Lettera pastorale 2019/2020

Nella solennità della Assunzione
della B. V. Maria, 2019

Carissimi Fratelli e Sorelle,

iniziando l’ottavo anno del mio servizio in questa Chiesa, ripenso al cammino che mi sono proposto – come desiderio e come impegno – fin dal momento in cui vi ho scritto per la prima volta, quando Papa Benedetto XVI mi inviò qui, sulla soglia dell’“Anno della fede”: «Ciò in cui desidero crescere, anche come Vescovo, è la mia amicizia con Gesù Cristo: “l’intima amicizia con Gesù da cui tutto dipende”, come scrive stupendamente il Santo Padre nella Premessa al Suo libro “Gesù di Nazaret”; ciò a cui tengo maggiormente e che desidero servire è la vostra amicizia con Cristo; ciò di cui sono certo è che nell’amicizia personale di ognuno di noi con Cristo crescerà anche la nostra reciproca amicizia di discepoli del Signore, nella quale vedo realizzarsi la paternità che sono mandato ad esercitare nei vostri confronti e la filialità che la Santa Chiesa chiede a voi nei confronti del Vescovo. Che Gesù Cristo diventi sempre più il centro della nostra vita; che la nostra esistenza sia trasformata dalla Sua gloria che è la Sua presenza amata ed accolta; che a Ivrea sia da noi vissuta la vita nuova che avrà la sua pienezza nella Casa luminosa e bellissima del Padre».

E’ stata questa convinzione di base, oggi ancora più salda, a suggerirmi la proposta che di anno in anno ho cercato di presentare nella Lettera Pastorale.

I

Nella prima (2013-14) – «Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura» (Gv. 4,35) – indicai «l’impegno di rispondere alle esigenze della “nuova evangelizzazione” a cui la Chiesa ci chiama e che insistente risuona anche nell’invito del Santo Padre Francesco a “uscire da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa di Dio”». «Levare gli occhi – scrivevo – con un atto di fede, fondata sulla Parola di Colui che, lungo la storia e nelle sue svolte, è e rimane il Signore; con la speranza, virtù teologale, senza la quale si rimane ingabbiati nelle difficoltà e nelle delusioni; con la carità che ci spinge ad andare incontro a tutti, e ci trattiene, tra l’altro, dal lasciarci prendere troppo da questioni interne a cui, magari con le migliori intenzioni, si dedica maggior attenzione che all’impegno di portare l’annuncio di Gesù Cristo a chi è fuori… Questioni, peraltro, verso le quali ho dovuto spesso constatare scarso interesse in chi è “lontano” davvero ed è, semmai, alla ricerca di annunci che “riscaldino il cuore”, come ha detto Papa Francesco». In vista di questa missione – da vivere nella normale attività delle nostre giornate, nei semplici incontri quotidiani che la vita ci offre: non ho mai creduto troppo negli eventi straordinari – sottolineai l’importanza della formazione ed ho proposto l’impegno di attivare o di potenziare, là dove c’è, la Catechesi degli adulti «con modalità nuove se quelle tradizionali risultano per vari motivi inadeguate alla situazione del nostro tempo; tenendo nella dovuta considerazione il “Catechismo della Chiesa Cattolica”, la cui ricchezza di riferimenti alla Parola di Dio, alla spiritualità cristiana, all’insegnamento del Concilio Vaticano II e del Magistero rende il testo particolarmente prezioso». Così pure la formazione, alla luce della fede e della ragione, sui grandi problemi che agitano la società, in particolare nell’ambito della questione antropologica: «Il contributo dei cristiani – diceva Papa Benedetto – è decisivo solo se l’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà. Spetta ai fedeli laici, educati ad essere discepoli di Cristo e testimoni della sua presenza, mostrare concretamente nella vita personale e familiare, nella vita sociale, culturale e politica, che la fede permette di leggere in modo nuovo e profondo la realtà e di trasformarla».

In sostanziale continuità con la prima, la Lettera del 2014-15 sottolineava che la missione, necessaria e urgente, deve fondarsi su un forte rinnovamento spirituale, che renda possibile anche nelle comunità cristiane la «conversione pastorale in senso missionario», indicata dal Santo Padre Francesco nella “Evangelii gaudium”, dove si legge: «La nuova evangelizzazione chiama tutti e si realizza fondamentalmente in tre ambiti. In primo luogo, l’ambito della pastorale ordinaria: i fedeli che regolarmente frequentano la Comunità e che si riuniscono nel giorno del Signore per nutrirsi della sua Parola e del Pane di vita eterna. E i fedeli che conservano una fede cattolica intensa e sincera, esprimendola in diversi modi, benché non partecipino frequentemente al culto. In secondo luogo, l’ambito delle persone che non hanno un’appartenenza cordiale alla Chiesa e non sperimentano più la consolazione della fede. Infine, coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato. Molti di loro cercano Dio segretamente, mossi dalla nostalgia del suo volto, anche in paesi di antica tradizione cristiana. Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno (E.G.14). Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno (E.G.25). Ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore; ugualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica. Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza “fedeltà della Chiesa alla propria vocazione”, qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo (E.G.26). Le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. Come diceva Giovanni Paolo II, “ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale” (E.G. 27)».

