Meditazioni per la NOVENA di Natale 2021

 Nel Tempo di Avvento il Rorate coeli desuper esprime magnificamente il vero senso dell’attesa del Natale e ci prepara perciò a comprendere la novità che la Nascita del Signore porta alla vita di ognuno e, di conseguenza, alla vita del mondo, poiché il più grande apporto che noi possiamo portare alla vita del mondo è proprio il cambiamento della nostra vita.

In questa prima sera della Novena ci soffermiamo sul “Rorate”.

«Rorate coeli desuper et nubes pluant Iustum. Fate scendere, o cieli, dall’alto la vostra rugiada e dalle nubi come pioggia scenda il Giusto».

Ripetuto ad ogni strofa, questo ritornello è il grido del povero che riconosce la sua povertà e mendica il Dono della salvezza. Lo chiede con la certezza che il Signore viene (anche l’antifona del Magnificat oggi ce lo fa cantare: «Ecce Rex veniet»: Ecco verrà il nostro Re). Il Signore viene e perdona e redime: compie ciò che solo Lui può fare: scendendo nel deserto arido dona la Vita vera, la sola che fa rifiorire la nostra umanità ferita e sfinita per la sua debolezza mortale; strappa via da noi il giogo della nostra captivitas, della nostra prigionia. 

Le prime due strofe del canto sono intrise della coscienza del nostro limite, e del dolore del peccato. La Chiesa non cerca di censurare l’enormità del male: realisticamente, e quindi umilmente, la riconosce, senza sconti, e grida al Signore di avere pietà: «Ne irascaris Domine… Non adirarti Signore, non ricordare la ns iniquità. Ecco la Città santa è diventata deserta, vuota è diventata Sion; desolata è Gerusalemme, luogo della Tua santità, dove ti pregarono i nostri padri». Gerusalemme siamo noi, appartenenti alla Chiesa del Signore! Il perdono che chiediamo è il perdono del peccato nostro. È facile riconoscere il male di chi sta fuori di Gerusalemme, ma non si può partire di lì: si parte da noi!

«Peccavimus… Abbiamo peccato, siamo diventati immondi, tutti siamo caduti come una foglia. Le nostre visioni ci hanno trascinato via come vento vorticoso, ci hai inariditi abbandonandoci alle nostre miserie. Abscondisti faciem tuam a nobis: hai coperto il Tuo volto, lo hai nascosto al nostro sguardo e ci lasci sobbalzare nella tempesta».

Ma nel riconoscimento di questa triste situazione, si leva – si deve levare – un grido: «Vide, Domine, afflictionem populi Tui…Guarda, Signore, l’angoscia del tuo popolo, manda colui che stai per inviare, l’Agnello che ci libera dalla prigionia». È possibile innalzare questo grido perché abbiamo la certezza che Gesù, Dio fatto uomo, ha preso su di sé il giogo della nostra schiavitù, avendo pietà del nostro niente. Possiamo gridare: «Vieni, non tardare» perché Egli è già venuto e incessantemente viene… Il Natale mette sotto i nostri occhi il riaccadere dell’avvenimento della sua presenza di salvezza e ci chiede di riconoscerla e di riaccoglierla oggi.

Commovente la risposta del Signore: «Consolàmini, consolàmini popule meus». Sembra quasi di vedere un padre o una madre che si chinano con infinito amore sul figlio che amano, e che ora è lì, col viso cosparso di pianto, a rifugiarsi in quell’abbraccio che lo fa rinascere. «Consòlati – gli dice il Signore – consòlati, popolo mio, cito veniet salus tua, la tua salvezza verrà presto. Perché ti struggi d’amarezza dal momento che il dolore ti ha fatto nuovo? Ti salverò, non temere; Io infatti sono il Signore Dio tuo, il tuo Redentore».

Ti salverò, non temere: questo futuro è già un presente, l’opera di Dio è già in atto, continua ad accadere. Pur dentro alla lotta che la nostra vita comporta, Dio è la nostra pace; e l’amarezza lascia il posto alla certezza che Lui viene a salvarmi… L’attesa è già colma di pace. «Non Ti cercherei – non Ti attenderei – (dice sant’Agostino) se Tu non mi avessi già trovato».

