Omelia nel Pellegrinaggio diocesano a S. Maria di Oropa 6 Agosto 2022

06-08-2022

Omelia nel Pellegrinaggio diocesano a S. Maria di Oropa

6 Agosto 2022

Carissimi Fratelli e Sorelle, sia lodato Gesù Cristo!

1. Il Pellegrinaggio annuale della nostra Diocesi alla Casa di Maria, Regina di Oropa, venerata con diversi titoli in non pochi santuari della nostra Diocesi – e tra essi oggi vorrei ricordare, in particolare, quello di Ozegna che si appresta a celebrare i 400 anni della apparizione della Vergine Santa, il 21 giugno 1623 – è un momento grande e atteso: siamo qui a offrire alla Madre di Cristo e della Chiesa tutto ciò che abbiamo vissuto nell’anno pastorale ormai terminato e per affidare a Lei i passi che compiremo in quello che inizia, chiedendo alla Sua intercessione che sia davvero nuovo: non un altro anno, che automaticamente succede a quello passato, ma un anno che è nuovo se nuovi vogliamo diventare noi, nella consapevolezza che ciò che ci fa nuovi non sono i nostri programmi, le nostre iniziative, che pure non mancheranno, ma la fedeltà rinnovata di ognuno di noi, Pastori e Fedeli, a Gesù Cristo: fedeltà non in astratto, ma nel vivere e nell’operare, nel riconoscere a Lui il primo posto nella nostra vita di ogni giorno, nel nostro modo di pensare e di valutare la realtà; non in un vago ricordo di Lui, ma nella adesione al Signore nel vivere il nostro Battesimo, la S. Cresima che abbiamo ricevuto, l’Eucaristia celebrata nella S. Messa domenicale, il perdono dei peccati che riceviamo nel Sacramento della Confessione, i momenti della preghiera e dell’ascolto della Parola di Dio, il vivere relazioni fraterne tra noi, nelle nostre comunità, con lealtà e con la grande pazienza che esse richiedono… 

Questo rinnovamento nel vivere un vero rapporto con Gesù Cristo, che cambia il nostro cuore e il nostro sguardo, non solo riempie di valore e di senso la nostra vita personale, ma è anche il nostro contributo principale alla missione, all’annuncio del Vangelo; ed è il più grande servizio che possiamo rendere alla nostra società confusa e smarrita, annaspante spesso nel buio e nell’incertezza perché ha smarrito i saldi fondamenti addirittura del vivere umano, e proprio per questo mostra un volto triste che le maschere, con cui si cerca di coprire il volto sfigurato, non riescono a nascondere… “L’uomo nella sua umanità muore”, ammoniva san Giovanni Paolo II: “nella sua umanità”, cioè nella sua realtà di creatura umana… E i segni di questa morte sono evidenti ed impressionanti. Come un albero che secca perché gli sono tagliate le radici…     

  Nella nostra vita di cristiani, di appartenenti a Gesù Cristo, le opere, le iniziative, il fare e il darsi da fare sono necessari, ma al primo posto c’è il rapporto con Lui, l’appartenenza a Lui che ci dice: “Senza di me non potete far nulla”. I tralci portano frutto solo se rimangono nella vite, così le nostre opere sono vere se nascono da questo rapporto!

Questa concreta adesione a Cristo – a tutta la Sua Persona, alla Sua Presenza in mezzo a noi, a tutto ciò che ci ha insegnato, a tutto ciò che ha fatto e ci ha trasmesso, questa adesione che cambia la vita, si chiama, semplicemente, fede cristiana, come la troviamo delineata nella, troppo spesso dimenticata, prima enciclica del S. Padre Francesco, la “Lumen fidei”.

La fede scrive il S. Padre, citando Papa Benedetto, «è il fiducioso affidarsi a un “Tu”, che è Dio, […] che si è mostrato a noi in Cristo, ha fatto vedere il suo volto e si è fatto realmente vicino a ciascuno di noi. […] Avere fede è incontrare questo “Tu”, […] è affidarmi a Dio con l’atteggiamento del bambino, il quale sa bene che tutte le sue difficoltà, tutti i suoi problemi sono al sicuro nel “tu” della madre. Penso che dovremmo meditare più spesso, nella nostra vita quotidiana, caratterizzata da problemi e situazioni a volte drammatiche, sul fatto che credere cristianamente significa questo abbandonarmi con fiducia al senso profondo che sostiene me e il mondo, quel senso che noi non siamo in grado di darci, ma solo di ricevere come dono, e che è il fondamento su cui possiamo vivere senza paura».

