dei fedeli a fare di sé stessi, obbedienti alla divina Parola, un “sacrificio gradito a Dio Padre onnipotente”, “per il bene di tutta la sua santa Chiesa”. Così “la vita dei fedeli, la loro sofferenza, la loro preghiera, il loro lavoro, sono uniti a quelli di Cristo e alla sua offerta totale, e in questo modo acquistano un valore nuovo”.

Certo, è poca cosa la nostra offerta, ma Cristo ha bisogno di questo poco. Ci chiede, nella vita ordinaria, buona volontà, cuore aperto, voglia di essere migliori per accogliere Lui che offre se stesso a noi nell’Eucaristia. E non dimenticare: c’è l’altare che è Cristo, ma sempre in riferimento al primo altare che è la Croce, e sull’altare che è Cristo portiamo il poco dei nostri doni, il pane e il vino che poi diventeranno il tanto: Gesù stesso che si dà a noi».

La Preghiera eucaristica

«Concluso il rito della presentazione del pane e del vino, ha inizio la Preghiera eucaristica, che qualifica la celebrazione della Messa e ne costituisce il momento centrale, ordinato alla santa Comunione. Corrisponde a quanto Gesù stesso fece, a tavola con gli Apostoli nell’Ultima Cena, allorché “rese grazie” sul pane e poi sul calice del vino: il suo ringraziamento rivive in ogni nostra Eucaristia, associandoci al suo sacrificio di salvezza. In questa solenne Preghiera la Chiesa esprime ciò che essa compie quando celebra l’Eucaristia e il motivo per cui la celebra: fare comunione con Cristo realmente presente nel pane e nel vino consacrati.

Dopo aver invitato il popolo a innalzare i cuori al Signore e a rendergli grazie, il sacerdote pronuncia la Preghiera ad alta voce, a nome di tutti i presenti, rivolgendosi al Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo. “Il significato di questa Preghiera è che tutta l’assemblea dei fedeli si unisca con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e nell’offrire il sacrificio”. E per unirsi deve capire. Per questo, la Chiesa ha voluto celebrare la Messa nella lingua che la gente capisce, affinché ciascuno possa unirsi a questa lode e a questa grande preghiera con il sacerdote. Vi sono varie formule di Preghiera eucaristica, tutte costituite da elementi caratteristici, che vorrei ora ricordare.

Anzitutto vi è il Prefazio, che è un’azione di grazie per i doni di Dio, in particolare per l’invio del suo Figlio come Salvatore. Il Prefazio si conclude con l’acclamazione del “Santo”. Tutta l’assemblea unisce la propria voce a quella degli Angeli e dei Santi per lodare e glorificare Dio.

Vi è poi l’invocazione dello Spirito affinché con la sua potenza consacri il pane e il vino. L’azione dello Spirito Santo e l’efficacia delle stesse parole di Cristo proferite dal sacerdote, rendono realmente presente, sotto le specie del pane e del vino, il suo Corpo e il suo Sangue, il suo sacrificio offerto sulla croce una volta per tutte. Gesù in questo è stato chiarissimo: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. È Gesù stesso che ha detto questo. Noi non dobbiamo fare pensieri strani… È il corpo di Gesù; è finita lì! La fede ci viene in aiuto, e crediamo.

Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del Signore, nell’attesa del suo ritorno glorioso, la Chiesa offre al Padre il sacrificio che riconcilia cielo e terra: offre il sacrificio pasquale di Cristo offrendosi con Lui e chiedendo, in virtù dello Spirito Santo, di diventare “in Cristo un solo corpo e un solo spirito”. È questa la grazia e il frutto della Comunione sacramentale: ci nutriamo del Corpo di Cristo per diventare, noi che ne mangiamo, il suo Corpo vivente oggi nel mondo.

La Preghiera eucaristica chiede a Dio di raccogliere tutti i suoi figli nella perfezione dell’amore, in unione con il Papa e il Vescovo, menzionati per nome, segno che celebriamo in comunione con la Chiesa universale e con la Chiesa particolare.

La supplica, come l’offerta, è presentata a Dio per tutti i membri della Chiesa, vivi e defunti, in attesa della beata speranza di condividere l’eredità eterna del cielo, con la Vergine Maria. Nessuno e niente è dimenticato nella Preghiera eucaristica, ma ogni cosa è ricondotta a Dio, come ricorda la dossologia che la conclude».

“Padre nostro” e segno di pace

«Nell’ultima Cena, dopo che Gesù prese il pane e il calice del vino, ed ebbe reso grazie a Dio, sappiamo che “spezzò il pane”. A quest’azione corrisponde, nella Liturgia eucaristica della Messa, la frazione del Pane, preceduta dalla preghiera che il Signore ci ha insegnato, il “Padre Nostro”. Questa non è una delle tante preghiere cristiane, ma è la preghiera dei figli di Dio: consegnatoci nel giorno del nostro Battesimo, fa risuonare in noi quei medesimi sentimenti che furono in Cristo Gesù. Preghiamo come pregava Gesù. Formati al suo divino insegnamento, osiamo rivolgerci a Dio chiamandolo “Padre”. Nessuno, in verità, potrebbe chiamarlo familiarmente Abbà, “Padre”, senza essere stato generato da Dio, e senza l’ispirazione dello Spirito.