Con questa certezza iniziamo i nove passi che ci portano a Betlemme! Tutto parte dal riconoscimento di come effettivamente siamo! Dal desiderio di un reale cambiamento nel nostro modo di vivere e nell’impegno che il desiderio comporta!

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Ci soffermiamo su un altro canto del Tempo di Avvento, bellissimo anche questo nel suo testo (di autore anonimo, risalente forse all’VIII secolo) e avvincente nella sua melodia (probabilmente del secolo XV): Veni, Veni, Emmanuel.

Lo abbiamo ascoltato in queste domeniche nella Messa Vespertina in Cattedrale: 

«Veni, veni Emmanuel, / captivum solve Israel / Qui gemit in exilio / Privatus Dei Filio. / Gaude, gaude! Emmanuel nascetur pro te, Israel. Vieni, vieni o Emmanuele, libera Israele prigioniero, che geme in esilio, privato del Figlio di Dio. Gioisci, gioisci, o Israele! L’Emmanuele nascerà per te».

«Veni o Iesse virgula / Ex hostis tuos ungula / De specu tuos tartari / Educ, et antro barathri. Gaude, gaude! Emmanuel nascetur pro te, Israel. Veni, o virgulto di Jesse, liberaci dalle unghie del nemico, dalla caverna dell’inferno e dall’antro del baratro. Gioisci, gioisci o Israele! Emmanuele nascerà per te». 

Ogni strofa si chiude proclamando questa grande certezza: Emmanuel nascetur pro te. 

Il Dio-con-noi nascerà per noi, per ognuno di noi: ma a questa certezza deve corrispondere una vera apertura del nostro cuore, poiché è vero che Egli nascerà per noi, ma l’accoglienza del dono spetta a noi ed esige un cambiamento di prospettiva, un cambiamento che dia al nostro vivere una impronta diversa da quella che ci fa chiedere perdono per il nostro peccato. 

La sua nascita, dunque, è per il nostro cambiamento: «La fede veradiceva Simone Weil – si mostra non da come uno parla di Dio, ma da come parla e agisce nella vita; di lì capisco se uno ha soggiornato in Dio». 

Il cambiamento lo opera Lui, con la Sua grazia, ma chiede che non manchi la nostra parte: «Entrate per la porta stretta – dice Gesù – perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa» (Mt 7,13). 

Chi è sato pellegrino in Terra Santa non può dimenticare la piccola porta, bassa e stretta, che introduce nella Basilica di Betlemme costruita sulla grotta della Natività… Nel Vangelo secondo Matteo, il detto di Gesù sulla porta stretta si trova alla fine del discorso della montagna: quelli che passano per la porta stretta, dunque, sono coloro che vogliono conoscere la Beatitudine; e Gesù li elenca: i poveri in spirito, gli afflitti, i miti, quelli che hanno fame e sete della giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per causa della giustizia, chi è insultato a causa di Gesù…

L’annuncio evangelico è sempre aperto alla speranza, ma non nasconde la necessità dell’impegno. Non nasconde soprattutto che la Porta è Cristo – «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato» (Gv 10,9) – e solo un vero rapporto con Lui, dentro le concrete circostanze della vita, consente di entrare…

 La gioia a cui le strofe del canto ci invitano, ripetendo quel verbo (Gaude!) è, certamente, quella che deriva dalla certezza che Emmanuel nasce, indipendentemente da noi, ma diventa vera nella misura in cui ci apriamo ad accoglierlo.   

La gioia! Quanto la desideriamo e quanto ne abbiamo bisogno in questi tempi bui, più che per i problemi creati dall’epidemia, per la realtà di vuoto e di confusione che l’epidemia ha solo scoperchiato!  

La gioia vera nasce dal fatto che il Signore è vicino: così vicino da renderci possibile “essere in lui”, condividere la Sua vita mentre Egli condivide la nostra…  È la gioia di Cristo: «La mia gioia io do a voi, non quella che dà il mondo» Egli dice. Solo questa permette di affrontare ogni cosa in modo diverso rispetto a chi non la possiede. 

