Author: admindiocesi

9. Lettera del vescovo Edoardo ai Rev.di Sacerdoti e Diaconi della Diocesi

Carissimi Confratelli,

vi invio la Sintesi redatta dall’Equipe sinodale della nostra Diocesi, ora che è stata consegnata, come richiesto, alla Conferenza Episcopale Italiana per essere trasmissa alla Segreteria del Synodus Episcoporum, e due dei referenti diocesani hanno partecipato a Roma al secondo Incontro programmato per essi.  

Ringrazio cordialmente l’Equipe, costituita, su consiglio dei Vicari foranei, da Mons. Gianmario Cuffia, don Luca Meinardi, mons. Arnaldo Bigio, diacono Raffaele Servalli, dr. Valentina Gili Borghet, dr. Elisabetta Acide e p. Davide Damiano, in qualità di segretario – i quali hanno lavorato con impegno già nella prima fase del “Cammino sinodale”, ed hanno raccolto e sintetizzato le 38 relazioni pervenute.

Ringrazio di cuore tutti coloro – Comunità parrocchiali, Docenti di religione e studenti, Pastorale giovanile e gruppi di evangelizzazione – che hanno partecipato alla consultazione. 

Il testo che vi invio è per il momento riservato a voi, nell’attesa della Assemblea diocesana che si terrà a settembre – in data che sarà comunicata – con i referenti locali i cui nominativi sono stati segnalati alla Segreteria dell’Equipe. 

Questo testo sarà traccia per il cammino dell’Anno pastorale 2022-2023, caratterizzato dalla fase detta “sapienziale”.

Con il più cordiale saluto,

† Edoardo, Vescovo


8. SIR. Cammino sinodale. Alba e Ivrea: un’occasione per riscoprirsi Chiesa aperta e in ascolto

Le esperienze vissute negli ultimi mesi dalle comunità di Alba e Ivrea, raccontate al Sir dai referenti diocesani

Il cammino sinodale si è aperto “provvidenzialmente” in un periodo non solo di “chiusura” per via della pandemia ma anche di “stanca” nella vita ordinaria di molte comunità ecclesiali. Sarà anche per questo che, in giro per l’Italia, si avverte grande entusiasmo al termine della prima fase, quella che è stata dedicata all’ascolto. Ne sono testimoni le esperienze che i referenti diocesani raccontano, al Sir, condividendo quanto vissuto negli ultimi mesi.

Coinvolgimento, creatività, corresponsabilità. Comunità aperte all’ascolto, più accoglienti e meno verticistiche. È uno degli aspetti emersi dai 220 gruppi sinodali attivati nei mesi scorsi nella diocesi di Alba, tra i quali quelli “di strada” avviati da Caritas, quello con gli imprenditori, con gli operatori sanitari e quelli nelle case di riposo oltre a quelli nelle parrocchie e nelle realtà associative. Un centinaio di contributi, poi, sono arrivati – anche da persone più “esterne” al mondo ecclesiale – attraverso il questionario online reso disponibile sul sito web del settimanale diocesano, al quale si poteva rispondere in modo libero, anche in forma anonima. E poi – racconta don Piero Racca, uno dei due referenti diocesani – non è mancata la risposta degli studenti che, attraverso gli insegnanti di religione, dalle materne alle superiori sono stati coinvolti nel cammino diocesano. E “se all’inizio abbiamo fatto un po’ di difficoltà, per via non solo delle restrizioni dovute al Covid ma anche per una certa resistenza, alla fine è emersa la bellezza delle persone che si sono messe in gioco. Nell’ultimo periodo – spiega l’altra referente, Annamaria Tibaldi –

c’è stato un crescente desiderio di partecipare

e di dire la propria”. Per questo, prosegue, è “importante cogliere il desiderio di protagonismo, di trovare ascolto”. Dai contributi raccolti e dalla riflessione compiuta è emerso un “certo scollamento tra la Chiesa e la cultura e la società odierne”, sottolinea don Racca: “La Chiesa viene percepita arretrata, un po’ chiusa in sé, con poche capacità di comunicare davvero”. “C’è necessità – aggiunge Tibaldi – di un linguaggio non annacquato ma più comprensibile a donne e uomini di oggi”. Partecipazione alla messa, religiosità popolare, centralità della Parola di Dio, il venir meno della figura del parroco come riferimento e il coinvolgimento non dei singoli ma di gruppi di laici corresponsabili sono altri temi sottolineati. Non è mancata l’attenzione, a volte esprimendo preoccupazione, per l’accompagnamento dei giovani con i quali ricucire un rapporto così come per la formazione degli educatori. Nei prossimi giorni , ad Alba, si terrà un’assemblea nella quale la sintesi della prima fase del cammino verrà condivisa con i coordinatori dei gruppi, i Consigli diocesani e il clero.