Per l’anno 2015-16 la terza Lettera Pastorale invitava a vivere nella stessa ottica il Giubileo Straordinario-Anno Santo della Misericordia indetto per il 50° della conclusione del Concilio Vaticano II. Delle indicazioni che, attingendo alla Bolla Papale, diedi alla comunità diocesana per l’anno del Giubileo sottolineo solo queste tre:

1. «Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. La misericordia, dunque, ha un volto, un nome; è una Persona. Gesù Cristo “è quanto di più caro abbiamo nel cristianesimo: lui solo e tutto ciò che da lui ci viene, poiché noi sappiamo che in lui abita corporalmente la pienezza della divinità”. Da Lui, vivente nella Chiesa, occorre accoglierla; a Lui occorre riferirsi per intenderla rettamente e per apprendere ad esercitarla a nostra volta. Ripartire da Cristo, Redentore dell’uomo, da «tutto ciò che da lui ci viene», è dunque il compito di sempre, particolarmente urgente nel nostro tempo».

2. Il Concilio Ecumenico Vaticano II: «L’impegno che chiedo a singoli e comunità è di rileggere i testi conciliari: almeno le Costituzioni “Sacrosanctum Concilium”, “Lumen Gentium”, “Dei Verbum”, “Gaudium et Spes”. Rileggerli innanzitutto,senza dare per scontato che li conosciamo. E interrogarci coraggiosamente su quanto, come, con quanta fedeltà tutto il loro ricco insegnamento sia stato recepito ed attuato, per valutare serenamente i risultati delle nostre applicazioni dei testi conciliari. C’è il pericolo, infatti – da cui nessuno è esente – di chiudersi nelle proprie convinzioni quando esse, invece, devono essere condivise in un dialogo sincero che comporta l’apertura della mente e del cuore, l’ascolto dell’altro, l’accoglienza degli altri come fratelli, ancorché diversi, la volontà di camminare insieme nella fedeltà a Cristo e alla Chiesa dentro ai cambiamenti evidenti che nel corso di cinquant’anni – la storia di almeno due generazioni – sono avvenuti in tanti ambiti e soprattutto in quello culturale, nella mentalità e nella sensibilità con cui si guarda la realtà, nella diversità con cui il mondo giovanile si presenta rispetto ai giovani delle passate generazioni. Occorre il coraggio di parlarsi guardandosi in faccia, di confrontarsi senza asprezza di atteggiamenti e di parole; nella disponibilità a cogliere le motivazioni, l’esperienza, la visione dell’altro».

3. Le opere di misericordia spirituale e corporale: ho sottolineato, riguardo alla spirituale, «l’impegno, che ad ognuno spetta, di contribuire a costruire comunità capaci di vivere la comunione pur nella diversità dei gusti e delle sensibilità e nella difficoltà che l’impresa comporta e che il peccato di ognuno acuisce; non luoghi di contrapposizioni generate da invidie e gelosie, da arroganza e chiacchiere malevole, dalla difesa di piccoli, ridicoli “poteri”, ma comunità in cui si manifesti la novità della vita cristiana che prende corpo nel cammino di conversione». E riguardo alla corporale, «la collaborazione nel portare avanti, con uno sguardo attento alle nuove povertà che caratterizzano l’oggi, le numerose iniziative già esistenti nella nostra Diocesi». Ed ho chiesto, come impegno dell’Anno della misericordia, di «organizzare – dove ancora non c’è – la Caritas locale, in sinergia con quella diocesana».

L’anno 2016-17 ha visto l’inizio della Visita Pastorale che ho presentato (e sto proseguendo) «anzitutto come visita alle persone, nel desiderio è di avvicinarne quante più è possibile, non solo negli incontri specificamente programmati» La Visita è alle singole Parrocchie «considerate però non isolatamente, ma nel contesto della Vicaria foranea cui appartengono: con l’intento di rafforzare la comunione e la collaborazione tra le comunità cristiane di un determinato territorio, nella convinzione che l’amore per la propria comunità si realizza assumendo gli impegni che l’appartenenza comporta, ma esclude ogni cedimento a banali “campanilismi” quasi mai esenti anche da egoistiche pretese di comodità e chiusure della mente e del cuore».

