Omelia della S. Messa con Rito di Ammissione del seminarista Alessandro Masseroni Ivrea, Chiesa Cattedrale, 5 Settembre 2021

05-09-2021

Carissimi Fratelli e Sorelle, Sia lodato Gesù Cristo!

  1. Stiamo vivendo, in questa S. Messa domenicale, il momento più alto della nostra vita di discepoli del Signore, e vogliamo parteciparvi rinnovando ogni volta la convinzione che essa «è la fonte – come la Chiesa ci insegna in Sc. Concilium (14) – da cui promana tutta l’energia; la prima e per di più necessaria sorgente dalla quale i fedeli possono attingere uno spirito veramente cristiano».

Per questo è significativo che la Ammissione di un giovane seminarista a proseguire il cammino già iniziato verso l’Ordinazione sacerdotale sia compiuta durante la celebrazione della S. Messa.

La Ammissione richiama a te, Alessandro, e a tutti noi una verità bella e feconda: non siamo noi che prendiamo l’iniziativa nei confronti di D, ma siamo ammessi! È Dio che, nella Sua bontà, nel Suo Amore, ci chiama e ci introduce. Lo diremo fra poco anche nella Preghiera Eucaristica: «Ti rendiamo grazie, o Padre, per averci resi degni di stare alla tua presenza». L’amore di Dio per noi precede e fonda anche il nostro povero atto di amore, la nostra volontà di seguirlo e di servirlo, di vivere da veri discepoli la vocazione che ad ognuno ha dato, ogni chiamata di Dio: al Sacerdozio, come al Matrimonio o alla vita consacrata; e, più a fondo ancora, quella al Battesimo, ad essere cristiani, ad appartenere a Lui in una comunione che è partecipazione della Sua stessa vita.

Coltivare nella preghiera la memoria di questo fatto fondamentale e richiamarcela nel corso delle nostre azioni ci rende davvero “Christifideles” e ci dona la grazia di compiere la volontà di Dio nelle circostanze che si presentano, liete o faticose.

La Ammissione, carissimo Alessandro, apre la seconda fase del tuo cammino, nella quale sei chiamato a coltivare con maggior intensità la vita spirituale e la dedizione al servizio della Comunità cristiana: è a servire, infatti, che il Signore chiama: “Non sono venuto ad essere servito, ma a servire” dice il Signore Gesù. “Ministero”, servizio, è detta ogni azione che siamo chiamati a compiere; “ministri”, servitori, il termine che designa tutti coloro che nella Chiesa ricevono un compito.

Vivi questa fase di preparazione con intensità, nell’umile consapevolezza che è dono di Dio anche l’impegno che il cammino verso il Sacerdozio ti chiederà, segnato dallo studio della Sacra Teologia, che non può essere disgiunto dall’impegno di assimilare la Dottrina, e di conformarti a Cristo!

La Chiesa ci ha fatto pregare, poco fa: «O Padre, che ci hai liberati dal peccato e ci hai donato la dignità di figli adottivi, guarda con benevolenza la tua famiglia, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l’eredità eterna». La vera libertà è quella che nasce dalla nostra adesione a Cristo, dalla comunione con Lui vissuta nella Chiesa dove accogliamo la Sua Parola, dove i Sacramenti ci portano la salvezza che Egli ci offre e dove impariamo a vivere in quella carità che è la volontà di donarci reciprocamente, di fare della nostra vita un dono. L’eredità eterna è la gioia, la pace che saranno piene e definitive oltre i confini di questa vita terrena, ma che fin d’ora possiamo pregustare nella misura in cui viviamo la fede e ci orientiamo verso la meta vera della nostra esistenza, come discepoli che vogliono imparare da Lui, che non mettono al centro se stessi, il loro punto di vista, ma attingono dal Signore il modo di pensare e di agire.

  1. Così – e solo così – si entra in una giovinezza che è davvero un nuovo inizio. E si sperimenta quel coraggio di cui ci ha parlato il Signore, nella I Lettura (Is 35,4-7): «Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio. Egli viene a salvarvi. Si apriranno gli occhi dei ciechi e gli orecchi d sordi; lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. Il suolo riarso si muterà in sorgenti d’acqua».