“Ci vorrà ancora un po’ di tempo – affermano i referenti – per far sì che lo stile e il metodo sinodale entri definitivamente nelle nostre comunità”. C’è bisogno, evidenzia Tibaldi, di “capacità di ascolto ‘vero’, senza paura; quest’ultima c’è e non va sottovalutata ma dobbiamo essere in grado di liberarcene”.

Collaborazione, centralità della Parola di Dio, richiesta di formazione. “Lo spirito sinodale sta entrando nel vissuto della realtà eporediese. È diffusa la consapevolezza di

un cammino che non si è esaurito

con la sintesi al termine della prima fase ma che continua e dà vita generando nuove riflessioni”. Così Elisabetta Acide, del Gruppo di coordinamento della diocesi di Ivrea, riassume l’esperienza vissuta in questi mesi e lo stato d’animo di chi ha partecipato al percorso sinodale. Nel periodo di avvio, per spiegare in modo semplice e immediato cos’è il cammino sinodale e cosa chiede alla Chiesa è stato realizzato e diffuso in diocesi un video tutorial: “Pensato – sottolinea Acide – per fornire indicazioni sulla logica del discernimento, dell’ascolto, del dialogo e sulle tre parole: comunione, partecipazione, missione”. “In diversi casi – aggiunge – è stato utilizzato per avviare la riflessione nel primo incontro dei gruppi sinodali con frasi, voci e immagini significative”. Al termine di questo “primo momento estremamente ricco di contributi”, Acide traccia un sintetico bilancio: “Nei piccoli centri come nelle città più grandi della diocesi si è riusciti ad attivare processi di ascolto, dialogo e confronto. In alcune realtà si è fatta più difficoltà nell’avviarli per via anche della mancanza di una pregressa abitudine agli incontri. Ma, in ogni caso,

è stata un’esperienza dappertutto fruttuosa” dalla quale è emerso l’“apprezzamento per la logica del camminare insieme che, forse per la prima volta, parte in modo concreto dalla base”.

Contributi sono arrivati dal 60% delle parrocchie della diocesi e nel percorso sono stati coinvolti anche oltre 2mila studenti. Da una parte, osserva, è stata espressa “la volontà di uscire dalla chiusura delle singole realtà parrocchiali e territoriali per provare ad allargare lo sguardo a gruppi, movimenti, realtà vicine e a voci diverse”; dall’altra, è stato manifestato il “desiderio di progettare il futuro con uno sguardo rivolto anche al passato ma con una prospettiva che parte da una nuova spinta capace di creatività per dare spazio alle istanze emerse da più parti”. Anche nelle comunità eporediesi c’è la richiesta di “collaborazione effettiva tra presbiteri, diaconi, laici impegnati ma anche coloro che sono sulla soglia, che magari oggi stanno a guardare ma che non sono disponibili a farsi coinvolgere”. Acide indica poi altri due aspetti che delineano il sentire prevalente: quella di Ivrea è “una Chiesa che ha voglia di continuare il cammino, magari a velocità diverse o con passi diversi, ma insieme e mettendo al centro Cristo”; diffusa è “la richiesta di formazione”, da vivere in “un clima che è già di per sé sinodale perché richiede disponibilità all’ascolto e al dialogo”.

Alberto Baviera


Collette Terra Sante e Ucrania

La Terra Santa non è fatta solo di pietre e di luoghi. Ci sono dei nostri fratelli di fede che là vivono, in situazioni sempre difficili, precarie da tanti punti di vista. Sono essi, le loro comunità, a far sì che, quando andiamo pellegrini in Terra Santa, non ci troviamo solo di fronte a monumenti. Essi sono la Chiesa vivente in quella terra! 

La Colletta pro Terra Sancta che ogni anno si fa il Venerdì Santo nasce dalla volontà dei Papi di mantenere forte il legame tra tutti i cristiani del mondo e i Luoghi Santi; ed è aiuto indispensabile per chi là vive, permettendo il permanere della presenza cristiana nella terra delle origini cristiane. 