Desidero dirvi, carissimi Fratelli e Sorelle, che l’inizio del mio servizio alla Diocesi eporediese – a cui sono stato inviato in modo del tutto inatteso – coincise con l’inizio dell’Anno della Fede indetto da Papa Benedetto con la Lettera Apostolica “Porta fidei”. 

Questo evento è stato per me di incomparabile luce. Ho inteso che a questo la Chiesa ci chiamava e che questo doveva essere il mio fondamentale programma: non chissà quali iniziative nei vari campi del vivere diocesano, ma animare con la Parola e con i Sacramenti, una rinnovata consapevolezza che a fondamento di tutto sta la nostra adesione a Cristo, il nostro incontro con Lui, la nostra “trasfigurazione” che non è uno strepitoso evento, come quello a cui gli Apostoli assistettero sul Tabor, ma il frutto di un cammino di conversione, un cammino quotidiano in  cui anche i nostri peccati vengono perdonati e noi, poco a poco, sperimentiamo quello che ogni giorno diciamo nella S. Messa, dopo il Padre nostro: “sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento”. 

2. A questa luce non ho mai mancato di sottolineare, fin dall’inizio del mio servizio, il valore e l’importanza della S. Liturgia, in piena sintonia con il Concilio Vaticano II che insegna: «in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado» (S.C.7). «È il culmine verso cui l’azione della Chiesa tende ed è, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. Il lavoro apostolico, infatti, è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore» (S.C.10). La liturgia «è la prima e per di più necessaria sorgente dalla quale i fedeli possano attingere uno spirito veramente cristiano» (S.C.14). 

Abbiamo dedicato gli ultimi tre anni pastorali a riflettere sulla SS.ma Eucarestia celebrata nella S. Messa per cogliere da essa tutta la fondamentale impostazione del vivere cristiano dei singoli e della vita comunitaria. 

L’epidemia ha funestato questo cammino, ma non l’ha impedito. Anche la triste sospensione, per alcuni mesi, della partecipazione dei fedeli “in presenza” alla S. Messa – la S. Messa che comunque sempre c’è stata – è stata dolorosamente l’occasione per cogliere l’essenzialità della partecipazione cosciente al Sacrificio di Cristo reso presente nella celebrazione eucaristica.

3. Lo scorso anno, il nostro programma (“Eucarestia: dalla celebrazione alla testimonianza: la nuova evangelizzazione e l’impegno di testimonianza nella carità”) si è inserito nel “cammino sinodale” indetto dal Sommo Pontefice per tutta la Chiesa e che ha visto la partecipazione di non poche comunità parrocchiali della nostra Diocesi agli incontri in cui siamo stati chiamati a “narrare” la vita delle comunità stesse, il positivo e il problematico di esse… Un buon numero di relazioni sono giunte al Vescovo attraverso il “Gruppo di coordinamento” (che ringrazio per il buon lavoro compiuto e per la ricca e chiara sintesi presentata e trasmessa alla Conferenza Episcopale Italiana). 

Sulla base di questa relazione – che sarà oggetto di riflessione e di confronto in una Assemblea diocesana nei prossimi mesi – proseguirà il “cammino sinodale” secondo le indicazioni date dalla S. Sede e dalla Conferenza Episcopale.

4. Ora, carissimi Fratelli e Sorelle, sotto lo sguardo della Madre di Dio e della Chiesa, la grazia che chiediamo è che questo “cammino” realizzi davvero lo scopo per cui è stato indetto: attraverso un sincero e fraterno confronto, un dialogo leale e fruttuoso, attenti anche ad evitare – come ci ha indicato la Sede Apostolica nel Vademecum offertoci, che cito testualmente – «le insidie che potrebbero ostacolare il nostro procedere durante questo tempo di sinodalità”: 1) La tentazione di  voler guidare le cose di testa nostra invece di lasciarci guidare da Dio. La sinodalità non è un esercizio strategico corporativo. È piuttosto un processo spirituale guidato dallo Spirito Santo. Possiamo essere tentati di dimenticare che siamo pellegrini e servitori sul cammino tracciato da Dio per noi. I nostri umili sforzi in termini di organizzazione e coordinamento sono al servizio di Dio che ci guida sul nostro cammino. Siamo argilla nelle mani del vasaio divino (Isaia 64:8).  2) La tentazione di concentrarci su noi stessi e sulle nostre preoccupazioni immediate.  3) La tentazione di vedere solo “problemi”. 4) La tentazione di concentrarsi solo sulle strutture. 5) La tentazione di non guardare oltre i confini visibili della Chiesa».

5. Buon cammino, Santa Chiesa di Dio pellegrina a Ivrea!

Veni Sancte Spiritus, veni per Mariam!

Sia lodato Gesù Cristo!