Lettera pastorale 21/22

Al Clero, ai Religiosi e ai Laici

Lettera Pastorale per il 2021-2022

Solennità dell’Assunzione della B. V. M.

Patrona della Diocesi

 

Carissimi Fratelli e Sorelle, sia lodato Gesù Cristo!

1. Il nostro cammino triennale

Siamo alla terza tappa di un cammino di cui la situazione epidemica ha reso difficoltosa la piena attuazione, senza però impedire, a chi lo ha voluto, di compiere passi significativi di riflessione e di impegno.

Nell’anno pastorale 2019-2020, il più funestato dalla epidemia, ci siamo soffermati in relazione a “Eucaristia: convocati alla presenza del Signore”, sulla vocazione: la “chiamata” ai ministeri ordinati, ma anche a tutte le altre che il Signore invia all’interno e al servizio del Suo popolo.

Nel 2020-2021, che ha visto nelle nostre comunità una ancor ridotta ma consolante ripresa di alcune delle attività pastorali, abbiamo preso in considerazione il tema “Eucaristia: Parola e Pane di vita. La Parola al centro della catechesi e liturgia; il pane spezzato nella condivisione con i più poveri”. Non sono mancate, per chi ha voluto o potuto aderirvi, anche iniziative di formazione, nell’ambito della catechesi soprattutto.

La tappa di quest’anno – “Eucarestia: dalla celebrazione alla testimonianza. Tema: la nuova evangelizzazione e l’impegno di testimonianza nella carità” – ci auguriamo possa essere vissuta in una situazione sanitaria che continui a migliorare, mentre chiediamo al Signore che si ravvivi e cresca in noi la convinzione che «non è possibile che si formi una comunità cristiana se non avendo come radice e come cardine la celebrazione dell’Eucaristia, dalla quale deve quindi prendere le mosse qualsiasi educazione tendente a formare lo spirito di comunità» (Concilio Vaticano II, P.O., 6).

2. Il “cammino sinodale”

All’impegno previsto dal nostro programma diocesano si aggiunge, quest’anno, quello che la Sede Apostolica ha chiesto a tutta la Chiesa e che la Conferenza Episcopale Italiana ha fatto suo per la Chiesa che è in Italia: un “cammino sinodale” che coinvolgerà dunque anche la nostra Diocesi e ci offrirà l’occasione di una ripresa, di uno “scatto” di vitalità, di cui le nostre comunità hanno bisogno.

“Cammino sinodale” significa “camminare insieme”. Rifletteremo sul valore della “sinodalità” e sulle modalità del viverla realmente, tenendo presente che “insieme si cammina” per raggiungere una meta. E quella evidenziata dal nostro programma pastorale non esula affatto dalla grande meta.

a) “Nuova evangelizzazione”.

L’annuncio di Gesù Cristo, irrinunciabile missione della Chiesa, continua doverosamente a rivolgersi a chi ancora partecipa alla vita della comunità cristiana, ma assume una particolare urgenza specialmente nei confronti di chi dalla comunità è lontano; non ci si può nascondere che “vicini” e “lontani” vivono oggi in un contesto segnato da «una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone; se nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società» (Benedetto XVI, Porta fidei, 2); e occorre rinsaldare la convinzione che «non è la stessa cosa conoscere Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni, non è la stessa cosa poterlo ascoltare o ignorare la sua Parola, non è la stessa cosa poterlo contemplare, adorare, riposare in Lui, o non poterlo fare. Se uno non lo scopre presente nel cuore stesso dell’impresa, presto gli manca la forza e la passione» (Papa Francesco, Evangelii gaudium, 266).

La missione ha bisogno di annunciatori profondamente rinnovati nella vita spirituale e capaci anche di modalità nuove nell’annuncio; ha bisogno di comunità in relazione alle quali si possa dire: “Vieni e vedi”.

Delineando nella Evangelii gaudium la fisionomia della “Chiesa in uscita” (di cui spesso si parla) il Santo Padre Francesco ha detto: si tratta di «uscire dalla propria comodità e aver il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo» (E.G.20); di «abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così” per essere audaci e creativi nel ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi della propria comunità (33).  «Uscire non vuol dire correre verso il mondo senza una direzione e senza senso. Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da parte l’ansietà per guardare negli occhi e ascoltare, rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada… Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita» (46). Occorre evitare «una preoccupazione esagerata per gli spazi personali di autonomia e di distensione»; occorre che «la vita spirituale non si confonda con alcuni momenti religiosi che offrono un certo sollievo ma non alimentano l’incontro con gli altri». «Tre mali che si alimentano l’uno con l’altro sono una accentuazione dell’individualismo, una crisi d’identità e un calo del fervore» (78); e con essi «un relativismo pratico, uno stile di vita che porta ad attaccarsi a sicurezze economiche, o a spazi di potere e di gloria umana, invece di dare la vita per gli altri nella missione» (80). «Il problema non sempre è l’eccesso di attività, ma sono le attività vissute male, senza le motivazioni adeguate, senza una spiritualità che permei l’azione e la renda desiderabile. Da qui deriva che i doveri stanchino più di quanto sia ragionevole…Una fatica tesa, pesante, insoddisfatta e, in definitiva, non accettata. Questa accidia pastorale può avere diverse origini» (82): la più grande minaccia è «il grigio pragmatismo della vita quotidiana, nella quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nella meschinità» (83); «una delle tentazioni più serie che soffocano il fervore e l’audacia è il senso di sconfitta, che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura» (85). È evidente che in alcuni luoghi si è prodotta una “desertificazione” spirituale, frutto del progetto di società che vogliono costruirsi senza Dio o che distruggono le loro radici cristiane. Ma nel deserto si torna a scoprire il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso manifestati in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indichino la via verso la Terra promessa e così tengono viva la speranza» (86).

