Omelia nella S. Messa della Festa Patronale del B. Angelo Carletti Insigne Collegiata di S. Maria Assunta, Chivasso, 22 Agosto 2021

22-08-2021

Carissimi Fratelli e Sorelle, sia lodato Gesù Cristo!

Nella festa del S. Patrono, Beato Angelo da Chivasso, ho cercato di delineare, negli scorsi anni, i tratti fondamentali del volto di questo discepolo del Signore di cui la Chiesa dice, sintetizzando la sua vita nel Martirologio Romano: “fu insigne per dottrina, prudenza e carità”: tre elementi su cui abbiamo bisogno di riflettere, immersi come siamo in una cultura dove ciò che è solido e stabile, chiaro e definito, in molti casi viene rifiutato, l’emotività prende il sopravvento sulla sana ragionevolezza e l’individualismo cresce; dove, alla base di questa trasformazione del pensiero e dell’agire, c’è l’affievolirsi della fede in Dio e l’abbandono della pratica religiosa anche da parte di chi ancora si dice credente.

  1. Quest’anno, nella particolare situazione che da un anno e mezzo stiamo ormai faticosamente vivendo nelle fasi alterne dell’epidemia, la quale ha prodotto situazioni nuove e difficili, ma soprattutto ha fatto emergere quanto già c’era di negativo e non lo volevamo vedere, vorrei soffermarmi sul coraggio di cui fra’ Angelo è testimone nel suo tempo, nelle difficili situazioni del XV secolo in cui visse.

Angelo Carletti svolgeva a Chivasso la professione forense e divenne membro della Corte di Giustizia; fu Senatore e Consigliere dello Stato di Monferrato. Sui trentatré anni, una grande svolta. Comprese che la vera realizzazione di se stessi non si attua secondo i criteri che noi – o la società – stabiliamo, ma secondo quelli che ci vengono da Dio. Dio lo chiamava non a ritirarsi dall’impegno, ma a servire in altro modo, più vero. Sulle orme di san Francesco divenne fra’ Angelo, tra i Frati minori osservanti, e da quel momento il coraggioso annuncio della Verità cristiana e l’esercizio intelligente della Carità divennero lo stile ed il contenuto della sua vita: annuncio della Verità cristiana, poiché l’uomo non può vivere senza di essa; esercizio attivo della Carità poiché questa non può limitarsi a sentimenti di bontà, ma, se è vera, si traduce in una concreta attenzione ai poveri per i quali fra Angelo, anziché imbastire discorsi sulle situazioni difficili, si diede da fare promuovendo iniziative volte a superare anche il drammatico problema dell’usura esercitata allora, non diversamente da oggi, da uomini potentissimi. Il Papa Sisto IV vide in lui la persona idonea ad organizzare, come Commissario Pontificio, presso i sovrani degli Stati italiani, anche la difesa contro il gravissimo pericolo dell’avanzata dei Turchi che, nell’intento di conquistare Roma e sottomettere la cristianità, nel 1480 assalirono Otranto, trucidarono la popolazione e martirizzarono gli ottocento superstiti che avevano rifiutato di abiurare la fede cristiana.

  1. Il coraggio di fra’ Angelo.

L’ho ripensato alla luce del Messaggio inviato dal Santo Padre Francesco ai partecipanti alla 42.ma edizione del Meeting per l’amicizia tra i popoli, che in questi giorni si è celebrato a Rimini. 

Scrive il Santo Padre: «Il titolo scelto – Il coraggio di dire io –, tratto dal Diario del filosofo Kierkegaard, è quanto mai significativo nel momento in cui si tratta di ripartire con il piede giusto, per non sprecare l’occasione data dalla crisi della pandemia. “Ripartenza” è la parola d’ordine. Ma la ripartenza non si realizza automaticamente. Il coraggio di rischiare è innanzitutto un atto della libertà. La società ha necessità vitale di persone che siano presenze responsabili: persone, non individui con un “io” concentrato sui propri bisogni e i propri diritti soggettivi, ma un “io” aperto agli altri, proteso a formare il “noi” della fraternità e dell’amicizia sociale. C’è bisogno innanzitutto di qualcuno che abbia il coraggio di dire “io” con responsabilità e non con egoismo, comunicando con la sua stessa vita che si può cominciare la giornata con una speranza affidabile.

Ma il coraggio non è sempre una dote spontanea e nessuno può darselo da sé (come diceva il don Abbondio manzoniano), soprattutto in un’epoca come la nostra, nella quale la paura – rivelatrice di una profonda insicurezza esistenziale – gioca un ruolo così determinante da bloccare tante energie e slanci verso il futuro, percepito sempre più come incerto soprattutto dai giovani.

Da dove può venire, allora, il coraggio di dire io? Avviene grazie a quel fenomeno che si chiama incontro. Dal giorno in cui Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi, Dio ha dato all’uomo la possibilità di uscire dalla paura e di trovare l’energia del bene seguendo il suo Figlio, morto e risorto.

Il rapporto con Gesù Cristo dà consistenza all’io, liberandolo dalla paura e aprendolo al mondo con atteggiamento positivo. Genera una volontà di bene. “L’incontro con Cristo, il lasciarsi afferrare e guidare dal suo amore allarga l’orizzonte dell’esi­stenza, le dona una speranza solida che non delude. La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicu­ra che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità” (Enc. Lumen fidei, 53).

La ragione profonda del coraggio del cristiano è Cristo. È il Signore risorto la nostra sicurezza, che ci fa sperimentare una pace profonda anche in mezzo alle tempeste della vita. La gioia del Vangelo infonde l’audacia di percorrere nuove strade».

  1. Carissimi Fratelli e Sorelle, nella celebrazione di questa S. Messa della Festa Patronale, noi assistiamo al Battesimo ed alla Cresima che tra poco sarà amministrato a questi nostri giovani amici che entrano, attraverso questi Sacramenti, nella vita cristiana.

Mi soffermo con voi solo su un elemento del Rito: la domanda che il celebrante rivolge a chi chiede il Battesimo: “Che cosa domandi alla Chiesa di Dio?”, alla quale il candidato risponde: “La fede”. Il Celebrante prosegue: “E la fede che cosa ti dona?” Il candidato risponde: “La vita eterna”.

Ecco, carissimi, ciò che sta per accadere in questi nostri fratelli e ciò che è accaduto in noi. La fede ci è data: si tratta di crescere in essa attraverso il cammino della vita cristiana, ma ci è data nel S. Battesimo. E da questa fede riceviamo in dono la vita eterna: la vita stessa di Dio che viene ad abitare la nostra vita già ora sulla terra e apre la nostra vita terrena alle dimensioni dell’eternità, dove vivremo per sempre con Lui.

Ecco la sorgente del coraggio di fra Angelo; del coraggio che ci è chiesto oggi, nei giorni faticosi che stiamo vivendo.

Coraggio! Ripartire! Non con la banale espressione “Tutto andrà bene!”, ma con la certezza che ci viene dalla Fede e con la forza che essa ci comunica.

Buon cammino!

Sia lodato Gesù Cristo.