Non dimentichiamo questi fratelli!  Confidando nella generosità di tutti, ricordo ai Sacerdoti che la Colletta – richiesta dalla Sede Apostolica – può essere collocata anche in una domenica del Tempo pasquale. 

*

In costante collegamento con le Caritas in Ucraina, la Caritas Italiana resta accanto alla popolazione coinvolta, supportando anche le Caritas dei Paesi confinanti per l’accoglienza delle persone in fuga dalla guerra, garantendo le azioni necessarie per rispondere ai bisogni più urgenti e contribuendo all’accoglienza di quanti arrivano in Italia. 

La Conferenza Episcopale Italiana ha esortato le Diocesi ad attivarsi, come segno della concreta solidarietà di tutti i credenti, per una giornata di raccolta fondi da inviare entro il 15 maggio p.v. Nella nostra Diocesi la domenica della raccolta sarà l’8 maggio.

I Parroci sono pregati di consegnare in Curia le offerte dei fedeli che saranno trasmesse alla Caritas Italiana, secondo le modalità dalla stessa comunicate.  Confido nella generosità di tutti.

† Edoardo, vescovo

Santa Pasqua 2022

«Tutto si rinnova nel contatto con Lui. Oh, non aspettiamo di essere buoni per vivere insieme al Signore! È il vivere con Lui che ci farà buoni; è l’accogliere Lui che ci farà santi. Non c’è altra santità. Lo guarderò e mi basterà. Non vivrò che per il Signore e non saprò davvero che la mia vita è sacrificio. È una vita di sacrificio quella di una donna che ama veramente il vivere soltanto per colui che ama? Dovete avere soltanto una preoccupazione: credere e credere sul serio e credere che è qui, credere che vi ama e credere che siete con Lui. È il vivere con Lui che ci farà buoni; è l’accogliere Lui che ci farà santi» (Divo Barsotti)

Surrexit Dominus vere! Alleluia!

+ Edoardo, vescovo


Noi siamo fratelli. Noi siamo. La tua vita e la mia

con Don Alberto Ravagnani Sacerdote YouTuber e autore del libro “La tua vita e la mia”.

Sabato 30 Aprile 2022, Istituto salesiano “CARDINAL CAGLIERO” Via San Giovanni Bosco, 60 – IVREA.

  • Pomeriggio dedicato ai ragazzi delle medie (11-13 anni)
    • h 14.30 Accoglienza dei ragazzi. Grande gioco
    • h 17 Santa Messa
    • h 18 Incontro con Don Alberto
  • Serata dedicata agli adolescenti e ai giovani (dai 14 anni)
    • h 20.30 Incontro con Don Alberto

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Per info e iscrizioni: www.pgivrea.it


Consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria

AL CLERO E AI FEDELI DELLA DIOCESI

Ivrea, 16 marzo 2022

Consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria

“Venerdì 25 marzo, durante la Celebrazione della Penitenza che presiederà alle 17 nella Basilica di San Pietro, Papa Francesco consacrerà all’Immacolato Cuore di Maria la Russia e l’Ucraina. Lo stesso atto, lo stesso giorno, sarà compiuto a Fatima dal cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere pontificio, come inviato dal Santo Padre”.

(Dichiarazione del direttore della Sala Stampa della Santa Sede).

Carissimi Fratelli e Sorelle, 

ci uniamo al Santo Padre in questo atto solenne che la Vergine Santa, nell’apparizione del 13 luglio 1917 a Fatima, aveva chiesto domandando la consacrazione della Russia al Suo Cuore Immacolato; atto compiuto dal ven. Pio XII, il 7 luglio 1952, quando consacrò i popoli della Russia al Cuore Immacolato di Maria nella Lettera apostolica Sacro vergente anno; da san Paolo VI che rinnovò la consacrazione, il 21 novembre 1964, alla presenza di Padri del Concilio Vaticano II; e che  san Giovanni Paolo II compì come Atto di affidamento nella Basilica di Santa Maria Maggiore il 7 giugno 1981 e ancora durante l’Anno Santo della Redenzione, il 25 marzo 1984, in piazza San Pietro, in unione spirituale con tutti i Vescovi del mondo. 