b) “Impegno di testimonianza nella carità

Si tratta di testimoniare la Presenza salvifica del Signore mediante una vita di comunione fraterna all’interno delle nostre comunità, nella rinnovata consapevolezza che chi parte da “lontano” per “vedere Gesù”, non lo incontra in astratto, ma nella vita di discepoli che mostrano il volto vero del cristiano attraverso la comunione con Lui e tra loro: uomini e donne che conoscono, come tutti, difficoltà e debolezze, fatiche e gioie, ma che hanno in Cristo la fonte della loro vita e si impegnano a conformarsi a Lui in un cammino di incessante conversione; persone che diventano più vere e attrattive perché più autenticamente umane, nella donazione di sé, nella lealtà, nel confronto sincero; costruttori di comunione dentro a comunità che spesso conoscono egoismi ed egocentrismi, talora neppur troppo mascherati, atteggiamenti possessivi, abitudine di indagare senza amore nella vita dei fratelli, di cogliere la pagliuzza nell’occhio dell’altro senza badare alla trave che è nell’occhio nostro, chiacchiere, pettegolezzi, chiusure della mente e del cuore, cedimenti allo “spirito del mondo”, alla mondanità, che non si manifesta solo in forme esteriori, ma è una radice che cresce dentro, nel profondo di noi, se non ci impegniamo ad estirparla.

C’è bisogno di carità vera: quella che cantiamo in un noto inno, se lo accogliamo nel suo testo originale: “Ubi caritas est vera Deus ibi est”. È la carità vera a generare la concordia che non è uniformità in ciò che è opinabile, ma la volontà di raggiungere insieme, pur partendo da punti di vista anche diversi, ciò che il discepolo di Cristo, alla luce del Vangelo, deve volere. Sincera accoglienza dell’altro e dialogo fraterno sono la base della “sinodalità” su cui, nelle nostre comunità, siamo chiamati a riflettere e nella quale siamo chiamati a crescere.

È quanto sono andato sottolineando più volte in questi anni, e che ho rimarcato soprattutto nell’Anno Santo della Misericordia (2015-16), per il quale il Santo Padre Francesco indicava, tra gli impegni doverosi: «Non giudicare e non condannare significa, in positivo, saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra presunzione di sapere tutto. Ma questo non è ancora sufficiente per esprimere la misericordia. Gesù chiede anche di perdonare e di donare» (Misericordiae vultus, 14).

Rimane tra le nostre mani, in tutto il suo valore, anche per il “cammino sinodale”, l’Istruzione “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa” (20.07.2020), dove si legge, tra l’altro: le comunità parrocchiali (ma vale per tutte le comunità) sono «chiamate oggi ad essere sempre di più centri propulsori dell’incontro con Cristo. Per questo, il Santo Padre Francesco ha suggerito: “Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: Voi stessi date loro da mangiare (Mc 6,37)”. Occorre che nelle comunità cristiane si attui una decisa scelta missionaria, capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato alla evangelizzazione del mondo attuale, più che all’autopreservazione. Nelle trasformazioni in atto, nonostante il generoso impegno, la parrocchia talora non riesce a corrispondere adeguatamente alle tante aspettative dei fedeli, specialmente considerando le molteplici tipologie di comunità. [….] Inoltre, la mera ripetizione di attività senza incidenza nella vita delle persone concrete, rimane uno sterile tentativo di sopravvivenza, spesso accolto dall’indifferenza generale. Se non vive del dinamismo spirituale proprio dell’evangelizzazione, la parrocchia corre il rischio di divenire autoreferenziale e di sclerotizzarsi, proponendo esperienze ormai prive di sapore evangelico e di mordente missionario, magari destinate solo a piccoli gruppi. Il rinnovamento dell’evangelizzazione richiede nuove attenzioni e proposte pastorali diversificate, perché la Parola di Dio e la vita sacramentale possano raggiungere tutti, in maniera coerente con lo stato di vita di ciascuno. […] In ragione di quanto detto sin qui, occorre individuare prospettive che permettano di rinnovare in chiave missionaria le strutture parrocchiali “tradizionali”. È questo il cuore della desiderata conversione pastorale, che deve toccare l’annuncio della Parola di Dio, la vita sacramentale e la testimonianza della carità, ovvero gli ambiti essenziali nei quali la parrocchia cresce e si conforma al Mistero in cui crede. Ma la conversione delle strutture, che la parrocchia deve proporsi, richiede “a monte” un cambiamento di mentalità e un rinnovamento interiore, soprattutto di quanti sono chiamati alla responsabilità della guida pastorale».