Nella Preghiera del Signore chiediamo il “pane quotidiano”, nel quale scorgiamo un particolare riferimento al Pane eucaristico, di cui abbiamo bisogno per vivere da figli di Dio. Imploriamo anche “la remissione dei nostri debiti”, e per essere degni di ricevere il perdono di Dio ci impegniamo a perdonare chi ci ha offeso. E questo non è facile. Perdonare le persone che ci hanno offeso non è facile; è una grazia che dobbiamo chiedere. Così, mentre ci apre il cuore a Dio, il “Padre nostro” ci dispone anche all’amore fraterno. Infine, chiediamo ancora a Dio di “liberarci dal male” che ci separa da Lui e ci divide dai nostri fratelli.

Quanto chiediamo nel “Padre nostro” viene prolungato dalla preghiera del sacerdote che, a nome di tutti, supplica: “Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni”. E poi riceve una sorta di sigillo nel rito della pace: per prima cosa si invoca da Cristo che il dono della sua pace – così diversa dalla pace del mondo – faccia crescere la Chiesa nell’unità e nella pace, secondo la sua volontà; quindi, con il gesto concreto scambiato tra noi, esprimiamo “la comunione ecclesiale e l’amore vicendevole, prima di comunicare al Sacramento”.

Nel Rito romano lo scambio del segno di pace, posto fin dall’antichità prima della Comunione, è ordinato alla Comunione eucaristica. Secondo l’ammonimento di Paolo, non è possibile comunicare all’unico Pane che ci rende un solo Corpo in Cristo, senza riconoscersi pacificati dall’amore fraterno. La pace di Cristo non può radicarsi in un cuore incapace di vivere la fraternità e di ricomporla dopo averla ferita. La pace la dà il Signore: Egli ci dà la grazia di perdonare coloro che ci hanno offeso». Frazione del Pane e “Agnello di Dio”

«Il gesto della pace è seguito dalla frazione del Pane, che fin dal tempo apostolico ha dato il nome all’intera celebrazione dell’Eucaristia. Compiuto da Gesù durante l’Ultima Cena, è il gesto rivelatore che ha permesso ai discepoli di riconoscerlo dopo la sua risurrezione.

La frazione del Pane eucaristico è accompagnata dall’invocazione dell’Agnello di Dio, figura con cui Giovanni Battista ha indicato in Gesù “colui che toglie il peccato del mondo”. L’immagine biblica dell’agnello parla della redenzione. Nel Pane eucaristico, spezzato per la vita del mondo, l’assemblea orante riconosce il vero Agnello di Dio, cioè il Cristo Redentore, e lo supplica: “Abbi pietà di noi… dona a noi la pace”: sono invocazioni che, dalla preghiera del “Padre nostro” alla frazione del Pane, ci aiutano a disporre l’animo a partecipare al convito eucaristico, fonte di comunione con Dio e con i fratelli».
Comunione

«La celebrazione della Messa è ordinata alla Comunione, cioè a unirci con Gesù. Celebriamo l’Eucaristia per nutrirci di Cristo, che ci dona sé stesso sia nella Parola sia nel Sacramento dell’altare, per conformarci a Lui. Lo dice il Signore stesso: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”. Il gesto di Gesù, che nell’ultima Cena diede ai discepoli il suo Corpo e Sangue, continua ancora oggi attraverso il ministero del sacerdote e del diacono, ministri ordinari della distribuzione ai fratelli del Pane della vita e del Calice della salvezza.

Dopo aver spezzato il Pane consacrato, cioè il corpo di Gesù, il sacerdote lo mostra ai fedeli, invitandoli a partecipare al convito eucaristico. Conosciamo le parole che risuonano dal santo altare: “Beati gli invitati alla Cena del Signore: ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”: dice “nozze” perché Gesù è lo sposo della Chiesa: questo invito ci chiama a sperimentare l’intima unione con Cristo, fonte di gioia e di santità. È un invito che rallegra e insieme spinge a un esame di coscienza illuminato dalla fede. Se, da una parte, vediamo la distanza che ci separa dalla santità di Cristo, dall’altra crediamo che il suo Sangue viene “sparso per la remissione dei peccati”.

Tutti noi siamo stati perdonati nel battesimo, e tutti noi siamo perdonati o saremo perdonati ogni volta che ci accostiamo al sacramento della penitenza. Noi volgiamo lo sguardo all’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo e lo invochiamo: “O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato”.

Se siamo noi a muoverci in processione per fare la Comunione, in realtà è Cristo che ci viene incontro per assimilarci a sé. Nutrirsi dell’Eucaristia significa lasciarsi mutare in quanto riceviamo. Come il pane e il vino sono convertiti nel Corpo e Sangue del Signore, così quanti li ricevono con fede sono trasformati in Eucaristia vivente. Al sacerdote che, distribuendo l’Eucaristia, ti dice: “Il Corpo di Cristo”, tu rispondi: “Amen”, riconosci la grazia e l’impegno che comporta diventare Corpo di Cristo.

Secondo la prassi ecclesiale, il fedele si accosta normalmente all’Eucaristia in forma processionale, e si comunica in piedi con devozione, oppure in ginocchio, come stabilito dalla Conferenza Episcopale, ricevendo il sacramento in bocca o, dove è permesso, sulla mano, come preferisce.

Dopo la Comunione, a custodire in cuore il dono ricevuto ci aiuta il silenzio, la preghiera silenziosa. Allungare un po’ quel momento di silenzio, parlando con Gesù nel cuore ci aiuta tanto, come pure cantare un salmo o un inno di lode che ci aiuti a essere con il Signore.

La Liturgia eucaristica è conclusa dall’orazione dopo la Comunione. L’Eucaristia ci fa forti per dare frutti di buone opere per vivere come cristiani».

Con la più cordiale Benedizione vi auguro buon cammino, Fratelli e Sorelle!

+ Edoardo, vescovo

04-03-2019