Invito tutta la Diocesi ad un momento di Adorazione Eucaristica che chiedo ai Parroci di organizzare il 25 marzo, solennità dell’Annunciazione del Signore, alla stessa ora o, se non è possibile, in altro momento della giornata. 

Il Vescovo presiederà la preghiera e l’Adorazione nella chiesa di S. Maurizio alle ore 17. Celebrerà la S. Messa, con la medesima intenzione, alle ore 20 nella chiesa di S. Maria in Zinzolano della Fraternità di Nazaret.

+Edoardo, vescovo


IV centenario della Canonizzazione dei Ss. Filippo Neri, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Teresa d’Avila, Isidoro agricoltore

Per riconoscenza verso la Congregazione dell’Oratorio e il suo Fondatore non potevo mancare a Roma alla Messa presieduta dal Santo Padre il 12 marzo scorso in ricordo dei cinque santi che il suo lontano predecessore Gregorio XV aveva canonizzato nello stesso giorno del marzo 1622; e, il giorno dopo, alla celebrazione solenne in cui la Famiglia Oratoriana ha espresso a Padre Filippo la propria gioia per la sua glorificazione, la più alta che la Chiesa conferisca a un suo figlio.

Filippo Neri (1515-1595), Ignazio di Loyola (1491-1556), Francesco Saverio (1506-1552), Teresa d’Avila (1515-1582) – campioni di quella Riforma Cattolica che è stata molto più che una reazione alla Riforma luterana – e con essi il laico Isidoro che in altra epoca (1080-1130) servì Dio lavorando i suoi campi, umile contadino della campagna intorno a Madrid, sono coloro di cui “Pasquino” disse: “Oggi er Papa fa quattro spagnoli e un santo”: mordace ironia del popolo romano…

È bello guardare ai cinque santi cercando di cogliere da una loro parola qualche lineamento del loro volto.

S. Ignazio di Loyola. “Prega come se tutto dipendesse da Dio e lavora come se tutto dipendesse da te”.

Battezzato con il nome di Iñigo – che gli si addiceva perfettamente per il temperamento di fuoco che aveva ricevuto – lo cambiò in Ignazio quando, con la conversione, mise quel fuoco al servizio del Regno di Dio. Si era avviato alla vita del cavaliere, alle Corti di Spagna, tra divertimenti e combattimenti. Nell’assedio di Pamplona una grave ferita alla gamba lo fermò costringendolo ad una lunga convalescenza, durante la quale la lettura della “Vita di Cristo” e della “Legenda Aurea” lo convinse che era Gesù l’unico vero Signore al quale

si poteva dedicare la fedeltà di cavaliere. Ristabilitosi, andò pellegrino a Gerusalemme; a Barcellona, nell’abbazia di Monserrat fece la confessione generale, si spogliò degli abiti cavallereschi vestendo quelli di un povero e con il voto di castità perpetua fece il primo passo verso una vita religiosa. A Manresa, al suo ritorno, condusse, per più di un anno, vita di preghiera e di penitenza. Fu qui che “ricevette una grande illuminazione” sulla possibilità di fondare una Compagnia di consacrati. In una grotta dei dintorni, in piena solitudine, prese a scrivere una serie di meditazioni e di norme, che, successivamente rielaborate, formarono i celebri “Esercizi Spirituali”. Intuì che per svolgere adeguatamente l’apostolato occorreva studiare; a 33 anni iniziò questo impegno, fino ad ottenere, a Parigi, il dottorato in filosofia. Nel 1534 con i primi compagni, tra cui Francesco Xavier, nella cappella di Montmartre fece voto di vivere in povertà e castità; si sarebbero messi a disposizione del Papa, che avrebbe deciso il loro genere di vita apostolica e il luogo dove esercitarla. Ordinato sacerdote, insieme a due compagni andò a Roma; una visione lo confermò nell’idea di fondare una “Compagnia” che portasse il nome di Gesù.

S. Filippo Neri. “Bisogna buttarsi in tutto e per tutto nelle mani del Signore. Se Dio vorrà, vi farà lui buoni in quello che vi vorrà adoperare… Chi vuol altro che Cristo non sa quel che vuole, e chi chiede altro che Cristo non sa quel che domanda”.

In obbedienza al Papa rimase a Roma a coordinare le attività della Compagnia e ad occuparsi dei poveri, degli orfani e degli ammalati, fino alla morte.