3. Attuazione e svolgimento del “cammino sinodale”

Nella riunione dei Vicari Generale, Episcopali e Foranei (24 giugno scorso) e poi in quella del 15 luglio ho tenuto a sottolineare quanto la “Nota” della S. Sede evidenzia: «rendere possibile l’ascolto reale del Popolo di Dio e garantire la partecipazione di tutti al processo sinodale» attraverso l’«ascolto della totalità dei battezzati».

Poiché ritengo che tali elementi siano fondamentali, farò in modo che non vengano trascurati a favore di altre modalità di consultazione.

a) La consultazione coinvolgerà, dunque, nelle forme che si giudicheranno idonee e possibili, tutte le comunità cristiane della diocesi, che invito fin d’ora a mettere ogni impegno affinché i pareri e le considerazioni emerse al loro interno non siano solo il prodotto di “esperti” e di “rappresentanti” – quelli che normalmente mostrano interesse per tali cose e ne parlano – ma espressione anche di quei battezzati che normalmente sono poco inclini a far sentire la loro voce, talora intimiditi dalle capacità espressive di chi sa parlare. Ha affermato, infatti, il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana: si tratta di «mettere in campo percorsi sinodali capaci di dare voce ai vissuti e alle peculiarità delle nostre comunità ecclesiali, contribuendo a far maturare, pur nella multiformità degli scenari, volti di Chiesa nei quali sono rintracciabili i tratti di un Noi ricco di storia e di storie, di esperienze e di competenze, di vissuti plurali dei credenti, di carismi e ministeri, di ricchezze e di povertà» (Relazione alla Assemblea generale della CEI, Roma 25–5-2021).

b) I temi della consultazione saranno quelli che la Sede Apostolica indicherà: «La Segreteria Generale del Sinodo – si legge nella “Nota” – invierà un Documento preparatorio, accompagnato da un Questionario e da un Vademecumcon proposte per realizzare la consultazione in ciascuna diocesi».

c) L’apertura del Sinodo dei Vescovi «avrà luogo tanto in Vaticano quanto in ciascuna diocesi. Il cammino sarà inaugurato dal Santo Padre in Vaticano il 9-10 ottobre. Con le medesime modalità, domenica 17 ottobre, si aprirà nelle diocesi, sotto la presidenza del rispettivo vescovo».

d) Le indicazioni fornite dalla citata “Nota” per la fase diocesana (ottobre 2021–aprile 2022) sono le seguenti:

«Ogni vescovo nominerà (prima di ottobre 2021) un responsabile (eventualmente un’equipe) diocesano della consultazione sinodale, che possa fungere da punto di riferimento e di collegamento con la Conferenza Episcopale e che accompagni la consultazione nella Chiesa particolare in tutti i suoi passi. La consultazione nelle diocesi si svolgerà attraverso gli organi di partecipazione previsti dal diritto, senza escludere le altre modalità che si giudichino opportune perché la consultazione stessa sia reale ed efficace (cfr. Episcopalis Communio, 6). La consultazione del Popolo di Dio in ciascuna diocesi si concluderà con una Riunione pre-sinodale, che sarà il momento culminante del discernimento diocesano. Dopo la chiusura della fase diocesana, ogni diocesi invierà i suoi contributi alla Conferenza Episcopale entro la data stabilita dalla propria Conferenza episcopale».

4. Carissimi Fratelli e Sorelle, la celebrazione della S. Eucarestia è la fonte della forza per vivere un cammino di crescita e di autenticità nelle nostre comunità; ma, con i gesti, le parole, gli atti che in essa sono chiesti, offre pure il modello per l’attuazione di tale impegno. Per questo abbiamo iniziato il cammino del triennio con la proposta di meditare le Catechesi di Papa Francesco sull’Eucarestia celebrata e adorata e vissuta. Confido che continui quanto a tale proposito si è fatto.

In questo anno pastorale, che, fino all’8 dicembre, continuerà ad essere specialmente dedicato a san Giuseppe, affido alla sua intercessione potentissima e a quella di Maria sua Vergine Sposa, il “cammino sinodale” della nostra diocesi.

Nel Cuore di Cristo e nel Cuore Immacolato della Madre della Chiesa, con la più cordiale Benedizione

+ Edoardo, vescovo

16-09-2021