Messaggio di Natale 2020

Alla Chiesa che è in Ivrea e a tutti coloro che vivono nel suo territorio

Alla Chiesa che è in Ivrea

e a tutti coloro che vivono nel suo territorio

Messaggio di Natale 2020

Ivrea, 16 Dicembre 2010

Carissimi Fratelli e Sorelle,

Carissimi Amici,

celebriamo il Natale, quest’anno, nel tempo triste in cui l’epidemia del Covid-19 continua a seminare paura, abbatte gli animi, demoralizza, crea problemi, mostra conseguenze gravi in molti aspetti del vivere sociale e ne lascia intravedere anche per il futuro…

Ma è il Natale di Gesù Cristo, l’evento della nascita del Salvatore quello che noi celebriamo, quale che sia  la situazione: non il ricordo di un fatto del passato, ma qualcosa che accade oggi, reso presente dalla S. Liturgia nel Mistero celebrato. L’«Oggi» che il Vangelo proclama – «Oggi è nato per voi il Salvatore. Troverete un bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia» – diventa il nostro “oggi”, quello che stiamo vivendo.

La nascita di questo bambino ha inaugurato una storia che dura da venti secoli, iniziata in una grotta delle montagne di Giudea, dove Maria lo ha dato alla luce, lo ha avvolto in fasce lo ha deposto nella mangiatoia.

Questo Bambino è Dio venuto a salvare l’uomo dai suoi peccati e da una vita chiusa in se stessa!

Sono sceso per te – ci dice – dalle altezze dei cieli; per amore tuo ho preso questa carne, questa umanità che è la tua; ho vissuto la tua vita e codiviso i tuoi problemi, le tue sofferenze e le tue gioie. L’ho fatto per incontrarti e dirti: Dio, mio Padre, è anche tuo Padre! La tua vita, vissuta nelle circostanze di ogni giorno, con me diventa vita di un figlio di Dio; sentirti Suo figlio e vivere da figlio è la più grande novità: ciò che di più bello tu cerchi e che non sai neppure definire; ciò che tu desideri più di tutto e che, talvolta, chiami “pace”, “serenità”, “felicità”, ma senza poterlo afferrare. Se accetti il mio dono, la tua vita può essere vissuta con un significato pieno, un gusto nuovo, anche quando la faticosa e il dolore bussano alla tua porta. Dio riempie di pace il tuo cuore mai sazio, e ti fa sperimentare la felicità che cerchi come un assetato cerca l’acqua!

Ci chiede, però, la disponibilità a fare dei passi, con il cuore aperto alla ragionevole speranza che ciò che promette è possibile. Passi come quelli dei pastori che durante la notte hanno lasciato le loro greggi ed hanno camminato verso la grotta «dicendosi l’un l’altro: andiamo fino a Betlemme, vediamo l’avvenimento che ci è stato fatto conoscere».

Non erano figurine poetiche questi pastori; erano uomini concreti che la società del tempo relegava al gradino più basso perché ignoravano la Legge – che per Israele era tutto – ed erano spesso ladri e truffatori – anche perché dovevano difendersi quando si recavano in città a commerciare i loro prodotti –; i rabbini – gli intellettuali religiosi – consigliavano di evitarli… E’ ad essi che l’angelo dice: «Vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi nella città di Davide un Salvatore che è Cristo Signore».

Nella loro problematica situazione di vita, nel peccato che li segna e da cui non sanno come fare a liberarsi, rappresentano l’uomo, tutti noi.  I dottori d’Israele, i farisei e gli scribi sanno interpretare la Legge e, di fronte a Cristo che proclama con chiarezza la Verità, sanno discutere; talvolta il loro stesso tacere sarà una furbesca difesa… Conoscono il gioco delle parole. I pastori no. Il loro peccato e la loro indegnità sono evidenti; e quando trovano uno che dice: Io sono qui per te, aprono un varco per accoglierlo.

Camminarono fino alla grotta…

Giuseppe, lo sposo di Maria, la scelse probabilmente perché era una stalla, con la mangiatoia per gli animali e un po’ di tepore: una scelta delicata, di responsabile amore verso la sua giovane sposa che egli accolse in casa sua – a Nazaret – accogliendo anche quel Figlio misterioso che cresceva nel grembo di Maria.

Quella grotta è un luogo reale, non una finzione, ma assume anche il carattere di immagine eloquente… Scavata nella pietra del monte, è una fenditura, un incavo, un buco: ci fa pensare ai vuoti che segnano la nostra esistenza, alle caverne che  problemi, difficoltà, drammi, incoerenze, peccati scavano nella nostra vita…

Ebbene, Gesù Cristo nasce qui dentro! Il Salvatore dell’uomo è venuto a colmare i nostri vuoti, a immettere una vita nuova nelle crepe della nostra esistenza.

La tragedia non sono i nostri vuoti, ma se essi non accolgono il Salvatore.

E’ questa la poesia, la tenerezza, la bellezza del Natale! Le luci e gli ornamenti delle nostre chiese, la festa umanissima dei doni e del banchetto natalizio nelle nostre case, cantano, con il loro linguaggio, questa bellezza. E’ possibile essere salvati!