Fiorentino di nascita e di formazione, arrivò a Roma non ancora ventenne: “È come se una luce venisse accesa nel buio della miseria che annida tra le antiche glorie dell’Urbe” è stato scritto.

Di giorno, viso simpatico e cuore lieto, porta, ben prima di essere prete, il calore di Dio a chi incontra e a chi giace all’Ospedale degli Incurabili; di notte, sul sagrato di una chiesa o nelle catacombe, un’anima di fuoco, immerso in un dialogo intimo con Dio, tanto da ricevere il dono di una speciale effusione di Spirito Santo che gli dilatò anche fisicamente il cuore.

“Appassionato annunciatore della Parola di Dio” disse Papa Francesco nel 500.mo della nascita di Filippo. La paternità spirituale di questo “cesellatore di anime” “traspare da tutto il suo agire, caratterizzato dalla fiducia nelle persone, dal rifuggire dai toni foschi ed accigliati, dallo spirito di festosità e di gioia, dalla convinzione che la grazia non sopprime la natura ma la sana, la irrobustisce e la perfeziona”. “Si accostava alla spicciolata ora a questo, ora a quello e tutti divenivano presto suoi amici”, racconta il suo primo biografo e il Papa commenta: “Amava la spontaneità, rifuggiva dall’artificio, sceglieva i mezzi più divertenti per educare alle virtù cristiane, al tempo stesso proponeva una sana disciplina che implica l’esercizio della volontà per accogliere Cristo nel concreto della propria vita”.

L’Oratorio nasce così, non per un progetto disegnato sulla carta. “Grazie anche all’apostolato di San Filippo – riconosce Papa Francesco – l’impegno per la salvezza delle anime tornava ad essere una priorità nell’azione della Chiesa”. Approdò al sacerdozio a 36 anni, ma l’ordinazione non dovette comportare sostanziali cambiamenti di vita e stile. Col tempo, attorno a lui prese corpo la prima comunità, cellula della futura Congregazione che Gregorio XIII approverà nel 1575.

“Apostolo di Roma” lo proclamarono i Papi: con Pietro e Paolo unico nella numerosa schiera dei santi che vissero e lavorarono nel centro della Cattolicità. “Chi fa bene a Roma – diceva Filippo – fa bene al mondo intero”.

S. Teresa d’Avila. “Dio non smette di occuparsi di me e della mia anima: la desidera indefessamente. Ma viene il demonio con le sue grandi astuzie e, sotto colore di bene, la distacca a poco a poco dalla volontà divina in ben piccole cose, destandole interesse per altre che le fa credere non siano cattive, offuscandole man mano l’intelligenza, raffreddandole la volontà e facendole crescere l’amor proprio, finché, da una cosa all’altra, la va allontanando dal volere di Dio e avvicinando al suo proprio volere. Non c’è da fare altro che riconoscere la nostra indigenza e consacrargli tutta la ns volontà”.

Nella Basilica Vaticana, sotto la statua di questa donna forte e tenace, si legge: “Mater spiritualium”, dove “spirituali” non indica solo alcune anime elevate a particolari stati mistici, ma tutti coloro che si impegnano a vivere la vita cristiana, che è vita “nello Spirito Santo”.

Fu davvero imponente la sua opera riformatrice, convinta com’era che alle terribili lacerazioni della Chiesa non si poteva rispondere se non rinnovando la propria fedeltà a Dio, con una vita che si lascia cambiare dall’amore a Cristo e alla Chiesa, fermamente convinta che solo nella comunione con il

Signore si trovano i doni di grazia per la Chiesa martoriata da corruzioni, infedeltà, e scismi.
La sua vita spirituale fu costante “progresso” nell’adesione a Cristo, fino a diventare “Teresa di Gesù”: «Piaccia a Dio – scriveva – che vi impegniate a crescere”. “Poco mi curo di ciò che si dica o si sappia di me. Ciò che mi interessa è ogni più piccolo progresso che l’anima possa fare”. E dunque: «Nada te turbe, nada te espante. Quien a Dios tiene nada le falta… Solo Dios basta!»: «Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. Tutto passa, solo Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio non manca di nulla: solo Dio basta!».

S. Francesco Saverio.Ti ringrazio, Signore, per la provvidenza di avermi dato un compagno come questo Ignazio, dapprima così poco simpatico”.