“Il popolo geme in esilio, privato del Figlio di Dio” canta l’Inno. Quand’è che siamo privati del Figlio di Dio? Quando dimentichiamo chi è Cristo, quando non poggiamo su di Lui tutto di noi… Quando non è reale il nostro passaggio attraverso la Porta che Egli è… 

Egli è Emmanuel, Dio-con-noi: ma noi siamo discepoli suoi? È ineludibile la domanda.

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Passare per la porta stretta, la porta di Betlemme, per vivere il Natale accogliendo il dono di Gesù che viene a salvarci. In questo passaggio – che non si fa una volta per tutte, ma è continuo – consiste la santità a cui siamo chiamati in virtù del nostro Battesimo. 

Su questo tema leggo con voi, qualche passo della Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate di Papa Francesco, che inizia proponendo l’invito della Lettera agli Ebrei (12,1): «[correre] con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, circondati da una moltitudine di testimoni» i quali ci indicano costantemente la meta. Il Santo Padre, a proposito di essi, ricorda quanto affermò Papa Benedetto XVI nell’Omelia per l’inizio del suo Pontificato: «Non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo. La schiera dei santi di Dio mi protegge, mi sostiene e mi porta».

L’Esortazione Apostolica, sottolineando un elemento importante, ricorda che il cammino della nostra santificazione si compie “Ognuno per la sua via”: è quanto insegna il Concilio Vaticano II: «Tutti i fedeli di ogni stato e condizione, ognuno per la sua via sono chiamati dal Signore alla santità». E il Santo Padre commenta: «Quello che conta è che ciascun credente discerna la propria strada e faccia emergere il meglio di sé, e non che si esaurisca cercando di imitare qualcosa che non è stato pensato per lui. Lascia dunque che la grazia del tuo Battesimo fruttifichi in un cammino di santità. Lascia che tutto sia aperto a Dio, e a tal fine scegli Lui, scegli Dio sempre di nuovo. Non ti scoraggiare: hai la forza dello Spirito Santo; la santità, in fondo, è il frutto Suo nella tua vita. Questa santità a cui il Signore ti chiama andrà crescendo mediante piccoli gesti. A volte la vita presenta sfide più grandi e attraverso queste il Signore ci invita a nuove conversioni che permettono alla sua grazia di manifestarsi meglio nella nostra esistenza. Altre volte si tratta soltanto di trovare un modo più perfetto di vivere quello che già facciamo. Quando il ven. Card. Francesco Saverio Van Thuân era in carcere, rinunciò a consumarsi aspettando la liberazione. La sua scelta fu: “Vivo il momento presente, colmandolo di amore»; e il modo con il quale concretizzò il suo intento fu: “Afferro le occasioni che si presentano ogni giorno, per compiere azioni ordinarie in un modo straordinario”. 

León Bloy diceva: “Non c’è che una tristezza: quella di non essere santi”. Ma per diventarlo, la vita cristiana esige un combattimento permanente. Si richiedono forza e coraggio per resistere alle tentazioni del diavolo e per annunciare il Vangelo. Questa lotta è molto bella, perché ci permette di fare festa ogni volta che il Signore vince nella nostra vita.

Non si tratta solamente di un combattimento contro il mondo e la mentalità mondana, la quale ci inganna, ci intontisce e ci rende mediocri, senza gioia. Nemmeno si riduce a una lotta contro la propria fragilità e le proprie inclinazioni (ognuno ha le sue: la pigrizia, la lussuria, l’invidia, le gelosie, e così via). È anche una lotta costante contro il diavolo, che è il principe del male. Gesù stesso festeggia le nostre vittorie. Non pensiamo dunque che sia un mito, un simbolo. Il diavolo non ha bisogno di possederci. Ci avvelena con l’odio, con la tristezza, con l’invidia, con i vizi. E così, mentre riduciamo le difese, lui ne approfitta per distruggere la nostra vita, le nostre famiglie e le nostre comunità, perché “come leone ruggente va in giro cercando chi divorare” (1 Pt 5,8). Per il combattimento abbiamo le potenti armi che il Signore ci dà: la fede che si esprime nella preghiera, la meditazione della Parola di Dio, la Messa, l’adorazione eucaristica, la Riconciliazione sacramentale, le opere di carità, la vita comunitaria, l’impegno missionario». 