A commentare il racconto della nascita del Signore milioni di parole sono state dette e scritte da teologi, sapienti, poeti… Il popolo cristiano il suo stupore e la sua fede li ha espressi, oltre che nei canti e nelle dolci melodie natalizie, nelPresepe, nella semplicità degli umili presepi fatti nelle nostre case e nelle nostre chiese, con Maria e Giuseppe che adorano il Bambino nella grotta, i pastori, le pecorelle, i personaggi che si recano ad adorarlo portando in dono il frutto del loro lavoro, con le case e le montagne, i corsi d’acqua, le piante, gli animali, il cielo, le stelle e tutte le cose che si mettono nel presepe, perché nel presepe entra tutto, e questo mettere tutto è come dire: con la nascita di questo Bambino tutto c’entra, tutto da Lui riceve una nuova, incredibile svolta.

Con il suo candore e il suo umile linguaggio, il Presepe ci dice che il mondo nuovo è iniziato. Lì, a Betlemme, è una realtà piccola piccola alla vista, ma è la cosa più grande che potesse accadere e che è accaduta!

Nel Presepe è contenuta in poco spazio la nostra vita, tutto ciò che viviamo: le gioie e le sofferenze, il lavoro e le fatiche, i sentimenti, l’amore, i desideri, le attese e le nostre realizzazioni: la nostra vita che inizia a trasfigurarsi poiché «è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini».

Il presepe ci mostra l’inizio di questa avventura; ci dice che viviamo sulla terra come all’alba di un grande giorno che sarà pieno nell’aldilà, in Paradiso, ma che è già spuntato; la luce del sole che l’alba ci porta, annuncia che la notte è finita, e siamo nel giorno.

Nell’esistenza di ogni giorno, nelle situazioni e nelle diverse circostanze, Cristo è presente e ci offre la possibilità di vivere tutto in modo diverso. Ha aperto dinanzi a noi un orizzonte nuovo; ci ha messo a disposizione una forza e una luce nuova. E tutto cambia, anche se, all’apparenza, tutto sembra scorrere uguale. Tutto cambia perché ci è donato il senso di tutto: il perché della vita, del dolore, del nostro desiderio mai pienamente soddisfatto, della nostra continua aspirazione a un “di più” che non si calma neppur quando riusciamo a realizzare quel che desideriamo; il senso del lavoro e della fatica, il senso delle nostre stesse gioie… Non siamo più soli con le nostre incoerenze e i peccati che “bucano” la nostra vita, con l’egoismo che chiude il nostro cuore e cerca in vari modi di trovare soddisfazione e giustificazione; non siamo più soli con le nostre inquietudini… Tutto ruota intorno a Lui, il Salvatore, in relazione al quale gli angeli cantano «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore».

Cambiano i tempi, ma la possibilità di una vita più umana continua ad essere Lui, il Signore Gesù, nato a Betlemme, morto in croce e risorto per la nostra salvezza.

Abbiamo bisogno che riaccada per noi, in noi, ciò che raccontano le cronache della notte di Greccio, quando san Francesco realizzò per la prima volta il Presepe: «Cristo rinacque e risuscitò nel cuore di molti». Ne ha bisogno ne ha bisogno la Chiesa che cammina con fatica per le strade del mondo; ne ha bisogno la società che vede crescere la sua tristezza già peraltro ben presente; ne hanno bisogno le Autorità. Sullo sfondo della grotta di Betlemme c’è anche l’Imperatore, con il suo ordine di censimento… I potenti del mondo – persone o istituzioni – credono di esser loro a dirigere la storia: è Dio, invece, che la dirige, con il solo fine di offrire a tutti il dono della salvezza.

La povertà della grotta, l’essere deposto sul fieno della mangiatoia, avvolto in panni comuni sono solo il segno visibile della più profonda povertà che il Salvatore sperimenta per amore nostro: la condivisione della nostra natura umana, fino al dramma di provare la morte! Egli, che era Dio e viveva nella gloria del Padre, non trattenne per Sé questa condizione gloriosa, ma «si svuotò», donò Se stesso dentro alla nostra vita. E’ da questa povertà che abbiamo ricevuto la possibilità di diventare, nel Battesimo, figli di Dio, partecipi della vita stessa di Colui che ci ha creati e ci ama. Il problema, allora, non sono i nostri problemi, ma il non lasciarci stringere nell’abbraccio che Egli ci dona affinché tutto possiamo vivere in modo diverso, anche la dolorosa situazione dell’epidemia che ha messo in ginocchio il mondo.

Non abbiamo paura! Alziamo lo sguardo! La candida semplicità del presepe ci dice che viviamo sulla terra come all’alba di un grande giorno che sarà pieno nell’aldilà, in Paradiso, ma che è già spuntato.

Buon Natale, Fratelli e Sorelle nella fede in Cristo!

Buon Natale, Amici che ancora questa fede non condividete!

+ Edoardo, vescovo