Nell’anno pastorale 2017-18, in occasione del Sinodo dei Vescovi su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, ho chiesto a tutti, nell’ambito della missione, un particolare impegno: «Camminare con loro, accompagnarli, uscire dai propri schemi preconfezionati incontrandoli lì dove sono, adeguandosi ai loro tempi e ai loro ritmi; prenderli sul serio nella loro fatica a decifrare la realtà in cui vivono» (Documento preparatorio del Sinodo). «Le riflessioni possibili e doverose – scrivevo – sono tante. Mi limito ad accennare a qualcuna.

a) La cura pastorale dei giovani è come la cura dei figli nella famiglia: prioritaria rispetto ad altre, perché indispensabile. Di essa “è responsabile tutta la comunità” afferma il documento: tutti ne siamo coinvolti, ognuno per la sua parte. Ma occorre anche ribadire la convinzione che l’opera formativa – oggi più che mai – non si compie unicamente nello spazio ristretto dell’ambiente di “casa”: di una singola comunità, tanto più se piccola e povera di forze. E’ necessario aprirsi alla collaborazione con altri, superando il desiderio di vedere subito realizzati particolari e immediati interessi. Ciò che conta è la crescita autentica dei figli, e le forme di “campanilismo”, in questo come in altri settori, mostrano la loro inefficacia non solo nell’educare all’amore per la propria comunità, ma nel conseguire ciò che è primario: la formazione dei giovani. Tutti abbiamo qualcosa da dare e da ricevere.

b) Una seconda considerazione ci porta a riflettere su una realtà che è sotto gli occhi di tutti: il mondo giovanile è costituito da una minoranza che frequenta le nostre Parrocchie: nei confronti di essi siamo chiamati ad un’opera formativa che li metta in grado di “offrire il contributo della loro creatività, accogliendo le loro idee anche quando appaiono provocatorie” (cfr. Documento). La grande maggioranza è costituita da quelli che si sono allontanati dopo aver ricevuto i Sacramenti della iniziazione cristiana, o che neppure ne hanno percorso tutto il cammino, e sempre più spesso anche da chi neppure l’ha iniziato. E’ sterile lamentare la situazione. Ciò che ci è espressamente chiesto è una rinnovata passione apostolica nell’andarli a cercare e incontrarli lì dove sono. Impresa non facile, che richiede coraggio e preparazione. Ma è la missione di sempre: accompagnare a scoprire il senso della vita nel rapporto con Cristo, non edulcorandolo in deboli proposte, ma proponendolo come l’esperienza di un “di più”.

Il mondo interiore di tanti giovani, ad un primo sguardo, può apparire povero, dominato da interessi di poco conto, appiattito sulle dimensioni dell’effimero e del banale. Ponendosi in ascolto e parlando con essi, si constata invece che non è assente, spesso, la ricerca di Dio. Pur distratti dalle mille contraddizioni del contesto culturale, con il suo clima individualistico e segnato da forte emotività, i giovani non cessano di porsi le più fondamentali domande sul senso della vita; chiedono, soprattutto – e talvolta in modo drammatico – che si ponga ad essi attenzione.

La persona cresce se incontra qualcuno più grande che le indichi il cammino, i crocevia della propria libertà, le esigenze della responsabilità; che la aiuti a non restar irretita nei propri limiti e giustificazioni. Il giovane ha bisogno di vedere – dice il documento citato – “credenti autorevoli, con una chiara identità umana, una solida appartenenza ecclesiale [non necessariamente tradotta – mi permetto di aggiungere – nell’esercizio di compiti particolari dentro la comunità stessa], una visibile qualità spirituale, una vigorosa passione educativa e una profonda capacità di discernimento».

E giungiamo così allo scorso anno (2018-19) quando, nella Lettera Pastorale, sentii l’urgenza di riproporre all’attenzione delle comunità cristiane la S. Messa a partire da ciò che il Concilio Vaticano II insegna nella Costituzione sulla sacra Liturgia; tra l’altro: «La Liturgia, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado» (S.C.7). Essa «non esaurisce tutta l’azione della Chiesa» (S.C.9), ma «è il culmine verso cui l’azione della Chiesa tende ed è, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia» (S.C.10). La liturgia «è la prima e per di più necessaria sorgente dalla quale i fedeli possano attingere uno spirito veramente cristiano» (S.C.14).

Ho invitato a riflettere sul fatto che al primo posto nella Celebrazione non c’è la nostra azione, ma quella di Dio. Il suo scopo primario è permettere l’esperienza del mistero, e la partecipazione attiva – del sacerdote che presiede e dei fedeli – si attua, in primo luogo, nell’accogliere nella fede l’azione di un Altro, che è il vero Protagonista. Questa è la convinzione che sorregge la partecipazione autenticamente attiva di tutti.