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«Non c’è che una tristezza: quella di non essere santi» dicevamo, con Léon Bloy, e ci siamo soffermati ad ascoltare alcune belle pagine della Gaudete et exsultate che presenta la santità come un «[correre] con perseveranza nella corsa che ci sta davanti», secondo quanto dice la Scrittura, ma senza dimenticare che si è chiamati a camminare «Ognuno per la sua via», come afferma il Concilio Vaticano II.

Ognuno per la sua via” non significa, ovviamente, incuranti degli altri e, tanto meno, egoisticamente chiusi nei nostri progetti; significa camminare con gli altri, nella comunione ecclesiale, ma senza pensare che la via sia la stessa per tutti… Le strade, infatti, sono tante quante sono le vocazioni che Dio invia al suo popolo, ed ognuna va presa sul serio; anche per coloro che percorrono la stessa strada, inoltre, i passi e i tempi del percorso possono essere diversi. L’importante è che siano i passi che Dio vuole, non quelli che a noi, soggettivamente, pare lo siano… Missionario fu san Francesco Saverio andando nelle Indie; missionaria fu santa Teresa di Gesù Bambino vivendo nel suo Carmelo… 

«Come sapere – leggiamo nell’Esortazione Apostolica – se una cosa viene dallo Spirito Santo o se deriva dallo spirito del mondo o dallo spirito del diavolo? L’unico modo è il discernimento, che non richiede solo una buona capacità di ragionare, ma è anche un dono che bisogna chiedere. Se lo chiediamo con fiducia allo Spirito Santo, e allo stesso tempo ci sforziamo di coltivarlo con la preghiera, la riflessione, la lettura e il buon consiglio, sicuramente potremo crescere in questa capacità spirituale.

Il discernimento è necessario non solo in momenti straordinari, o quando bisogna risolvere problemi gravi, o quando si deve prendere una decisione cruciale. Ci serve sempre: per essere capaci di riconoscere i tempi di Dio e la sua grazia, per non sprecare le ispirazioni del Signore, per non lasciar cadere il suo invito a crescere. È in gioco il senso della mia vita davanti al Padre che mi conosce e mi ama. 

Il Signore ci parla in modi diversi durante il nostro lavoro, attraverso gli altri e in ogni momento, ma non è possibile prescindere dal silenzio della preghiera prolungata per percepire meglio quel linguaggio, per interpretare il significato reale delle ispirazioni che pensiamo di aver ricevuto, per calmare le ansie e ricomporre l’insieme della propria esistenza alla luce di Dio. Il discernimento orante richiede di partire da una disposizione ad ascoltare davvero: il Signore, gli altri, la realtà stessa che sempre ci interpella. Solamente chi è disposto ad ascoltare ha la libertà di rinunciare al proprio punto di vista parziale e insufficiente, alle proprie abitudini, ai propri schemi. 

Quando scrutiamo davanti a Dio le strade della vita, non ci sono spazi che restino esclusi. In tutti gli aspetti dell’esistenza possiamo continuare a crescere e offrire a Dio qualcosa di più, perfino in quelli nei quali sperimentiamo le difficoltà più forti. Colui che chiede tutto dà anche tutto. Questo ci fa vedere che il discernimento non è un’autoanalisi presuntuosa, un’introspezione egoista, ma una vera uscita da noi stessi verso il mistero di Dio, che ci aiuta a vivere la missione alla quale ci ha chiamato per il bene dei fratelli».