Abbiamo bisogno, Fratelli e Sorelle, tutti quanti, di riaccogliere questo annuncio e questa proposta in un tempo in cui, per i motivi che conosciamo, stanchezza, ansia, sfiducia, mancanza di coraggio sono diffusi…  In una lettera che pochi giorni fa ho inviato ai Sacerdoti ho riproposto una parola di s. Teresa di Calcutta: «Finché gridiamo: “è buio, è buio!” non si accende la luce. Accendila tu!».

Ripresa è una parola ricorrente in vari ambiti della società, e anche nella Chiesa risuona come un invito. A nessuno però sfugge – nella situazione che l’epidemia ha prodotto e di fronte alle crepe che ha svelato, già presenti sottotraccia da molto tempo – che sono indispensabili dei profondi cambiamenti, i quali necessitano di grande coraggio: quello di cui ha parlato recentemente Papa Francesco dicendo: «La ripartenza non si realizza automaticamente. Occorre il coraggio di rischiare, di dire “io” con responsabilità. Da dove può venire il coraggio? La ragione profonda del coraggio del cristiano è Cristo. La gioia del Vangelo infonde l’audacia di percorrere nuove strade».

  1. Nel Vangelo (Mc 7,31-37) c’è oggi una parola pronunciata da Gesù con forza su un sordomuto: «Effatà” cioè: “Apriti!”».

È il miracolo che chiediamo al Signore per noi, per le nostre Comunità, per l’intera nostra Diocesi.

La nostra società è carica di tensioni; non è da cercare, la radice di questa situazione, nell’abbandono di Dio da parte dell’uomo? La nostra società è stanca e sfiduciata, vecchia anche per la mancanza di figli, perché le manca la giovinezza dello spirito… Anche le comunità parrocchiali si mostrano spesso affaticate e stanche: non sarà perché non guardano sufficientemente al Signore, concentrate più su se stesse che su Gesù Cristo?

Mentre l’annuncio di Cristo deve continuare doverosamente a rivolgersi a chi ancora partecipa alla vita della comunità cristiana, assume una particolare urgenza specialmente nei confronti di chi dalla comunità è lontano; non ci si può nascondere che “vicini” e “lontani” vivono oggi in un contesto segnato da «una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone» scriveva Papa Benedetto, all’inizio dell’Anno della Fede che si apriva nei primi giorni del mio ministero qui, in Ivrea (Porta fidei, 2); e occorre rinsaldare la convinzione che il Santo Padre Francesco richiamava in Evangelii gaudium (266): «non è la stessa cosa conoscere Gesù o non conoscerlo, camminare con Lui o camminare a tentoni, non è la stessa cosa poterlo ascoltare o ignorare la sua Parola, poterlo contemplare, adorare, riposare in Lui, o non poterlo fare. Se uno non lo scopre presente nel cuore stesso dell’impresa, presto gli manca la forza e la passione».

La missione ha bisogno di annunciatori profondamente rinnovati nella vita spirituale e capaci anche di modalità nuove nell’annuncio; ha bisogno di comunità in relazione alle quali si possa dire: “Vieni e vedi”.

Si tratta di testimoniare la Presenza salvifica del Signore mediante una vita di comunione fraterna all’interno delle nostre comunità, nella rinnovata consapevolezza che chi parte da “lontano” per “vedere Gesù”, non lo incontra in astratto, ma nella vita di discepoli che mostrano il volto vero del cristiano attraverso la comunione con Lui e tra loro: uomini e donne che conoscono, come tutti, difficoltà e debolezze, fatiche e gioie, ma che hanno in Cristo la fonte della loro vita e si impegnano a conformarsi a Lui in 1 cammino di incessante conversione; persone che diventano più vere e attrattive perché più autenticamente umane, in una sincera donazione di sé, nella lealtà di un confronto onesto; costruttori di comunione dentro a comunità che spesso conoscono egoismi ed egocentrismi, talora neppur troppo mascherati, atteggiamenti possessivi, abitudine di indagare senza amore nella vita dei fratelli. C’è bisogno di carità vera: quella che cantiamo in un noto inno, se lo accogliamo nel suo testo originale: “Ubi caritas est vera Deus ibi est”.

Buon cammino, carissimo Alessandro,

e buon cammino a tutti noi!

Sia lodato Gesù Cristo!