Ed ho proposto alle comunità cristiane di soffermarsi a riflettere sulle 15 catechesi che Papa Francesco, nel corso dell’Udienza generale, ha dedicato alla S. Messa augurandosi che «possano far crescere nei fedeli la consapevolezza del grande dono e mistero che è l’Eucarestia celebrata e conservata, e nello stesso tempo essi si lascino convocare frequentemente a vivere questo sacramento, cuore della Chiesa, medicina per i malati e fortezza per i sani». Nel Messaggio per la Quaresima, poi, al fine di facilitare la riflessione all’interno delle comunità, ho anche offerto una sintesi delle 15 Catechesi.

II

Confidando che, in qualunque forma e modalità, sia almeno iniziata la riflessione sulla celebrazione eucaristica – indispensabile a molti di coloro che ancora alla Messa ci vanno e sono chiamati a rendere intelligente testimonianza del suo valore ai sempre più numerosi che non vi partecipano – la proposta pastorale per i prossimi anni, come mi è stata suggerita dall’incontro dei Vicari, che ringrazio di cuore, si articola proprio a partire dalla Eucaristia celebrata. Sarà facile vedere in questo “Piano pastorale” i temi precedentemente proposti. Gli “Uffici”, coordinati dal Vicario episcopale per la Pastorale e in sinergia tra loro, lavoreranno per offrire strumenti per il lavoro nelle Vicarie e, in esse, nelle singole Parrocchie.

Due appuntamenti diocesani (nelle mattinate di sabato 30 novembre 2019 e sabato 28 marzo 2020: prego i Sacerdoti di tenerli presenti fin d’ora nella organizzazione delle attività) saranno occasione di incontro e di scambio.

2019-2020
Eucaristia: convocati alla presenza del Signore. Tema: la vocazione;
2020-2021
Eucaristia: Parola e Pane di vita. Tema: la Parola al centro della catechesi e liturgia; il pane spezzato nella condivisione con i più poveri;
2021-2022
Eucarestia: dalla celebrazione alla testimonianza. Tema: la “nuova” evangelizzazione e l’impegno di testimonianza nella carità.

Il tema di quest’anno attiene ovviamente a tutte le chiamate di Dio, tra le quali desidero sottolineare la vocazione al Sacerdozio, alla Vita consacrata, al Matrimonio, sulle quali, mi limito qui ad un cenno, a partire da quanto già dissi nell’anno del Sinodo sui giovani.

Per mettere in gioco la propria vita nel rispondere a una di queste vocazioni, la preparazione specifica e prossima è importante, ma la vetta si raggiunge partendo dal basso: dalla formazione integrale dei giovani, che ha bisogno della cura e del sostegno degli adulti.

I giovani che ancora abbiamo nelle nostre comunità, come gli altri loro coetanei, presentano caratteristiche diverse rispetto ad un passato anche recente; e non è sempre facile per gli adulti il compito di contribuire, negli ambiti propri di ciascuno, a formarne la maturità umana e spirituale. Occorrono adulti che siano tali non solo per ragioni anagrafiche…

La crisi in cui versa la famiglia (anche là dove la separazione non l’ha disgregata) è sotto gli occhi di tutti; le cause sono molteplici e non ignote. Le comunità cristiane – quelle parrocchiali, come quelle costituite dai Movimenti (preziosa presenza, come ci insegna la Chiesa) sono chiamate spesso a supplire nella formazione anche umana del giovane. Quest’opera è una autentica “Pastorale vocazionale”.

Carissimi Fratelli e Sorelle, affido, alla Vergine Assunta, Madre della Chiesa e Aiuto dei cristiani, l’anno pastorale che inizia e, rinnovando la consacrazione di tutta la Diocesi al Suo Cuore Immacolato, chiedo a Lei di donarci quello slancio di fede, di speranza e di carità, quella convinzione dell’urgenza della missione grazie ai quali i nostri “Piani” non rimangono sulla carta.

“Siamo pochi, siamo oberati di impegni…” si sente dire. Liberiamoci da atteggiamenti da rassegnati! Non siamo un cantiere in disarmo; siamo la Chiesa del Signore che cammina nel tempo “tra le persecuzioni del mondo – dice sant’Agostino – e le consolazioni di Dio”! E’ il momento di mettere al centro ciò che è “l’unum necessarium”: Gesù Cristo presente e vivo nella Sua Chiesa, con la Sua indefettibile promessa: «Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla consumazione del mondo»; «Chi mangia me vive di me».

Buon cammino. Con la mia più cordiale Benedizione.

+ Edoardo, vescovo

05-09-2019