Nel nostro cammino verso Betlemme a incontrare Colui che è la pienezza della vita vorrei rivolgere lo sguardo all’uomo che con Maria sta salendo verso i monti della Giudea, Giuseppe, figlio di Davide, come l’angelo lo ha salutato annunciandogli che Dio gli chiedeva di “prendere con sé Maria” superando i suoi sospetti, le sue incertezze e paure, aprendo i suoi pensieri ad un progetto che egli non aveva minimamente pensato perché non lo poteva pensare…

Il nostro d. Domenico Machetta ha composto alcuni canti per l’Anno dedicato a S. Giuseppe: “La pace d tuo Dio è tua forza e libertà: tra gioie e tra dolori cerchi solo verità”. “Sei l’uomo del silenzio; ti alzi e vai. Hai lasciato le tue strade, hai detto sì come Abramo; hai lottato nella notte, compi il sogno di Giacobbe”; “consegnato ad un sol Signore, ti nutri nel silenzio della parola di Dio solo”; “La Chiesa guarda a te, faro di fede; nel suo cammino incontro al Signore attende il Suo ritorno rallegrata dalla tua presenza”; “Aperti al futuro di Dio, ancorati alle Sue promesse, nella gioia aspettiamo il Signore e il trionfo del Cuore Immacolato”; “Colui che sostiene il mondo riposa in braccio a te: Giuseppe nostro, ricordati di noi!”.

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Il cammino della santità su cui ci siamo soffermati è lo scopo anche dei nostri passi sulla strada che ci porta a Betlemme, ad adorare il Bambino nel presepe delal Grotta, convinti – tante volte gli stessi cantici dell’Avvento ce lo hanno ricordato – che l’incontro con Lui, nostro Salvatore, è vero se noi, insieme alla ns commozione, Gli portiamo noi stessi, la nostra persona, sempre fragile e povera, che ha iniziato, però, lungo la strada, a re-impostare la propria vita al suono della parola forte e chiara di cui ci parla l’Inno della Novena: «En clara vox redarguit obscura quaeque personans: Ecco, una parola chiara, risuonando, rimprovera tutto ciò che è oscuro; procul fugentur somnia, ab alto Jesus promicat: i nostri sogni, le nostre visioni della realtà siano messi in fuga da Gesù che manda bagliori di luce»… 

Un bell’articolo di un quotidiano che pochi giorni fa recensiva un nuovo libro su Gregorio Magno porta come sottotitolo: «In tempi dilaniati da guerre e pestilenze Gregorio riparte dalla cura dell’anima». 

Erano tante le necessità, anche materiali, della società di quel tempo, e Papa Gregorio, vissuto tra il 540 e il 604, non mancò di fare il possibile per provvedervi; ma ebbe chiaro che primaria è la cura dell’anima! «Gregorio Magno – scrive l’autore – è il genio a cui dobbiamo la salvezza di quel pulviscolo di luce, che si chiama anima, in un’Europa immersa nell’oscurità tetra del sesto secolo d.C. Il concetto e l’esperienza di bellezza, di desiderio, di pace, di infinito erano nascosti sotto la caligine. Gregorio ha tentato di aiutare i suoi contemporanei a vivere sulla terra come uomini che non sono destinati al nulla. Il corpo dell’Italia, come quello dell’Impero era ridotto a una facciata; e la Chiesa non stava affatto meglio. Aveva due anni quando il mondo fu travolto da una pestilenza, vera pandemia, che in Italia spazzò via 1/3 della popolazione; Costantinopoli perse 300.000 vite nel giro di due anni. Un sentimento di paura e precarietà attraversava i popoli, mentre mancava una qualsiasi leadership mondiale. Non è forse quello che stiamo sperimentando noi in questi ultimi anni? 

Gregorio aveva intrapreso la carriera amministrativa ed era diventato prefetto di Roma a 32 anni. Presto però abbandonò la scena pubblica e si dedicò alla vita contemplativa nella forma della vita monastica. Sembrò una fuga. Ma non lo fu: la salvezza non viene dalla politica, pur necessaria. Occorre altro: occorre la conoscenza di Dio e fare esperienza di Lui, poiché senza questo vincerà il Nulla della peste virale e spirituale. Gregorio inizia una vera e propria opera di ricostruzione ponendo al centro la cura animarum. Intuì che in tempi così bui, dilaniati da guerre, pestilenze e carestie, era di lì che occorreva ripartire. 