Dopo aver peregrinato per terre, mari e isole in Oriente per annunciare Cristo ai pagani, quando ormai si trovava alle porte della Cina, sentì da Dio: “Francesco, figlio mio, cessa la tua lotta e vieni da Me!”: da Francesco Dio non voleva la Cina: voleva Francesco. L’intrepido missionario morì dicendo: “Sì, mio Redentore, prima di ogni altra cosa e sopra tutte le cose, si compiano i Vostri perfettissimi disegni e solo così, Vi sarà data la maggior gloria!”.

Pioniere delle missioni dei tempi moderni, patrono di esse con S. Teresa di Gesù Bambino, Francesco nacque nel castello di Xavier, in Navarra. Nel 1525 si recò all’università di Parigi sognando pingui benefici nella diocesi di Pamplona. L’incontro con Ignazio di Loyola fu provvidenziale: lo trasformò in araldo del Vangelo. Più tardi Ignazio dirà di Francesco: fu “il più duro pezzo di pasta che avessi mai avuto da impastare”. I passi di Ignazio – sopra ricordati – furono anche i suoi fino al 1540, quando fu mandato alle Indie Orientali. A Goa, cominciò il suo apostolato nella colonia portoghese che con la sua vita immorale scandalizzava persino i pagani. Poi estese il suo ministero ai malati, ai prigionieri e agli schiavi. Dopo cinque mesi fu mandato al sud del paese; per due anni passò di villaggio in villaggio, esposto a mille pericoli, fondando chiese e scuole, facendosi a tutti maestro, medico, giudice nelle liti, difensore contro le esazioni dei portoghesi, salutato ovunque quale santo e taumaturgo. Aprì nuovi campi all’apostolato: nella Malacca, nelle Molucche, abitate dai cacciatori di teste, nell’isola di Amboina, presso la Nuova Guinea, fino alle isole del Moro. Sedotto dalle notizie avute sul Giappone e i suoi abitanti partì per andarli ad evangelizzare. Di lì, senza poterla raggiungere, si mise in viaggio per la Cina.

Di Isidoro contadino non abbiamo parole da riportare; se dovessi mettergliene una sulle labbra, sceglierei questa, di Francesco Saverio: “Signore, io ti amo non perché puoi darmi il Paradiso o condannarmi all’Inferno, ma perché sei il mio Dio. Ti amo perché Tu sei Tu”.

La sua vita, così diversa da quella di tre preti santi e di una santa monaca, era santa come la loro. Non aveva fondato né riformato ordini, non aveva costruito monasteri, né aveva lasciato grandi opere dottrinali o mistiche: aveva amato una donna (Maria Toribia, beatificata anch’ella alla fine del ‘600), allevato un figlio e coltivato la terra, pregando e condividendo i suoi averi con i più poveri. Gregorio XV lo innalzò nella gloria dei santi insieme a quei quattro grandi della Riforma Cattolica. Mi ricorda la scelta fatta da S. Giovanni Paolo II quando, sulla gloria degli altari, pose la piccola Bakhita accanto a san Josemaría Escrivá de Balaguer.

Che spettacolo, la santità! Un mio confratello oratoriano, il ven. Raimondo Calcagno, diceva: “È l’unica cosa che ci rende davvero interessanti al mondo”.

Il Cinquecento, che vide spaccarsi la Chiesa e l’Europa e scoppiare il bubbone di disordine morale presente da tempo nella vita di molte membra della Chiesa, assistette al sorgere di così numerosi esempi di santità che si rimane stupiti anche solo a scorrere l’elenco dei più noti tra quelli canonizzati.

Quel secolo vide svilupparsi un’ampia e fervida azione caritativa al servizio dei poveri, degli ammalati, dei giovani, di ogni categoria di bisognosi. I vecchi ordini religiosi con fatica tendono a riformarsi al loro interno: monasteri e conventi adottano una regola riformata; nuovi ordini nascono dal tronco di quelli antichi; le nuove scoperte geografiche lanciano la Chiesa nella evangelizzazione dei popoli. Nel malcostume diffuso, alcuni vescovi si distinguono per capacità e zelo pastorale. E si potrebbe continuare… Il grande impulso dato dal Concilio di Trento (1545-1563) all’azione della Chiesa cattolica per contrastare, da un lato, il luteranesimo e, dall’altro, per riformarsi al suo interno, fu accolto e vissuto da una splendida schiera dei santi, un firmamento di stelle di cui ancora ammiriamo la luce.

† Edoardo Aldo Cerrato, C.O.