Quindici secoli dopo siamo qui, con i medesimi drammi. Come allora, il pensiero della morte, della caducità della vita, attanaglia vecchi e giovani, in preda all’incertezza del futuro. Questa paura porta gli uomini a chiudersi in sé stessi, a vivere come isole e a concentrarsi sulla propria sopravvivenza… Non servono chiacchiere di spiritualità: occorrono uomini e donne che testimonino con umiltà e carità che cosa vuol dire “cura della propria anima”». 

Papa Gregorio – che la Chiesa, e non solo essa, saluta con il titolo di Magno – ci sostenga con la sua intercessione nei nostri passi verso l’Incontro; fu lui, tra l’altro a stabilire in quattro settimane il tempo di Avvento…   

Dai suoi scritti qualche frase che ci accompagna nel cammino: A tutto si pensa, fuorché a se stessi! L’anima che ha perduto l’abitudine di esaminarsi attentamente, non riesce più neppure a vedere i mali di cui soffre, e ignora persino in quanti modi ha peccato”. “Poca preghiera non dà la felicità; tanta sì. Poca carità non dà la felicità; tanta sì. Poco silenzio non dà la felicità; tanto sì. Soltanto nella misura del grande noi possiamo entrare nel Cuore di Cristo”. 

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In questi passi verso Betlemme ci accompagnano i nostri santi. Pensare alla loro compagnia, al fatto che camminano con noi all’Incontro con Gesù di cui contemplano il Volto nella luce del Paradiso, ci dà pace e sicurezza… A san Giuseppe già abbiamo detto: «La Chiesa guarda a te, faro di fede; nel suo cammino incontro al Signore attende il Suo ritorno, rallegrata dalla tua presenza» … 

Questa sera guardiamo a Colei che ogni sera della Novena salutiamo cantando: «Nitida stella, alma puella, tu es florum flos; il fiore più bello sei, o Maria, lucente stella…». L’angelo la salutò  «piena di grazia» e noi glielo ripetiamo ad ogni “Avemaria”… Nella casa di Nazaret, dove per la prima volta risuonò questo straordinario saluto, «Ella rimase turbata e si domandava che senso avesse quel saluto»… “Piena di grazia” (kekaritomène n testo originale del Vangelo di Luca) significa che Maria è stata colmata di Grazia; è la “Tuttasanta”, fin dal primo istante della sua esistenza, preservata – insegna la Chiesa, ispirata dallo Spirito Santo che Gesù le ha promesso – dal peccato originale; colmata di grazia in vista della missione che Dio aveva scelto per lei e di cui l’angelo le portava l’annuncio: «Concepirai e darai alla lux un figlio… sarà il figlio dell’Altissimo». 

Guardando a Maria vogliamo riflettere sull’Iniziativa di Dio: è Dio il Protagonista, è Lui che agisce nella nostra vita… Maria non fu preservata dalla macchia originale per meriti suoi, che non poteva avere, dal momento che, concepita nel grembo di Anna, iniziava proprio lì ad esistere e non poteva, certo, dire di sì all’opera di Dio… Ma anche l’evento dell’Incarnazione, del farsi Uomo del Figlio di Dio nel suo grembo di “alma puella” – semplicemente le è comunicato: è una decisione di Dio che le dice: «Ecco, concepirai nel grembo e darai alla luce». 

La prima grandezza di Maria sta in questa “passività”: non è lei a progettare; si lascia docilmente coinvolgere in ciò che le è dato, in ciò che Dio ha deciso e mette in opera! 

Il suo “sì” c’è ed è totale: «Ecce ancilla Domini: Sono a tua completa disposizione, come una schiava» dice, ma il Progetto è di un Altro e lei accetta senza porre nessuna condizione… Sarà così in tutto il corso della sua vita, da Betlemme al Calvario, e poi nella comunità cristiana: sempre discepola, modello di discepolato: senza nessun compito istituzionale nella Chiesa, perché il suo è ben più alto di quello che Cristo stesso aveva stabilito per i Dodici Apostoli e i loro successori… Lei è la Madre della Chiesa, e questo non è un ruolo; e, ancora una volta, la decisione è di Dio e il Figlio, morente sulla croce per la nostra salvezza, gliela comunica.   

Lei «conservava e meditava nel suo cuore tutte queste cose»: tutto quanto le era dato: non che si era presa!

Diceva Papa Benedetto: «L’evangelista ripete più volte che la Madonna meditava silenziosa sugli eventi straordinari nei quali Dio l’aveva coinvolta. Il verbo greco usato – “sumbàllousa” – letteralmente significa “mettere insieme” e fa pensare a un mistero grande da scoprire poco a poco. L’incarnazione del Verbo e la divina maternità di Maria è certamente non facile da comprendere con la sola intelligenza umana. Alla scuola di Maria possiamo cogliere con il cuore quello che gli occhi e la mente non riescono da soli a percepire, né possono contenere. Si tratta infatti di un dono così grande che solo nella fede ci è dato accogliere pur senza tutto comprendere. Ed è proprio in questo cammino di fede che Maria ci viene incontro, ci è sostegno e guida. È Madre perché ha generato nella carne Gesù; lo è perché ha aderito totalmente alla volontà del Padre. Scrive sant’Agostino: “Di nessun valore sarebbe stata per lei la stessa divina maternità se il cristo non lo avesse portato nel cuore, con una sorte più fortunata di quando lo concepì nella carne” (De s. Virginitate 3,3)». 

Maria è la nitida stella che ci invia i raggi della luce di Dio! Non ha altra luce, lei che cantò: «Magnificat anima mea Dominum: l’anima mia proclama le grandezze del Signore», consapevole che, se «tutte le generazioni la chiameranno beata», è perché «grandi cose ha fatto in lei l’Onnipotente».  

Il massimo della fecondità sta nel massimo di questa santa “passività” che non è “fare nulla”, ma “fare ciò che a Dio lasciamo fare”. 

La missione, la testimonianza della nostra fede, compito che ci deriva dal Battesimo, si compie portando il Signore Gesù nel nostro cuore e nella nostra carne (nella vita concreta che ci è dato da vivere); non scegliendo, ma accogliendo; lasciando che sia il Signore a compiere la Sua opera, senza porGli, anche sottilmente, come talora facciamo, le nostre condizioni! Lasciandolo fare, innanzitutto in noi!  

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Betlemme è sull’orizzonte… Domani l’antifona del Magnificat ci farà cantare: «Cum ortus fuerit sol de coelo videbitis Regem regum procedentem a Patre tamquam sponsum de thalamo suo: quando il sole sarà spuntato vedrete il Re dei Re che procede dal Padre come uno sposo dal suo talamo». 

Che bella questa immagine, così vera! Lo vedremo: con gli occhi della fede, certo, ma è una realtà. Misteriosa ma reale! Lo vedremo perché la celebrazione liturgica del Natale non è la commemorazione di quanto avvenne duemila e più anni fa, ma il farsi presente dell’evento stesso! Vedremo il Figlio che procede dal Padre… Esce dal grembo di Maria, ma è nato nell’eternità, dal grembo del Padre: “Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”! E viene a portare in dono la salvezza per l’umanità avvolta da tenebre di morte; viene come Sposo a condividere la nostra vita e a farci dono della Sua! Non c’è altra salvezza se non accogliere il Dono. “Tu solo il Santo – gli diciamo nel canto del Gloria – Tu solo il Signore, Tu solo l’Altissimo, Gesù Cristo”! 

A questa luce e a quella dell’antifona maggiore di oggi – «O Emmanuel, Oh Emmanuele, Dio-con-noi, atteso dalle genti e loro Salvatore, vieni a salvarci, Signore Dio nostro» noi vogliamo gustare un canto natalizio, bello come tanti dei canti di Natale nati dal cuore della Chiesa attraverso l’esperienza di fede di uomini grandi e dotti o attraverso anime semplici del popolo cristiano… È il Puer natus in Bethlehem, con il suo gioioso ritornello: «In cordis jubilo, Christum natum adoremus / cum novo cantico: nel giubilo del cuore, con un nuovo cantico, adoriamo Cristo che è nato». 

Nelle strofe colpisce l’Alleluia incessantemente ripetuto, come fossimo a Pasqua: e infatti siamo all’inizio dell’evento che proprio nella Pasqua avrà il suo compimento…; colpisce il richiamo al giubilo del cuore e al canto che dev’essere nuovo: più che nelle parole che lo compongono e che da secoli risuonano, nuovo nella nostra anima, nella nostra vita che dall’evento è fatta nuova!

«Puer natus in Bethlehem, alleluia Un Bambino è nato a Betlemme, alleluia; da Lui la gioia di tutta Gerusalemme, alleluia, alleluia»! «Ha assunto la nostra carne, alleluia, il Figlio altissimo di Dio Padre, alleluia, alleluia»! «Come sposo che esce dal suo talamo, alleluia / venne a noi dal grembo della Madre, alleluia, alleluia»! «Qui giace nel presepe alleluia, Lui che regna senza fine, alleluia, alleluia»! «Lo hanno riconosciuto il bue e l’asino, alleluia: quel Bimbo è il Signore, alleluia, alleluia»! «Nato da madre vergine, alleluia, venne dal nostro sangue, alleluia, alleluia»!  “Per fare noi uomini, alleluia, a Dio e a Lui simili, alleluia, alleluia»! In questa gioia del Natale, alleluia, benediciamo il Signore, alleluia, alleluia”! «Lode alla Santa Trinità, alleluia, diciamo grazie a Dio, alleluia, alleluia»!

Siamo davanti ad un immenso mistero: le altezze si abbassano, le bassezze si innalzano! È il grande movimento del cristianesimo che è opera di Dio, a differenza di ogni altra religione nata dal cuore dell’uomo, mentre questa nasce da Dio…

Dio si fa piccolo: esce dal grembo di una donna, Egli che cieli e terra non possono contenere; giace in una mangiatoia il Signore dell’universo; viene dal nostro sangue il Creatore di tutto ciò che esiste.

Dio si fa piccolo e l’uomo, da questo farsi piccolo di Dio, è fatto grande: diventa simile a Dio e benedice il Signore nella gioia del Natale, adora e loda Dio che si rivela nell’infinita ricchezza del suo essere un solo Dio in tre Persone e si dona in un amore di condiscendenza impensabile da mente umana!

È il grande movimento che costituisce il cristianesimo! Il cielo scende e tocca la terra; alla terra è dato di alzarsi e di toccare il cielo! 

C’è altro da aggiungere? 

C’è solo da implorare la grazia che in noi il cuore sia nuovo e la novità del cuore renda nuove le parole che cantiamo! 

Maria, Giuseppe, i santi Magi dell’Epifania ci accompagnano nel cammino perché la novità si compia nel nostro incontro con il Signore! Sia lode anche a loro!              

S. Natale 2021

Gesù Cristo, Dio eterno e Figlio dell’eterno Padre, volendo santificare il mondo con la sua venuta, essendo stato concepito per opera dello Spirito Santo, trascorsi nove mesi, nasce in Betlemme di Giuda dalla Vergine Maria, fatto uomo” (Calenda).

Sei sceso per noi dalle altezze dei cieli e ti sei fatto realmente uomo. 

Hai vissuto la nostra vita e ne hai condiviso fatiche e dolore, gioie e speranze. 

Risorto da morte e salito al Cielo, sei rimasto con noi: non il ricordo di una straordinaria avventura accaduta secoli fa, ma Tu presente, qui, oggi, misteriosamente ma realmente. 

Ci offri la possibilità di vivere ogni istante con Te e in Te, e tutto ha un gusto nuovo, perché Tu sei il senso di tutto, la pace che il nostro cuore inquieto desidera. 

In questa festa della tua Nascita nella grotta di Betlemme noi Ti adoriamo, Signore Gesù, nostro Salvatore, e ti preghiamo di custodirci nella comunione dei tralci con la vite.

Buon Natale, Amici! 

+ Edoardo, vescovo